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Per il PC svizzero, “gli USA non sono il faro della democrazia, ma dell’imperialismo!”

Il clamoroso assalto al palazzo del Campidoglio, sede del Congresso statunitense, avvenuto mercoledì ha suscitato numerose e variegate reazioni in tutto il mondo, tanto sul piano mediatico che su quello politico. Non è mancata in questo senso la presa di posizione del Partito Comunista svizzero, la cui Direzione ha approvato ieri una risoluzione dal titolo eloquente: “Gli USA non sono il faro della democrazia, ma dell’imperialismo”.

L’assalto al Capitol rappresenta il declino del modello atlantico

Secondo i comunisti elvetici, l’invasione di Capitol Hill dimostra la profonda divisione che attraversa la società nord-americana: “quello che accade a Washington dimostra che un numero non indifferente di cittadini statunitensi sono convinti – poco importa se sia vero – che le elezioni presidenziali siano state truccate”. La risoluzione sottolinea come questo sia peraltro l’argomento genericamente utilizzato dal governo USA per screditare i processi democratici degli altri paesi (come Venezuela, Bielorussia o Siria): come ha avuto modo di sottolineare il segretario del PC Massimiliano Ay, “chi semina vento, raccoglie tempesta!”.

Per il PC svizzero, questo episodio segna una importante cesura storica, che corrisponde al “declino, forse lento ma probabilmente irreversibile, del modello liberal-atlantista”: “gli apologeti della ‘democrazia’ e della ‘libertà’ tipica dell’american way of life, hanno ricevuto ieri la conferma che la loro epoca di egemonia unipolare sul mondo si sta avviando alla conclusione: ci troviamo cioè in una fase storica nuova e di cambiamento”.

Secondo i comunisti, è poco probabile l’ipotesi dell’auto-golpe

La risoluzione della Direzione del PC mette l’accento sui retroscena di questo assalto alla sede del Congresso statunitense, sottolineando l’insufficienza dell’apparato di sicurezza: “mentre pochi mesi fa la polizia in forze reprimeva con la violenza i pacifici cortei di solidarietà con gli afroamericani, ieri era palesemente sottodotata e ha mostrato fin troppa indulgenza mentre il parlamento veniva assaltato”.

Ricordando come la Capitol Hill Police dipenda direttamente dal Congresso e non dal Presidente (che non avrebbe dunque potuto ridurre il servizio d’ordine per facilitare l’accesso ai suoi sostenitori), il Partito Comunista tende ad escludere l’ipotesi dell’auto-golpe in favore di Trump: “non possiamo essere così ingenui da non vedere che un colpo di stato non lo fanno dei sottoproletari esagitati: è più probabile che ci si trovi di fronte a una forma di ‘strategia della tensione’ che permetta di ricompattare temporaneamente l’establishment del duopolio repubblicano-democratico dopo la fase divisiva di Donald Trump alla Casa Bianca e che tornerà utile soprattutto al prossimo Presidente Joe Biden”.

Un quadro politico e sociale instabile

Secondo i comunisti elvetici, le prospettive sono in ogni caso tutt’altro che improntate alla stabilità o alla calma: “l’eventuale ricompattarsi della classe dirigente statunitense sarà tuttavia comunque instabile, non solo perché il malcontento popolare è evidente e i reali margini democratici interni al sistema tanto ridotti da non riuscire a colmare la polarizzazione politica, ma anche perché gli interessi della stessa borghesia USA sono diversi e il contrasto inter-imperialista potrà solo crescere”.

Benché, visto il grado di conflittualità della società statunitense, non si possa escludere un’escalation di violenza nei prossimi mesi e anni, “a preoccupare i comunisti deve essere l’assenza di una sufficientemente forte organizzazione sindacale sul piano di massa e di un partito di classe adeguatamente organizzato e radicato negli USA senza i quali risulta difficile immaginare sbocchi progressivi nel breve periodo”.

Trump: un presidente “storicamente utile”

Malgrado la fine ingloriosa del suo mandato e la tendenza al ricompattamento evidenziatasi in seguito all’assalto di mercoledì, per il PC svizzero la presidenza Trump ha comunque avuto qualche risvolto positivo. Innanzitutto, “da un’ottica di classe il primo dato politico a emergere, è che l’Amministrazione Trump è stata in qualche modo storicamente ‘utile’ in termini marxisti poiché ha aperto un forte conflitto all’interno della borghesia statunitense”.

In secondo luogo, “l’attuale movimento pro-Trump, oltre ad aver definitivamente messo a tacere il presidente uscente, ha contribuito a rendere ancora meno credibile agli occhi dei popoli un regime che ci si ostina a considerare impropriamente un faro di democrazia”. Per i paesi oppressi e dominati dall’imperialismo atlantico, sarà dunque oggi più semplice cercare delle alternative al modello liberale e borghese finora loro imposto senza alternative: secondo il PC, queste nazioni “domani saranno le protagoniste di un mondo finalmente multipolare e più pacifico”.

Il telegiornale della RSI ha dato molto spazio ai fatti di Washington: troppo, secondo il PC.

Critiche al Telegiornale della RSI: “i giornalisti svizzeri siano indipendenti dalle americanate”

Da parte del Partito Comunista non sono mancate le critiche al servizio pubblico radiotelevisivo: con un comunicato stampa, la direzione del partito ha stigmatizzato l’operato della Radiotelevisione della Svizzera Italiana (RSI), che ha aperto il suo telegiornale (TG) con l’inno nazionale americano e una carrellata di immagini “dallo studiato sapore emotivo”. Per i comunisti elvetici, questi “sono tutti simboli di una subalternità alla cultura americana che il servizio pubblico radiotelevisivo del nostro Paese avrebbe potuto anche evitare: non siamo infatti una colonia americana!”

Al PC non è andata giù la scelta di dedicare l’intera edizione del TG agli avvenimenti di Washington, quando spesso per episodi analoghi avvenuti in altri paesi (come il Venezuela o la Siria) l’attenzione (e la drammatizzazione) è stata molto minore. D’altronde, la narrazione dell’emittente radio-TV pubblica non sembra essere stata caratterizzata da un particolare distacco giornalistico: “anche a Comano non sono mancate alcune sviolinate a Joe Biden che lungi dall’essere un’alternativa a Trump è simbolo di quel pensiero neoliberale e guerrafondaio di cui i nostri media dovrebbero raccontare con maggiore solerzia”.