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“Viva la NATO”: socialisti svizzeri contro socialisti serbi!

Il Consiglio nazionale (la camera bassa del parlamento svizzero) ha votato lo scorso 4 giugno a favore del prolungamento della missione militare Swisscoy in Kosovo fino al 2023, aumentandone gli effettivi da 165 a 195 uomini. Dal 1999 sono circa 9’000 i soldati svizzeri che hanno prestato servizio sotto gli ordini non di Berna, ma della NATO suscitando le proteste dei settori pacifisti degli ecologisti, dei comunisti ma anche della destra nazionalista.

Swisscoy non è una missione di pace!

Swisscoy non è una missione di pace, come i media tendono a dipingerla paragonandola all’impegno dell’ONU. Essa, al contrario, è a tutti gli effetti una forza militare di occupazione integrata nella KFOR sotto l’egida cioè della NATO, l’alleanza atlantica che con la fine della guerra fredda è diventata a tutti gli effetti una coalizione di guerra certamente non più difensiva e anzi, da un’ottica di sinistra, al servizio degli interessi imperialistici principalmente (ma non solo) a stelle e strisce. Il fatto che la Svizzera non aderisca alla NATO, lascia quindi dei dubbi sulla legittimità del fatto che Berna rifornisca con propri uomini (armati dal 2002) i contingenti di guerra stranieri.

L’ONU è spaccato, ma la Svizzera neutrale si …schiera

Il Kosovo è un territorio conteso fra le forze secessioniste filo-atlantiche di Pristina – supportate dagli USA e dall’UE – e la Repubblica di Serbia che rivendica legittimamente la propria sovranità nazionale e la sua integrità territoriale. Il processo secessionistico che ha portato alla dichiarazione di indipendenza del Kosovo nel 2008 resta a tutt’oggi un atto unilaterale, riconosciuto solo da una parte della Comunità Internazionale. La Svizzera, nel 2008, con l’entusiastica adesione dell’allora ministra degli esteri socialdemocratica Micheline Calmy-Rey, commise il grave errore diplomatico di riconoscere, in barba alla neutralità, questo controverso processo secessionista e ora intende protrarne persino l’occupazione militare umiliando così la sovranità della Serbia, un paese con cui Berna mantiene peraltro relazioni improntate alla correttezza.

Delusi i movimenti pacifisti

Favorevole al ritiro del contingente Swisscoy è il Gruppo per una Svizzera senza Esercito (GSsE), il più numeroso movimento pacifista del Paese fondato nel 1982. Il ritiro dell’esercito svizzero non metterebbe in sé in discussione l’impegno per la pace in Kosovo sottolinea Aline Bressoud, segretaria del GSsE: “È indispensabile trasferire i soldi per la presenza militare a progetti di cooperazione allo sviluppo. Gli investimenti nell’istruzione e nella sicurezza sociale sono l’unico modo per sostenere la stabilità degli enti locali”.

Sulla medesima linea anche il Consiglio Mondiale della Pace (WCL), la cui sezione svizzera è il Movimento Svizzero per la Pace, proveniente invece dalla tradizione comunista, che considera illegale sia l’occupazione del Kosovo da parte della KFOR, sia il riconoscimento dell’indipendenza kosovara: il WCL da anni infatti denuncia “la nuova scalata nello sviluppo della scacchiera imperialistica dei Balcani, con l’unilaterale dichiarazione di ‘indipendenza’ del Kosovo”.

I giovani socialisti rampanti ma …astenuti

Non stupisce il Partito Socialista Svizzera (PSS): nel nome dell’europeismo eretto a dogma e influenzato dalla cultura “umanitarista” che rasenta spesso il pietismo, della serie “dobbiamo aiutare la popolazione civile” (…occupandoli militarmente!) i consiglieri nazionali socialdemocratici hanno votato in modo quasi compatto a favore della missione NATO. Ci si attendeva forse però un sussulto di dignità almeno da chi, fino a ieri, era espressione della GISO/JUSO (la Gioventù Socialista Svizzera) che ama mostrarsi come l’ala ultras della sinistra, sfoggiando una retorica anti-capitalista che nemmeno i comunisti… ebbene Fabian Molina (persino membro del GSsE) e Tamara Funiciello (che protestava in topless nel nome del femminismo), una volta eletti deputati, dopo aver votato a favore dell’entrata in materia, si sono …astenuti al momento del voto finale. Evidentemente di più la socialdemocrazia, quella vera non quella del ribellismo giovanile, non consente.

Peggio di loro hanno fatto quelli che qualche anno fa erano mediatizzati come “astri nascenti” della sinistra combattiva: Jon Pult e Cédric Wermuth i quali senza fiatare hanno appoggiato l’esercito! Il tutto contro la posizione espressa dal Partito Socialista di Serbia (SPS) che deve così prendere atto che i compagni svizzeri, per quanto tutti membri dell’Internazionale Socialista, preferiscono far felice l’estrema destra albanese.

Il Partito Svizzero del Lavoro …assente!

Astenutosi al momento del voto di entrata in materia, l’unico deputato del Partito Svizzero del Lavoro/Partito Operaio e Popolare (PSdL/POP), il neocastellano Denis de la Reussille era assente dall’aula al momento del voto finale. La Direzione del suo Partito, tuttavia, ha preso posizione con un comunicato stampa in cui si legge come il PSdL/POP sia schierato a favore “della pace mondiale fra le nazioni” e dunque anche a favore di “una Svizzera che si impegna per la pace”. Di conseguenza, il PSdL/POP “chiede il ritiro immediato di tutti i militari svizzeri dispiegati all’estero come pure la fine della cooperazione militare con la NATO”. Nessuna parola esplicita, però, sul secessionismo del Kosovo e sul suo riconoscimento da parte del Consiglio federale.

