Uno dei temi che da più tempo è oggetto di discussione – invero non sempre trasparente – nel mondo della scuola del Canton Ticino è quello relativo allo stato degli stabili. Durante la sua seduta di fine gennaio, il Gran Consiglio ticinese ha stanziato 56 milioni di franchi nell’infrastruttura scolastica. Nel rapporto si legge: “La scuola merita certamente sedi dignitose, in buono stato e rispettose di rigorosi criteri di sicurezza”. Che dire? “Era ora che anche la politica se ne rendesse conto! Come sindacato studentesco non possiamo che essere soddisfatti di questo risultato: è da tempo che denunciamo la situazione e finalmente si stanno raggiungendo dei risultati significativi!” spiegano i coordinatori del Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA) Rudi Alves e Sarah Sbabo.
La svolta risale però in sé già al settembre 2015 quando il Dipartimento dell’Educazione della Cultura e dello Sport (DECS) sblocca un “masterplan sull’edilizia scolastica” da 600 milioni di franchi spalmati su 16 anni. Un progressivo miglioramento che proviene da una lotta pluriennale condotta anche dalla perseveranza del movimento studentesco. Ne era convinto già allora Zeno Casella, sindacalista del SISA che precisava: “grazie al lavoro di protesta svolto dal SISA negli anni si inizia quindi a scorgere una luce in fondo al tunnel: ora occorre però essere vigili, dal momento che la messa in atto del piano d’investimento è tutt’altro che scontata”.
Studenti espulsi per mancanza di …aule
Ma non sempre le notizie sono state positive e il conflitto era emerso regolarmente. Viene da dire che la storia stessa del movimento studentesco ticinese si dipana attraverso una serie di lotte proprio per gli spazi. Basti pensare al giugno 2003 quando un gruppo di studenti del Centro per le industrie artistiche (CSIA) di Lugano regolarmente promossi dalla prima alla seconda classe furono esclusi dalla scuola per insufficienza di aule, mentre i loro colleghi frequentavano i corsi di pittura nelle cantine prive di rubinetti con acqua corrente.
Già allora era intervenuto il neonato Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti, che successivamente, nel 2005, fu al centro dell’attenzione pubblica per aver lanciato l’allarme sulla presenza di amianto in varie sedi scolastiche. L’anno dopo lo stesso sindacato partì inoltre con una campagna sugli spazi mancanti ma la situazione culminò con un’azione di protesta a Chiasso sei anni più tardi.
Il caso “amianto”
Nel gennaio 2005 il SISA era stato promotore di una intensa campagna per denunciare la presenza di amianto in ancora troppi istituti scolastici del Cantone. Il tutto era partito dai timori espressi pubblicamente da alcuni allievi e docenti del Liceo Cantonale di Bellinzona a seguito di alcuni morti nel corpo insegnante. In quell’anno vi era ancora un senso di omertà, tanto che il SISA dovette persino rivolgersi al responsabile per la protezione dei dati per poter ricevere – e comunque da vie traverse e mai ufficiali – l’elenco (che nelle segrete stanze di palazzo girava fin dal 1985) con tutti (?) gli edifici contenenti amianto che però ai rappresentanti degli studenti veniva negato: decine di sedi di scuola media da Acquarossa fino a Morbio Inferiore, passando per Biasca, Tesserete e Losone; una ventina di scuole professionali e praticamente tutte le sedi liceali risultavano contaminate o, perlomeno, a rischio. Inutile dire che il SISA – ricorda l’allora coordinatore Massimiliano Ay – “venne ostacolato in ogni modo, siamo stati trattati a pesci in faccia, accusandoci addirittura di inventarci i problemi per farci pubblicità” ma nel marzo 2011 – con sei anni di ritardo – il Consiglio di Stato, ammettendo la presenza in grandi quantità di amianto in forma “floccata” che costituiva un elevato pericolo per la salute di chi vi entri in contatto, decise di bonificare la Scuola Cantonale di Commercio (SCC) di Bellinzona. E pensare che, sei anni prima, quando il sindacato studentesco era insorto, la Direzione scolastica sminuiva il tutto parlando di un paio di lastre con amianto non friabile (quindi apparentemente innocuo) scoperte in un solo locale isolato.
