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“Soldati sparate contro i vostri ufficiali!”. Nel senato italiano si ricorda la Rivoluzione bolscevica.

Lo scorso 24 ottobre, nell’aula del Senato italiano, a Roma, il filosofo Mario Tronti ha chiesto la parola per ricordare il centenario della Rivoluzione d’Ottobre: “il 24 di ottobre, secondo il calendario giuliano, o il 7 novembre, secondo il calendario gregoriano, del 1917, esplodeva nel mondo la rivoluzione in Russia. Mi sono interrogato sull’opportunità di proporre qui, nel Senato della Repubblica, il ricordo di questa data. Sono consapevole che questo arrivi a turbare la sensibilità di alcuni, e di alcune, che legittimamente possono nutrire, nei confronti di quell’evento, una ostilità assoluta. Ma siamo a cento anni da quella data e possiamo parlarne, come io intendo parlarne, con passione e nello stesso tempo con disincanto”.

Un gesto faticoso da capire oggi, dove la politica istituzionale è ridotta a mera amministrazione e dove le grandi passioni ideologiche sono ormai quasi sconosciute. Ancora più faticoso da capire se pensiamo che il senatore protagonista di questa storia è stato eletto nella fila del Partito Democratico, il più feroce liquidatore della sinistra in Italia. E nonostante ciò Tronti, che proviene dalla tradizione “operaista”, rende omaggio a chi prima di lui, nel Senato e alla Camera dei deputati di Roma, “soprattutto nella prima Legislatura, seguita alla Costituente, presero posto alcuni protagonisti che avevano vissuto quella storia in prima persona”. Fra i padri costituenti della Repubblica italiana, infatti, i comunisti furono in prima fila!

Lenin, il leader dei comunisti

Mario Tronti entra poi nel merito di quei “dieci giorni che sconvolsero il mondo” e lo fa con parole vere ma che, pronunciate in un parlamento di un paese imperialista, suonano quasi eversive: “la prima rivendicazione, che forse più di altre produsse il successo della rivoluzione, fu la rivendicazione della pace: la pace ad ogni costo, si disse, anche a costo di perdere la guerra” – ricorda il senatore. “Quando Lenin, contro tutti, firmò il trattato di Brest Litovsk, accettò tutte le più pesanti condizioni, pur di riportare a casa i soldati. Lenin era l’autore di quella che a mio parere è stata la più audace di tutte le parole d’ordine sovversive, quando disse: soldati operai e contadini russi non sparate sui soldati e contadini tedeschi, ma voltate i fucili e sparate sui generali zaristi. C’era quella idea, che era stata per primo di Marx. dell’internazionalismo proletario, ‘proletari di tutti i paesi unitevi’: un’idea niente affatto di parte, che affonda invece le sue lunghe radici nell’umanesimo moderno. Già nei moti rivoluzionari del 1905 i soldati si erano rifiutatati di sparare sulla folla, e avevano sparato sui loro ufficiali. 1905 e 1917 sono le due tappe della rivoluzione in Russia. La lucida strategia, che sarà dei bolscevichi contro i menscevichi, era che i comunisti dovevano mettersi alla testa della rivoluzione democratica per portarla alle sue naturali conseguenze, che stavano nella rivoluzione socialista”.

Ma non è tutto: raggiunta la pace e abbattuto il militarismo zarista, in Russia si deve costruire l’alternativa di società. Spiega Tronti: “se democrazia è infatti il kratos in mano al demos, il potere in mano al popolo, quale strumento più democratico dei soviet, dei consigli degli operai e dei contadini? Ma, attenzione, i soviet dovevano farsi Stato, dovevano assumere l’interesse generale. La rivoluzione partì su tre parole d’ordine: la pace, il pane, la terra. Parole semplici, che toccarono il cuore dell’antico popolo russo. Tre cose che erano state sottratte a quel popolo. La rivoluzione gliele restituì”.

L’ex-operaista poi continua a cerca di ragionare sul “terrore” che seguì la Rivoluzione bolscevica e si domanda: “qui c’è il grande problema del perché la rivoluzione sfocia storicamente nel terrore. E il problema non riguarda solo i proletari. I borghesi non hanno agito diversamente nella loro presa del potere. La rivoluzione inglese di metà Seicento, la rivoluzione francese di fine Settecento, ambedue hanno fatto cadere nel capestro la testa del re. E la rivoluzione americana, per produrre la più stabile democrazia del mondo, è dovuta passare per una terribile guerra civile. Dobbiamo dunque per questo rinunciare al tentativo di un rivolgimento totale? Occorre rassegnarsi alla pratica di cosiddette riforme graduali, che però mai riescono a minimamente mettere in discussione il rapporto, che poi è un rapporto di forza, tra il sotto e il sopra, tra il basso e l’alto della società?”. La risposta in realtà è molto semplice: la storia si basa, infatti, sulla lotta fra classi sociali contrapposte: la classe dirigente non accetterà mai di farsi togliere i privilegi dalla classe subalterna che si rivolta, e dunque reagisce violentemente per far soccombere ogni moto rivoluzionario. Così come, una volta consolidatasi al potere la classe emergente, quest’ultima deve tutelarsi dai sabotatori che vorrebbero restaurare l’antico regime e imporre alla collettività le ingiustizie del passato.