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Sport e politica alle Olimpiadi di Rio

Le Olimpiadi di Rio de Janeiro si sono chiuse senza eclatanti problemi, senza clamorosi avvenimenti. Senza problemi, nonostante molte cassandre teorizzassero proteste dei lavoratori e dei cittadini delle favelas tali da bloccarne lo svolgimento, senza gesta clamorose e imprevedibili, vi è stata al più la conferma del trentenne giamaicano Usain Bolt, l’uomo più veloce di tutti i tempi, vincitore di tre ori: nei cento, nei duecento metri e nella staffetta 4×100, come nelle due Olimpiadi precedenti, in buona coppia con Michael Phelps che ha vinto cinque ori tornando a nuotare a 31 anni. Un ragazzo con dieci anni meno di lui – Joseph Schooling – lo ha tuttavia battuto nei 100 metri delfino, regalando il primo successo olimpico a Singapore. Sempre nel nuoto per la prima volta una donna afroamericana vince due ori, Simone Manuel, una vittoria contro ogni razzismo, ancora così radicato negli Stati Uniti e in particolare nel suo stato: il Texas.

Il presidente venezuelano Maduro riceve Yulimar Rojas nel palazzo di Miraflores
Il presidente venezuelano Maduro riceve Yulimar Rojas nel palazzo di Miraflores

Il movimento reazionario e speculativo internazionale ha nel frattempo cacciato Dilma Rousseff dalla presidenza brasiliana, gli stadi sono stati poco frequentati e nessun biglietto è stato regalato ai ragazzi dei quartieri più sfortunati, come aveva fatto due anni fa il governo progressista per i mondiali, i pochi tifosi rimasti hanno manifestato la loro appartenenza politica alla destra carioca prendendo a fischi gli atleti cinesi e russi. La Russia è stata esclusa dalle gare di atletica, per l’invenzione del doping di stato, ennesima manifestazione di una guerra mondiale i cui contorni sono sempre più chiari, aberrante poi che all’intera squadra paraolimpica russa sia stato impedito di partecipare alle paraolimpiadi, l’accanimento politico contro i disabili è del tutto esecrabile. Le bandiere palestinesi sono sparite, il ginnasta coreano di volteggio resta composto per la vittoria dell’oro e la stampa internazionale ne bersaglia la serietà. Di contorno le solite polemiche contro le donne velate, tanto per parlare male dell’Islam e dell’Iran, il cui governo è stato ripetutamente contestato dai soliti spettatori-attivisti che evidentemente preferiscono la dittatura dello scià, terminata nel 1979, ai diritti conquistati con la Rivoluzione. Il judoka egiziano Islam El Shehaby è stato espulso dai giochi per essersi rifiutato di stringere la mano al suo avversario israeliano. Tutto questo conferma la profonda dimensione politica dei giochi, ma c’è ancora qualcuno che finge di non avvedersene.
Se si vuole parlare dei risultati: 46 titoli a stelle e strisce, secondi inaspettati i britannici con 27, uno in più dei cinesi, quarta la Russia con 19, poi i tedeschi a 17. 12 per i giapponesi che ospiteranno a Tokio la prossima edizione dei giochi nell’estate del 2020, 8 per l’Italia, ma la metà dal tiro a segno al volo, solo 7 per i padroni di casa, tra cui quello della judoka Rafaela Silva che nello sport ha trovato un’alternativa alla violenza della sua favela Cidade de Deus e il meritato trionfo nel torneo di calcio di Neymar e compagni, capaci di regalare la prima vittoria olimpica agli auriverdi, il solo titolo mancante al calcio brasiliano. Prima africana il Kenia con 6 titoli tutti dall’atletica, tra cui le maratone maschile e femminile. I tremila siepi alla keniota Ruth Jebet, che però è passata al Bahrain e ha così regalato il primo titolo alla nazione sciita oppressa da un sovrano imposto dai sauditi. 5 ori per Cuba, due dalla lotta greco-romana e tre dal pugilato, 3 per la Svizzera, di cui due dal ciclismo e una nel canottaggio con il quattro senza, come l’Iran, che però ne ha vinti due nel sollevamento pesi e uno nella lotta libera.

L'atleta iraniana Kimia Alizadeh Zenoorin
L’atleta iraniana Kimia Alizadeh Zenoorin

Kimia Alizadeh Zenoorin è stata la prima iraniana a conquistare una medaglia, il bronzo nel taekwondo, un bel successo per una Rivoluzione che dell’emancipazione femminile ha fatto una delle sue ragioni. In Iran oggi le donne non solo praticano sport, ma sono la maggioranza dei laureati, la metà dei medici e un numero considerevole dei dirigenti d’azienda.

Ines Boubakri, medaglia di bronzo per la Tunisia
Inès Boubakri, un bronzo per le donne della Tunisia

Molte prime volte, primo oro per il Tagikistan con Dilshod Nazarov nel lancio del martello, per Porto Rico con l’oro di Monica Puig nel torneo femminile di tennis, capace per un giorno di ridurre il numero di pallottole nelle strade, mitigando la terribile situazione in cui versa l’isola, per gravi responsabilità statunitensi, per le isole Fiji vittoriose nel torneo di rugby a sette. Nessuna medaglia per gli albanesi nella loro storia olimpica, ma medaglia d’oro per la judoka kosovara Majlinda Kelmendi, un omaggio a chi vuole balcanizzare il mondo e a un territorio che ospita la più grande base NATO europea.
Solo due bronzi e un argento per il Venezuela bolivariano, questo conquistato dalla giovane saltatrice Yulimar Rojas, che da sempre riconosce come la Rivoluzione le abbia permesso di poter diventare una atleta.
Merita infine di essere ricordata Inès Boubakri, che ha dedicato il suo bronzo nella scherma a tutte le donne del suo paese: la Tunisia.
Il 25 luglio 2020 si ricomincia a Tokyo, per un’edizione ancora più tesa e politica, la conflittualità del mondo non lascia certamente spazio a ireniche pause, come accadeva nell’antichità greca.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.