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A 19 anni dal G8 di Genova. Parla Vittorio Agnoletto.

Sono passati 19 anni dai fatti del G8 di Genova. La città venne blindata e si scatenò una repressione militare cieca e inaudita per un paese “democratico” contro la sinistra e i manifestanti no-global che culminò con l’assassinio, per mano di un carabiniere di leva, di un ragazzo di 23 anni, Carlo Giuliani, alle 17:27 del 20 luglio 2001 e con la feroce repressione del dormitorio dei militanti presso la Scuola Diaz.

Vittorio Agnoletto: dalla LILA al Social Forum

A guidare la grande mobilitazione di popolo vi era il Genoa Social Forum, il cui portavoce era colui che in seguito sarebbe diventato europarlamentare di Rifondazione ComunistaVittorio Agnoletto, con un passato in Democrazia Proletaria e che, all’epoca del G8, era anche presidente della Lega italiana per la lotta contro l’AIDS (LILA).

Agnoletto diventa il simbolo di quel movimento, era riconosciuto come tale persino dalle autorità. Ai compagni marxisti-leninisti di maggiore esperienza, fra cui Gianfranco Bellini, che avevano previsto la repressione, il Genoa Social Forum rispose però che non vi era bisogno di alcun servizio di sicurezza: Agnoletto ricorda come, prima dell’assassinio di Carlo Giuliani, egli stesso si potesse muovere liberamente per la città, ma come dopo quel 20 luglio: “ho dovuto chiedere alla FIOM di fornirmi due persone come scorta. Non eravamo organizzati da questo punto di vista”.

Agnoletto ha già parlato di quell’esperienza per certi versi tragica in occasione del 10° anniversario: nel 2011 infatti, come ricorda questo nostro articolo, fu ospite del Partito e della Gioventù Comunista Svizzera alla Casa del Popolo di Bellinzona.

Il giornalista Claudio Jampaglia lo ha voluto intervistare oggi per Radio Popolare in occasione di questo 19° anniversario: vogliamo qui riprendere alcune sue dichiarazioni.

La globalizzazione capitalista nega il diritto alla salute

Vittorio Agnoletto, nell’intervista, ricorda che la LILA aderì al Genoa Social Forum perché “uno dei temi sul tavolo era la famosa questione dell’accesso ai farmaci”. Qualcosa di estremamente attuale oggi in riferimento al vaccino sul COVID-19. L’ex-leader delle proteste di Genova ricorda infatti come nel 1996 in Sudafrica il 30% delle donne erano positive all’AIDS e il presidente Nelson Mandela di fronte al rifiuto delle aziende farmaceutiche di vendere i farmaci antiretrovirali a prezzi più bassi, fece approvare una legge che permetta alle aziende sudafricane di non rispettarne i brevetti. Quasi una quarantina di multinazionali avviarono un processo contro il Sudafrica dentro l’Organizzazione Mondiale del Commercio, e solo nell’aprile 2001 dopo una mobilitazione mondiale, le multinazionali ritirarono la denuncia e ci fu un modesto accordo. “La globalizzazione che noi contestavamo – spiega Agnoletto a 19 anni di distanza – si concretizzava negli accordi sulla proprietà intellettuale che escludevano milioni e milioni di persone dalle terapie”.

C’è la globalizzazione di Trump, ma c’è anche quella di Cuba e della Cina…

Agnoletto è severo nel suo giudizio sul mondo a quasi un ventennio da quelle lotte, ricordandone il carattere premonitore: “noi all’epoca abbiamo svolto un ruolo che poi nella storia è diventato quasi quello delle Cassandre”: sia per quanto concerne l’aver previsto la crisi economica e sociale del 2008, sia per aver anticipato i rischi del surriscaldamento climatico. Ma Agnoletto riconosce anche che può esistere una globalizzazione dei diritti umani, quella di “medici cubani, cinesi, romeni, venezuelani e albanesi che sono arrivati in Italia per aiutarci nella lotta contro l’epidemia di COVID-19”. Mentre in quelle stesse identiche settimane – continua l’ex-portavoce del Social Forum – “Trump acquista in anticipo tutte le dosi di remdesivir, il farmaco utile nelle fasi avanzate della malattia, e in questo modo gli altri Paesi, di fronte ad un rebound, dovranno arrangiarsi”.

Pensare a Genova mette ancora i brividi

Invitato a ripensare alle sensazioni emotive di quei giorni, Agnoletto risponde in questi termini: “Quando penso a quelle giornate, anche in questo momento, ho i brividi. La testa e il corpo tornano dentro quelle giornate e tornano al momento preciso in cui io, tra i primi, ho saputo che era stata ammazzata una persona. Poi abbiamo saputo che si trattava di Carlo Giuliani ed è stata fatta tutta la montatura attorno all’assassinio di Carlo e quelle giornate tremende di tensione”.

Un insegnamento da trarre quindi è anzitutto sicuramente il fatto che le fakenews appartengono in primis al sistema dei media mainstream, ma un altro insegnamento è che per sviluppare un movimento di lotta capace di incidere nella società (e non solo a livello comunicativo) ci vuole senso politico e disciplina organizzativa, così da evitare le degenerazione idealistiche che rendono vani gli sforzo e che possono aprire brecce anche a vantaggio della repressione da parte della classe dirigente.