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Nuovi tagli al servizio postale: un migliaio di posti di lavoro a rischio. Il Partito Comunista interroga il governo.

La Posta Svizzera ha annunciato un nuovo piano di smantellamento degli uffici postali in barba agli utili che l’ex-regia federale continua a incassare. Vale la pena ricordare che nel 2001 il popolo svizzero poteva contare su 3’500 uffici postali distribuiti sul territorio nazionale, oggi ne restano 1’500 che ora saranno ridotti a soli 800. I salariati colpiti dal taglio sono circa 1’200 e l’azienda non può escludere licenziamenti.

Olivier Cottagnoud, sindacalista dei postini
Olivier Cottagnoud, sindacalista dei postini

I sindacati di categoria si sono subito fatti sentire: il sindacato della comunicazione SYNDICOM ha contestato in particolare la giustificazione dei vertici aziendali, secondo cui si tratterebbe di reagire rispetto al calo dei volumi. In realtà è una scusa, che non tiene in considerazione che con i tagli massicci degli ultimi anni già oggi molte prestazioni sono fornite da partner esterni o sono state trasferiti ad altri reparti del gruppo. Arrabbiato anche il Sindacato Autonomo dei Postini (SAP) guidato da Olivier Cottagnoud che ha dichiara come già oggi circa 800mila abitanti sul territorio svizzero non dispongono più di un ufficio postale entro i limiti ragionevoli di distanza.

Sul piano politico si è mosso il Partito Comunista che, attraverso il suo deputato al Gran Consiglio del Canton Ticino, Massimiliano Ay, ha depositato una interrogazione al governo cantonale per conoscere le implicazioni che i nuovi tagli avranno sul territorio e sui lavoratori. Nella sua nota il Partito Comunista ricorda come fu sempre in controtendenza anche a sinistra sui temi relativi alla Posta: nel 1997 i comunisti “furono gli unici a tentare la via referendaria contro la privatizzazione delle PTT (processo peraltro guidato da esponenti socialisti)” e ancora pochi mesi orsono il Partito, clamorosamente perché unico a sinistra, espresse il suo voto favorevole all’iniziativa a favore del servizio pubblico “che avrebbe costretto la Posta a cambiare la propria strategia aziendale dando priorità al servizio pubblico appunto e non alla corsa al massimo profitto”.

Il deputato comunista Ay ha interrogato il governo
Il deputato comunista Ay ha interrogato il governo

I comunisti lamentano poi il fatto “che la Posta agisca sempre quasi fosse una realtà privata e non un’azienda pubblica che dovrebbe dunque coinvolgere la comunità nella pianificazione dell’orientamento aziendale: dai lavoratori agli enti locali”. E rincarano la dosa lamentandosi dell’inadempienza del Consiglio Federale: “la Posta non sta facendo gli interessi dei cittadini e del Paese e l’autorità federale, che dovrebbe intervenire con forza per riprendere il controllo di questo settore strategico dell’economia nazionale, non muoverà un dito anche perché impegnata a negoziare con l’UE ulteriori forme di liberalizzazione del nostro servizio pubblico”. Il riferimento qui è la volontà di Berna di aderire agli accordi TISA/TTIP con l’UE e gli USA.