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Quando la sinistra è europeista e non ascolta i lavoratori…

“L’Unione Europea è un regime istituzionale talmente strutturato da essere immodificabile. Proposte come un’assicurazione europea contro la disoccupazione non sono realistiche, perché presuppongono un mercato del lavoro comune che oggi non c’è. Gli stati devono invece riacquisire la possibilità di un’autonoma politica monetaria. Ora c’è una moneta tedesca che è stata introdotta per tutta l’Europa, senza un governo centrale di tutti.”

A dichiararlo al quotidiano Il Manifesto e al portale Spiked-online.com è stato l’ex-direttore dell’Istituto Max Planck per lo studio delle società di Colonia, Wolfgang Streeck, sociologo di fama, che in Germania collabora con la capogruppo della Linke, Sahra Wagenknecht.

L’accademico ne è certo: “il nucleo neoliberale dell’UE e i risultati dell’integrazione europea sono destinati, nelle intenzioni dei loro autori, ad essere eterni e irreversibili. Ciò è mostrato dalla dura opposizione di Bruxelles all’uscita della Gran Bretagna, e dall’intenzione di renderla quanto più sgradevole possibile”.

Secondo il professore di fronte al crescere del sentimento anti-europeista dei lavoratori che trovano sbocco elettorale nei movimenti della destra populista “c’è un alto rischio che l’insistenza di Berlino, Parigi e Bruxelles nel prolungare ed estendere le istituzioni europee porterà a gravi conflitti tra le nazioni europee, come non ne abbiamo più visti dal 1945”. Uno scenario che potrebbe essere evitato se finalmente i partiti operai e della sinistra tornassero ad ascoltare la classe operaia impedendo che siano i nazionalisti a intercettarne i bisogni.

“In nessun punto della storia del socialismo si trova l’idea che i lavoratori sono moralmente obbligati a competere fino a perdere il lavoro con lavoratori in paesi dove gli stipendi sono più bassi” – spiega Streeck, che aggiunge: “nella tradizione del socialismo non c’era l’obiettivo di una internazionale degli stati, ma dell’internazionale dei lavoratori, affinché i capitalisti non li mettessero gli uni contro gli altri, come invece avviene oggi. Lo dico con una battuta: negli anni ’70 noi inviavamo le armi ai vietcong, non lottavamo perché potessero venire in Germania dal Vietnam.”