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Le donne paragonate ai copertoni, e il parlamento rifiuta la parità salariale…

La parità salariale fra uomo e donna è sancita dalla Costituzione federale svizzera, eppure nella realtà dei fatti non viene rispettata: oggi le lavoratrici guadagnano ancora il 20% in meno dei loro colleghi uomini a parità di mansione e di formazione. Un fatto grave, più volte denunciato dai sindacati e dalla sinistra, ma che evidentemente, al di là delle belle parole, non è accettato dal padronato e dalla cultura imprenditoriale così ben rappresentata anche nel Gran Consiglio ticinese.

Aiutiamo le aziende, anche quelle che sfruttano!

Durante l’ultima seduta del Gran Consiglio ticinese si è assistito a un dibattito dai toni quasi medievali. Si doveva parlare dei cosiddetti di “casi di rigore”, cioè degli aiuti statali da destinare alle aziende colpite dal blocco dell’attività produttiva a causa della pandemia. Misure, queste, che tutto l’arco parlamentare ha ritenuto importanti, certo, ma a dividere i partiti è stato un emendamento delle deputate del movimento “Più Donne” che verteva sulla parità salariale fra uomo e donna. La deputata Tamara Merlo, fondatrice del movimento che conta due seggi nel parlamento cantonale, ha spiegato che “tenuto conto che in questo particolare frangente lo Stato interviene a sostegno delle aziende, si giustifica che questi aiuti siano erogati unicamente laddove la parità salariale – che è legge – sia rispettata”. Merlo ha poi concluso che “è il momento di pensare ai furbetti che per sistema pagano le donne in media un 20% in meno, questo è un abuso, il più grande abuso della storia”.

La promotrice del dibattito Tamara Merlo

L’ex-procuratrice pubblica Natalia Ferrara, ormai una voce “dissidente” nel Partito Liberale Radicale (PLR), pur condividendone lo spirito, ha tuttavia ritenuto inutile questa precisazione, visto che il decreto legislativo che si andava a votare prevedeva già che gli imprenditori dovessero “attestare il rispetto dei requisiti di legge”: essendo la parità salariale una legge, essa andava quindi già considerata un requisito. Ma a bloccare questa interpretazione ci ha pensato il ministro dell’economia e delle finanze, il Consigliere di Stato del PLR Christian Vitta, che si è arrampicato in una interpretazione giuridica, spiegando che con “requisiti di legge” si intendeva in realtà solo le norme legate alla crisi COVID-19 che appunto non parlano di parità salariale e dunque “non tutto l’arco legislativo federale o cantonale”. L’interpretazione della lettera è corretta, ma il messaggio politico del ministro è mostruoso: e cioè che le leggi di un paese, a questo punto, non si devono per forza sempre rispettare…

Il Partito Comunista e il Partito Socialista contro gli abusi padronali

A nome del Partito Comunista ha preso la parola il parlamentare Massimiliano Ay che ha confermato l’importanza di aiutare le aziende in difficoltà affinché si salvaguardino i posti di lavoro, tuttavia non senza porre alcuni paletti. Ay ha spiegato che il minimo è, appunto, chiedere che queste aziende garantiscano la parità salariale fra lavoratrici e lavoratori, ma che occorrerebbe pure imporre il divieto di licenziamento per quegli imprenditori che ricevono aiuti dalla collettività. Il capogruppo socialista Ivo Durisch dal canto suo ha insistito sul fatto che l’emergenza sanitaria debba servire a eliminare le ingiustizie e a migliorare la società, anche dal punto di vista culturale.

Il deputato comunista Massimiliano Ay a difesa delle lavoratrici

Di altro avviso il giovane deputato del PLR Sebastiano Gaffuri che ha chiesto di “mettersi nei panni delle PMI che magari devono fare sacrifici salariali per il bene dell’azienda”. Insomma: per salvare gli amici imprenditori, in particolare quelli meno virtuosi, sembra che per il fronte borghese si possa tranquillamente non rispettare la legge e la Costituzione!

Una gaffe dietro l’altra…

Sul fronte dei contrari si è posto l’ex-insegnante Edo Pellegrini, deputato dell’Unione Democratica Federale (UDF), il piccolo partito di stretto orientamento biblico alleato all’Unione Democratica di Centro (UDC), che ha bocciato l’emendamento, definendolo né più né meno che: “una frasetta” sostanzialmente inutile.

Il deputato Giovanni Berardi del Partito Popolare Democratico (PPD) si è invece prodigato nella costruzione di un ragionamento in cui è riuscito a paragonare le donne lavoratrici nientemeno che ai copertoni di un’automobile: “è come se durante un incidente stradale, la polizia oltre alla fluidità del traffico facesse anche il controllo delle gomme dei veicoli in colonna”. A dargli man forte il “suo” capogruppo: Maurizio Agustoni, il quale – citando un brano del cantautore anarchico Fabrizio De André – ha affermato che “un ladro non muore di meno”: adesso, insomma “la priorità è salvare i ladri, ci sarà tempo e modo dopo per verificare se rispettano la parità salariale”. In fin dei conti “agli imprenditori che salviamo non chiediamo se hanno la fedina penale pulita” ha chiosato. Al di là del paragone imprenditore=ladro che avrà fatto sobbalzare dallo scranno alcuni suoi colleghi diretta espressione del capitalismo cristiano, si è trattato di un esercizio di stile che in buon dialetto definiremmo una “uregiatada”: va da sé infatti che le punizioni in questo ambito tardano sempre ad arrivare.

Il democristiano Giovanni Berardi, autore del geniale paragone

In conclusione è ancora intervenuto Christian Vitta che ha perorato la causa del padronato chiedendo di respingere l’emendamento poiché le conseguenze “non sarebbero indolori”: “se noi aggiungiamo il criterio della parità salariale chi non lo rispetta non riceverebbe alcun indennizzo anche se ha perso il 70% della cifra d’affari”. Insomma anche se sfruttano, dobbiamo chiudere un occhio!

La parità salariale fra donne e uomini va fatta rispettare: il padrone d’azienda prima risolve il problema e si mette in regola pagando il giusto le sue salariate e poi potrà accedere senza problemi ai soldi pubblici. Altrimenti si perpetua un sistema di illegalità che stranamente, però, la giustizia borhese non persegue …anche perché il Gran Consiglio con 50 voti contrari 26 favorevoli e 4 astenuti ha respinto l’emendamento di “Più Donne” e ha strizzato l’occhio nuovamente agli imprenditori umiliando la classe operaia.