/

Portogallo campione, Merkel e Draghi se ne dispiacciono

Sorprendente nella prima semifinale, seppur non annoverabile tra le sorprese, la vittoria, netta, dopo molta soporifera noia, dei portoghesi sui gallesi. La partita è decisa da due reti nel secondo tempo, ravvicinate, prima Cristiano Ronaldo di testa, poi Nani, molto più incisivo e determinante ora, giunto ai suoi quasi trent’anni. Si chiude così l’esperienza europea dei dragoni di Bale, che hanno mostrato, in questo loro ultimo incontro, un gioco contratto e in difficoltà contro la sorniona difesa lusitana. Nell’altra semifinale, fiammata iniziale francese, giusto una manciata di minuti, coronata da un tiraccio di Griezmann, poi dominio tedesco, per una mezz’ora abbondante, al 40’ Giroud butta via un’occasione spettacolare, trovandosi da solo di fronte al portiere avversario, infine al 46’ un dubbio fallo di mano di Schweinsteiger, offre agli eredi di Platini e Zidane un rigore trasformato da Griezmann, che nel secondo tempo raddoppia a un quarto d’ora dalla fine, riportando i transalpini al successo sui tedeschi in un incontro ufficiale per la prima volta dopo la finale per il terzo posto del mondiale svedese del ’58. Interessante notare che è stato anche il primo incontro tra le due squadre nella storia degli europei, nonostante vantino tre titoli i teutonici e due i francesi.

Con la doppietta in semifinale Griezmann si afferma come miglior marcatore del torneo, con sei reti, anche senza segnare in finale, davanti a un folto gruppo di portoghesi, Cristiano Ronaldo e Nani con quattro, a seguire Quaresma con tre e con due Renato Sanches, certamente il giovane più promettente visto in questa edizione degli Europei.

La finale mostra nel primo tempo molte azioni alternate, nel secondo più stanchezza e un generale atteggiamento più guardingo. Cristiano Ronaldo, sceso in campo con la solita arrogante spocchia è contrastato duramente da Payet per due volte, il mediocre arbitro inglese Clattenburg pare non avvedersene. Tuttavia, nonostante la scarsa brillantezza di Quaresma che sostituisce il claudicante Cristiano Ronaldo al 20’ minuto, i portoghesi pur senza la loro presuntuosa stella posso esprimere un gioco più corale, secondo le indicazioni del loro allenatore Santos, che molto ha lavorato per portare i lusitani a un autentico e corale gioco di squadra, dall’altra parte i francesi, sicuri della vittoria, sono scesi in campo con molte certezze ma anche con qualche paura, Deschamps arretra Pogba, fino a farne perdere le tracce in un gioco di copertura difensiva che non appartiene a un centrocampista offensivo come lui. Per il resto la partita mette in luce le enormi qualità dei due portieri, Lloris e Rui Patricio, che svettano da palo a palo, salvando ripetutamente il risultato. Allo scadere dei tempi regolamentari Gignac colpisce un clamoroso palo, anche la fortuna aiuta i rossoverdi. Tempi supplementari. All’inizio del secondo l’arbitro ammonisce Koscielny che non ha fatto nulla, invece di espellere Eder, che ha stoppato di mano, nella svista il direttore di gara attribuisce una punizione ai portoghesi, la cui esecuzione si stampa sulla traversa e pochi secondi dopo il mancato espulso Eder con una rasoiata di destro da oltre venti metri trafigge l’incolpevole Lloris e regala ai lusitani il primo titolo della loro storia. I minuti finali vedono solo un arrembante e disperato disperdersi delle ultime idee e delle sopravvissute energie dei francesi. Questo Portogallo che entra nella storia, terzo nel girone iniziale, poi avanzato, partita dopo partita, più stentando che brillando, è certamente meno forte sia della formazione degli anni ’60 guidata dal mozambicano Eusebio, sia della nazionale del biennio 1984 – ’86, guidata da giocatori di valore e iscritti al partito comunista, in permanente conflitto con i dirigenti della federazione lusitana, ma è stato capace di regalare emozioni e gioie insuperabili ai cittadini eredi della Rivoluzione dei Garofani, i quali infatti si sono riversati festosi per le strade di Lisbona e di tutto il Portogallo. La vittoria lusitana è stata anche un segnale per Merkel e Draghi, martoriare un popolo con continui aggiustamenti strutturali trasforma lo sport in un modo attraverso cui affermare il proprio riscatto. Quando nelle gambe, nella testa e nei cuori dei calciatori si fa largo questa consapevolezza, la determinazione nel gioco trova motivazioni non trascurabili.

L’Europeo ha visto prevalere il gioco di squadra sull’estemporaneità dei campioni, per altro pochi e poco convincenti. Régis Rothenbühler, formatore di talenti per la nazionale svizzera, critica il ritorno al catenaccio e arriva a definirlo “anticalcio”, sicuramente esagera e dimentica che il catenaccio l’hanno inventato proprio gli elvetici ai mondiali del 1938 con l’allenatore Karl Rappan, eliminando i nazisti guidati da Sepp Herberger. Il vero dato è che dopo che la UEFA ha investito per lo sviluppo del calcio nelle nazioni meno affermate, le differenze tra le squadre si sono di molto ridotte e le vere novità dell’Europeo, Islanda e Galles, mostrano come il collettivo e l’umiltà siano più determinanti dei campioni miliardari. Anche nelle squadre di club, allenatori come José Mourinho e Diego Simeone hanno costruito le loro vittorie sul catenaccio. Qualche anno fa sembrava fosse prerogativa solo degli italiani, invece oggi la muraglia difensiva e il contropiede sono diventati un buon viatico per vincere, anche, o forse soprattutto, quando non si hanno giocatori eccellenti, ma solo volonterosi ragazzi con cuore e determinazione. Poi anche nel catenaccio vi sono molti modi per realizzarlo. Io continuo a preferire lo stile di Rocco e Cesarone Maldini a quello di Conte, però proprio Conte dimostra che ai calciatori, prima degli schemi, si devono trasmettere coraggio ed entusiasmo.

Si chiude così, con lo storico successo lusitano, un campionato comunque dal livello di gioco superiore a quello espresso dalle squadre latinoamericane nella parallela manifestazione dell’altro continente. Fra molti anni forse ci saremo dimenticati di Griezmann e della vittoria portoghese, ma non ci dimenticheremo mai la straordinaria sintonia tra i giocatori islandesi e il loro popolo, rappresentata in maniera strepitosa e affascinante dall’accoglienza loro tributata al ritorno a Reykjavík e da quel rito di affetto e incitamento, il “respiro del geyser”, che abbiamo conosciuto negli stadi francesi e rivissuto attraverso una folla traboccante nella capitale artica, capace di travalicare i singoli individui con la forza e la potenza di una emotività fattasi collettiva. Lo stupore e l’ammirazione universalmente riconosciute agli islandesi e ai loro tifosi sono senza dubbio la conferma di come il calcio, lo ripetiamo ancora una volta con Pasolini, sia l’ultima rappresentazione sacra e quindi collettiva, per delle società, sotto ogni latitudine, sempre più frammentate e ridotte a un tecno-individualismo.

L’appuntamento è ora per il giugno 2018 in Russia, un mondiale che si annuncia sotto il segno della massima incertezza, visto il generale equilibrio tra le squadre di tutto il mondo.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.