/

L’orgoglio nero di un pugile controcorrente

Mohamed Ali se n’è andato nei giorni scorsi all’età di 74 anni dopo decenni di lotta contro il Parkinson. E’ stato un pugile leggendario, uno di quelli odiati dall’establishment ma anche da gran parte della popolazione e dei giornalisti che ora fanno finta di averlo sempre ammirato.

Non era solo uno sportivo, ma sfruttava la sua arte per trasmettere messaggi e per scandalizzare la società americana. Di lui va soprattutto ricordato il suo anti-imperialismo e la militanza per i diritti civili dei neri in un’America ancora profondamente segregazionista e violenta, nonché la sua persecuzione da parte della National Security Agency.

malcolmx_ali
Malcolm X con Mohamed Ali

Il suo nome alla nascita era Cassius Clay, ma decise di mutarlo con la conversione alla religione musulmana: “Cassius Clay è un nome da schiavo – dichiarò – io non l’ho scelto e non lo voglio. Io sono Mohamed Ali, un nome libero”. Alle forme di lotta pacifista tipica di Martin Luther King, Mohamed Ali preferì l’attivismo più rivendicativo che univa elementi di islam e di socialismo tipico di Malcolm X.

La sua adesione alla controversa organizzazione musulmana “Nation of Islam”, che inizialmente vide appunto la militanza anche di Malcolm X (poi dissociatosi dalla stessa) lo portò a esporsi in modo giudicato poco politically correct su alcuni temi come quelli razziali. Famosa la sua frase “non c’è nessun orgoglio nell’avere dei figli meticci” che può scandalizzare solo chi non conosce il contesto storico nel quale tale concetto venne pronunciato. Il pugile spiegava infatti: “sarei triste se perdessi la mia meravigliosa identità” e questo in quegli Stati Uniti fanaticamente cristiani ma soprattutto razzisti, che discriminavano i neri fino agli anni ’60. Una reazione dunque, quella di Mohamed Ali, non a sfondo razzista come qualche giornalista in malafede vuole interpretare, ma tipica dell’orgoglio nero della politica di quegli anni e della volontà di emancipare il proprio popolo.

Visita ad Hanoi (Vietnam) nel 1994
Visita ad Hanoi (Vietnam) nel 1994

I meriti del pugile furono soprattutto quelli contro il colonialismo: chiamato alle armi rifiutò infatti il servizio militare nell’esercito per obiezione di coscienza e si oppose pubblicamente alla politica di guerra del governo nordamericano contro il Vietnam. Mohamed Ali non solo affermò: “non ho niente contro i Vietcong: loro non mi hanno mai chiamato negro”, ma specificò: “No, non ho intenzione di fare 10’000 miglia per aiutare a assassinare, uccidere e bruciare altre persone per semplicemente continuare il dominio dei padroni di schiavi bianchi sulle persone scure di tutto il mondo. Questo è il giorno e l’età in cui tale ingiustizia malvagia deve finire”, poiché “i miei nemici sono gli uomini bianchi, non i Vietcong: non ho mai litigato con questi Vietcong. I veri nemici della mia gente sono qui. La mia coscienza non mi lascerà sparare ad un mio fratello, o a persone dalla pelle più scura, ai poveri, agli affamati, per la grande e potente America” e ancora: “non sono andato in Vietnam perché credo che ognuno abbia il diritto di vivere tranquillo nella propria casa. Non vedo perché uno solo dei neri americani che sono privi della loro terra avrebbe dovuto andare a combattere contro chi stava tentando di difendere la propria terra”. Le sue parole suscitarono entusiasmo tanto che al Cairo venne organizzata una manifestazione in suo onore, come si ricorda in questo approfondito articolo (link).

mohamedaliDecise così di disertare. Fu condannato a cinque anni di reclusione e a una pesante multa, oltre che al ben più grave divieto di disputare gare e alla perdita del titolo mondiale. Solamente vari anni dopo poté tornare sul ring, con un danno notevole sulla sua carriera e ciò per restare coerente alle sue convinzioni politiche. Un insegnamento che oggi fa fatica a passare anche a sinistra.

mandea_ali
Con Nelson Mandela, dopo la liberazione del leader anti-apartheid

Mohamed Ali non solo ammirava Nelson Mandela, leader della lotta anti-apartheid in Sudafrica, ma fu un grande sostenitore della causa palestinese: nel 1974 visitò un campo profughi in Libano e a Beirut dichiarò senza mezzi termini: “Gli Stati Uniti sono la roccaforte del sionismo e dell’imperialismo” e, in modo ancora più esplicito: “in nome mio e di tutti i musulmani d’America, io dichiaro il mio sostegno alla lotta palestinese per liberare la loro patria e scacciare gli invasori sionisti”. Nel 1985 poi si recò in Israele per negoziare il rilascio di alcuni prigionieri politici arabi incarcerati dal regime di Tel Aviv. Missione che la campagna filo-palestinese BDS ha voluto ricordare con gratitudine nel proprio comunicato di cordoglio.

Mohamed Ali in Unione Sovietica con Leonid Brezhnev
Mohamed Ali in Unione Sovietica con Leonid Brezhnev

Il campione ebbe parole benevole per l’Unione Sovietica, dove incontrò l’allora segretario generale Leonid Brezhnev. Quest’ultimo fu definita dal pugile come una persona “calma che vuole la pace” e sull’URSS affermò: “Non ho visto un singolo mendicante per le strade della Russia sovietica. Non mi sono mai sentito così sicuro, non vi è nessun rischio di essere derubati. Mi è stato detto che in Unione Sovietica non c’è libertà di religione, ma in realtà i musulmani, i cristiani e gli ebrei praticano liberamente il loro culto. Credo che il rapporto tra i nostri popoli sia negativo solo a causa della falsa propaganda“. Poteva dirlo con cognizione di causa poiché una volta giunto a Mosca pretese di poter visitare una repubblica a maggioranza musulmana che fosse membro dell’URSS e infatti si recò nell’Uzbekistan socialista, come riportato pure in questo articolo (link). Mohamed Ali fu anche un amico di Cuba dove incontrò Fidel Castro e non è un caso se l’organo ufficiale dei sindacati cubani, “Trabajadores”, abbia tributato al pugile un dossier speciale non appena la notizia del decesso è stata confermata.

Lascia un commento