Il SISA lotta per gli spazi
Nel dicembre 2006 il SISA pubblica un documento che va oltre il mero elemento sindacale ed assume anzi un tratto programmatico, fortemente politico, intitolato “Miglioriamo la nostra società e la scuola prima che prevalgano il disagio e la disgregazione” in cui si afferma: “Nostro compito ora è quello di superare ogni argine, di vincere ogni incertezza: deve finire la stagione della selezione sociale, del sovraffollamento delle scuole, della negazione di spazi giovanili e socio-culturali, della mancanza del diritto ad alloggi popolari, dell’assenza del diritto ai trasporti pubblici gratuiti per studenti e apprendisti. Ci hanno dato il benessere del consumismo, ma ci stanno togliendo il diritto ad un’istruzione di qualità. E un’istruzione di qualità va ben oltre alla semplice lezione a scuola, ma significa molto più in generale una vita di qualità”. Nel medesimo testo si denuncia in particolare la situazione degli studenti del Liceo di Lugano 1 stipati in baracche prefabbricate con addirittura tre allievi per banco, per non parlare delle proteste per le temperature troppo basse e fuori norma nelle palestre del Liceo di Savosa.
Lo sciopero al CPC di Chiasso
Neanche dieci mesi dopo la sua entrata in funzione, il neo-ministro dell’educazione ticinese, il socialista Manuele Bertoli (che ereditava un DECS fino ad allora sempre in mano ai liberali-radicali) si trova una gatta da pelare. Nel febbraio 2012 si arrivò infatti persino a uno sciopero degli studenti del Centro Professionale Commerciale (CPC) di Chiasso, non solo per l’assenza di acqua calda nei bagni, ma anche per lo stato fatiscente della struttura lasciata al gelo.
Gli allievi facevano lezioni praticamente all’interno di un cantiere con conseguenti rumori e oggetti pericolanti. Il direttore dell’istituto ebbe pure l’intelligenza di suggerire ai ragazzi di alzare le tapparelle delle aule – peraltro rotte! – per far entrare il sole e di rimediare al gelo con un …abbigliamento più pesante. intervenendo poi per allontanare fisicamente dalla sede i vertici del SISA Janosch Schnider e Francesco Vitali intervenuti in difesa dei diritti degli allievi che protestavano. Il caso di Chiasso apriva di fatto il vaso di pandora sull’edilizia scolastica, con interventi anche in ambito politico: la Lega dei Ticinesi, l’UDC e il Partito Comunista si erano trovati uniti allora nel denunciare la situazione.
Ennesima baraccopoli al Liceo di Savosa
Nel 2014, a seguito dell’ennesimo caso di degrado delle strutture con il progetto presso il Liceo Cantonale di Lugano 2 di installare delle aule prefabbricate aggiuntive sul sedime della scuola, il SISA torna alla carica, parla di “baraccopoli” e lancia una nuova campagna di sensibilizzazione sul territorio. Il ministro Bertoli viene definito “sonnecchiante”. Il sindacato studentesco rivendica a quel punto “un piano cantonale per l’edilizia scolastica!” e finalmente qualcosa inizia a muoversi. In realtà già l’anno prima, cogliendo astutamente l’occasione delle elezioni comunali di Lugano, il sindacato aveva proposto un “#pattoscuola“, il cui primo firmatario era l’allora liceale Edoardo Cappelletti, candidato al municipio della Città per la lista che univa socialisti e comunisti, ma che aveva ricevuto pure un plauso dal sindaco liberale uscente Giorgio Giudici.
Il Masterplan 2015-2031
Il problema dell’edilizia scolastica è un tema importante che finalmente il governo ticinese ha voluto affrontare a partire dal Masterplan DECS 2015-2031 da 600 milioni di franchi, in cui sono indicati i crediti necessari per le varie opere e la loro distribuzione nel tempo. Il Partito Comunista, per bocca del suo deputato Massimiliano Ay, aveva dal canto suo preso in mano la questione in ambito parlamentare e aveva lodato, a fine 2017, “l’attenzione dimostrata verso l’edilizia scolastica, un tema importante che in passato si affrontava con effimeri cerotti e non con interventi strutturali. C’è ancora molto da fare, ma riconosco che il Consiglio di Stato sta affrontando la situazione”. E tuttavia, sottolineavano i comunisti in un ulteriore atto parlamentare, le indicazioni di tale Masterplan “possono subire variazioni in base ai piani finanziari degli investimenti delle varie legislature che di fatto determineranno cosa si potrà concretamente realizzare”, una preoccupazione che si faceva strada a causa anche di vari ritardi sulla tabella di marcia.