Il Partito Comunista contro il separatismo kosovaro

L’unico partito svizzero che non transige sulla difesa dell’integrità degli stati nazionali e sulla lotta all’imperialismo è notoriamente il Partito Comunista. Quest’ultimo partito è l’unico ad avere relazioni con la sinistra serba e, infatti, non si è fatta attendere una dura presa di posizione. La decisione della camera bassa del parlamento è per il Partito Comunista “gravissima e lesiva della nostra neutralità: non solo questa missione si svolge sotto l’egida della NATO, un’alleanza (che non è più di difesa nemmeno sulla carta) di cui la Confederazione non è membro, ma rappresenta una forma di occupazione di un territorio di uno Stato estero sovrano che non ha chiesto il nostro intervento”. Per il Partito guidato da Massimiliano Ay, il cui rigore anti-imperialista è noto, risulta “intollerabile che i nostri soldati obbediscano alla NATO” poiché “questa operazione di occupazione di un territorio conteso non risponde in alcun modo a un presunto ruolo di difesa della nostra neutralità e indipendenza, cui sarebbero invece (teoricamente) chiamate le nostre forze armate”. Nel comunicato diramato dal Partito si legge infatti che la NATO “sta occupando militarmente il Kosovo, un territorio conteso fra le forze secessioniste filo-atlantiche di Pristina – supportate dagli USA e dall’UE – e la Repubblica di Serbia che rivendica legittimamente la propria integrità territoriale”. Il Partito Comunista quindi “deplora in modo inequivocabile la decisione di Berna, che rappresenta l’ennesima dimostrazione di come il nostro Paese si stia chinando senza ritegno ai diktat degli Stati Uniti e dell’Unione Europea anche in ambito militare”. Ma i comunisti non le mandano a dire nemmeno ai socialisti contestandone la linea adottata la quale “oltre a seguire i diktat delle organizzazioni separatiste kosovare, denota un pericoloso genuflettersi alle pressioni dello Stato Maggiore Generale dell’Esercito”.

I comunisti serbi divisi ma uniti a difesa dell’integrità territoriale del loro paese

Sia l’extra-parlamentare NKPJ – il Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia – di impostazione marxista-leninista e critico verso il passato socialista della ex-Jugoslavia; sia il più istituzionale Partito Comunista della Serbia (KP) di tradizione “titina” e guidato dal deputato Joska Broz, nipote del maresciallo Josip Tito leader della Jugoslavia socialista dal 1945 al 1980, concordano almeno su un punto. Il Kosovo appartiene alla Repubblica di Serbia e la sua occupazione militare da parte della NATO (e della Svizzera) è illegale.

Anche il più grande Movimento dei Socialisti (PS), diretto da Aleksandar Vulin, ministro della difesa del governo serbo, ha fatto dell’unità nazionale della Serbia un punto fermo della propria linea politica. Non è un caso, forse, che proprio lo scorso anno un delegato del Partito Comunista svizzero, Davide Rossi, è stato ricevuto con tutti gli onori propri nella sede nazionale del Movimento a Belgrado.

Oltre 25 partiti comunisti dichiarano: “Kosovo is Serbia – NATO go home!”

Nel mese di novembre dello scorso anno ventisei partiti rivoluzionari provenienti da tutto il mondo, riunitisi a Izmir (Turchia) avevano votato una risoluzione di solidarietà al popolo serbo. Fra le firme più autorevoli vi erano non solo imponenti partiti nazionali di massa come il Partito Comunista della Federazione Russa o il Partito Comunista Portoghese, ma anche forze che il diritto all’autodeterminazione lo hanno rivendicato come il Partito dei Comunisti di Catalogna, il Partito Comunista Palestinese, il Partito dei Lavoratori del Bangladesh, ecc. Nella risoluzione, promossa dal NKPJ, si legge “20 anni dopo la fine dell’aggressione imperialista criminale contro la Repubblica federale di Jugoslavia nel 1999, il Kosovo e Metohija rimangono territori occupati dal suo pugno militare, la NATO. Sia i serbi che gli albanesi furono occupati, così come tutti gli altri residenti nella provincia serba meridionale, dove oggi c’è la più grande base militare americana al di fuori degli Stati Uniti. Questa occupazione è il principale risultato di un’aggressione che ha causato oltre 4’000 vittime innocenti e causato danni materiali alla Jugoslavia per oltre 100 miliardi di dollari”. I firmatari chiedevano quindi “alle truppe NATO occupanti di lasciare immediatamente il territorio della provincia serba meridionale e chiede il suo immediato ritorno del Kosovo e Metohija alla sovranità della Serbia. Serbi e albanesi in Kosovo dovrebbero unirsi nella lotta contro l’imperialismo e l’occupazione”. Si affermava in conclusione che qualsiasi demarcazione, divisione, sostituzione di territori, ecc “sono inaccettabili. L’obiettivo principale dell’imperialismo occidentale è costringere le autorità di Belgrado a riconoscere i confini tra Serbia e Kosovo e l’appartenenza del Kosovo alle Nazioni Unite, il che è a sua volta assolutamente inaccettabile”.