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Il Giappone si riarma. Il Partito Comunista ribadisce la pregiudiziale pacifista!

Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1945, la Costituzione del Giappone impose una dottrina pacifista: nella legge fondamentale si ripudiò esplicitamente l’uso della forza per risolvere le contese internazionali e, addirittura, ci si negò il diritto di mantenere eserciti regolari. In sé, però, la borghesia giapponese, fin dagli anni ‘50, cercò di svincolarsi da questa politica considerata troppo ristrettiva, aspirando a rimilitarizzare il Paese e a tornare ai “fasti” imperialistici.

Kazuo Shii, leader del forte Partito Comunista Giapponese

Nel corso della guerra d’aggressione americana contro la Corea del Nord, nel 1952, gli USA occuparono di fatto pure il Giappone, grazie a un accordo con le autorità nipponiche che esternalizzarono agli statunitensi la propria sicurezza nazionale. Gli unici a opporsi a questo trattato nippo-americano sono stati il Partito Comunista Giapponese (JCP), il Partito Socialista Giapponese (JSP) e i sindacati.

Nel 1954 venne creato lo Jietai, un corpo paramilitare con scopi difensivi e, con la caduta dell’URSS, il Giappone modificò la legge, autorizzando la partecipazione di propri militari alle missioni di “peace keeping” decise dall’ONU. Saranno in effetti anche giapponesi i soldati che nel 2004 invaderanno l’Irak agli ordini di Washington.

Nel frattempo la politica giapponese muta: il Partito Socialista Giapponese cede, abbandona la propria linea anti-imperialista ostile agli Stati Uniti e cambia nome in Partito Democratico; il Partito Liberale Democratico si sposta a sua volta a destra e diventa ferocemente nazionalista. Quest’ultimo partito, una volta al governo, tenta di forzare la mano, togliendo i riferimenti pacifisti dalla Costituzione, ma trovano l’opposizione sia del partito buddista anti-atomico Komeito, sia del forte JCP, l’unico partito sempre rimasto coerente a riguardo, rifiutando categoricamente sia il Trattato di Sicurezza con la Casa Bianca sia qualsiasi missione all’estero.

Giulio Micheli (Partito Comunista Svizzero) incontra un dirigente del JCP a Tokio

Il parlamento nipponico ha però recentemente approvato nuove leggi che prevedono l’intervento di militari giapponesi a sostegno di alleati presuntamente in pericolo: cioè il principio – invero alquanto vago – che prevede anche la NATO per giustificare le sue aggressioni ai paesi sovrani. Nelle piazze giapponesi, però, il malcontento non manca: ampi movimenti giovanili di sinistra protestano ora contro al linea bellicista del loro governo. A scendere in strada c’è però anche la “Azione d’Emergenza degli Studenti per il Ripristino della Democrazia Liberale”, politicamente centrista.

L’anti-militarismo è un punto centrale dell’azione anche dei comunisti guidati da Kazuo Shii, tanto da aver costruito alleanze con movimenti pacifisti per chiedere la chiusura delle basi americane. Ma non è tutto: il Partito Comunista Giapponese ha infatti lanciato un appello agli altri partiti di opposizione (compresi quelli di destra!) – e questa è una vera e propria svolta politica – per fare assieme un governo nazionale con un solo punto comune: l’abolizione delle leggi di guerra e il ripristino della Costituzione pacifista.