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Trump, il castigo

Il testo seguente è la traduzione di un articolo apparso su Le Monde diplomatique.fr in data 9 novembre 2016.

Cominciata diciotto mesi fa, l’elezione presidenziale – dopo le decine di scrutini delle primarie, due convention alquanto spettacolari svoltesi in Stati industrialmente dissestati, decine di migliaia di pubblicità politiche e parecchi miliardi di dollari – si è risolta in una sfida tra due americani ricchissimi, entrambi residenti a New York e detestati dalla maggioranza della popolazione. Alla fine è stato il candidato repubblicano – incolpato dai media, dalle élite di Washington e dai dirigenti del «suo» stesso partito – a imporsi. Colui che ha speso di meno e che tutti davano come perdente.

Durante questa interminabile campagna, l’attenzione dei commentatori si è spesso rivolta sulle provocazioni razziste e sessiste del futuro presidente degli Stati Uniti, sui suoi scandali ed eccessi; Hillary Clinton, invece, è stata presentata come la candidata preparata sin da sempre nell’ottica di ereditare la Casa Bianca. Ma rassicurare l’establishment e sedurre gli elettori sono pratiche non sempre compatibili.

Alcuni già analizzano i risultati come una prova della regressione degli Stati Uniti nel nazionalismo, nel «populismo», nel razzismo e nel machismo: in tal senso il voto repubblicano sarebbe stato principalmente determinato da un rifiuto dell’immigrazione, da un desiderio di ripiegamento, da una volontà di restaurare le conquiste progressiste degli ultimi cinquant’anni.

Ora, se Trump ha vinto, conseguendo – apparentemente – risultati migliori presso neri e latinos rispetto al suo predecessore Mitt Romney, è prima di tutto perché i democratici si sono rivelati incapaci di conservare, nel 2016, l’appoggio degli elettori che Barack Obama aveva saputo convincere nel 2008 e nel 2012, in Florida e negli Stati della «Rust Belt».

La vittoria di Trump è dunque anzitutto la sconfitta nel neoliberismo «di sinistra» personificato da Hillary Clinton, con il suo culto dei diplomi e degli esperti, la sua passione per l’innovazione e per i miliardari della Silicon Valley, la sua altezzosità sociale e intellettuale. Lo strumento del castigo è senza dubbio temibile. Ma la lezione sarà ricordata?