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Suicidatosi 27 anni fa, resuscita il Partito Comunista Italiano. Segretario generale sarà Mauro Alboresi.

Riuniti nei pressi di Bologna oltre mezzo migliaio di delegati da tutta Italia hanno rifondato fra il 24 e il 26 giugno scorsi il Partito Comunista Italiano (PCI). Il PCI originale, quello di Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer, si sciolse proprio a Bologna nel 1991, trasformandosi in quello che oggi è il Partito Democratico (PD) di Matteo Renzi, sempre meno socialdemocratico e sempre più neo-liberale.

La sala congressuale con oltre 500 delegati
La sala congressuale con oltre 500 delegati

Il progetto politico appena lanciato nasce invece, di fatto, dalla fusione del Partito dei Comunisti Italiani (PdCI) che fu di Oliviero Diliberto con una parte del Partito della Rifondazione Comunista (PRC), più precisamente la corrente guidata da Bruno Steri. Non mancano tuttavia i compagni senza tessera che hanno deciso di tornare attivi dopo le delusioni degli anni passati.

Il segretario generale del neo-nato PCI versione 2.0 sarà il 60enne Mauro Alboresi, che dopo aver lavorato come operaio metalmeccanico ed educatore professionale, dal 2003 è responsabile sindacale della Camera del Lavoro di Bologna. Alla stampa Alboresi afferma di voler lanciare “una campagna capillare per la sanità pubblica e gratuita” e preannuncia il “No all’Italia nella NATO”. Sarà accompagnato in segreteria, fra gli altri, dall’ex-senatore Fosco Giannini e dal ricercatore storico Alexander Hobel. Anche il noto filosofo e saggista Domenico Losurdo farà parte degli organismi dirigenti. Fra gli ospiti presenti all’assise vi era anche il leader sindacale Giorgio Cremaschi.

Due generazioni di comunisti si incontrano
Due generazioni di comunisti si incontrano

In sala l’età media era sui 45 anni, ma i giovani non sono mancati e anzi saranno impegnati a rilanciare la Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI). Dopo oltre 25 anni, dunque, comunisti di generazioni differenti vogliono rifare il PCI con un logo molto simile a quello glorioso di un tempo, ma con lo sguardo rivolto al futuro, attenti a priorità come la lotta alla precarietà, alla guerra e convinti di dover dare risposte alla rabbia e alla paura dei ceti popolari che oggi si affidano alla destra populista. E in riferimento ai prossimi appuntamenti elettorali, il PCI – sia in alleanza con altre forze progressiste sia su liste proprie – non vuole rinunciare al proprio simbolo con la falce e il martello che dovrà quindi tornare visibile sulle schede di voto.

L’eurocomunismo sembra ormai un ricordo: oggi prevale infatti la critica all’UE. Quasi tutti sono apertamente per l’uscita “da questa Europa irriformabile, vedasi la fine che ha fatto Tsipras in Grecia”, ma non manca un occhio di riguardo in ottica anti-imperialista per il presidente russo Vladimir Putin e il presidente siriano Bashar Al-Assad, così come positivamente viene visto anche il leader cinese Xi Jinping. Qualche dubbio invece sul separatismo curdo che potrebbe trasformarsi in avamposto statunitense in Medio Oriente.

L’internazionalismo, insomma, non è mancato: non solo i delegati al Congresso del PCI 2.0 hanno espresso solidarietà con la resistenza antifascista nel Donbass, ma direttamente da Damasco si è mosso il segretario generale del Partito Comunista Siriano Ammar Bagdache per assistere ai lavori di Bologna e l’ambasciatore di Hanoi a Roma ha portato i saluti del Partito Comunista del Vietnam. Una lettera di augurio firmata da Massimiliano Ay, segretario politico del Partito Comunista svizzero, è pure stata letta in plenaria.