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L’Unione Europea vuole tutelare le lingue regionali. Ma è tutto oro quello che luccica? Due visioni divergenti nella sinistra francese.

Nel contesto della Carta europea delle lingue regionali promossa dall’Unione Europea (UE) e della strategia della cosiddetta “euro-regionalizzazione”, il presidente della Repubblica francese François Hollande, esponente del Partito Socialista (PS), non è stato ad attendere e ha impresso un’accelerata ai progetti di Bruxelles, annunciando una modifica della Costituzione francese per permettere la ratificazione (evidentemente senza referendum popolare) di tale Carta europea.

Il padronato favorevole alla parcellizzazione linguistica

Il padronato francese ha già salutato con entusiasmo la linea politica definita di “eurolanderisation” del Presidente Hollande. L’istituzione di euro-metropoli a scapito degli attuali stati nazionali è infatti uno dei piani strategici del padronato europeo e che in Francia si sta già traducendo in realtà attraverso una nuova legge, chiamata “NOTRe”, che prevede una riforma territoriale (passata per ora quasi sotto silenzio mediatico) per riorganizzare non solo le istituzioni ma anche i servizi pubblici con qualche mugugno da parte dei sindacati.

“Piccolo è bello”: socialisti e PCF uniti

Favorevole all’iniziativa di Hollande e dell’UE, naturalmente, anche il partito al governo, il PS che ormai appare del tutto orientato all’atlantismo. Meno scontata la posizione dei comunisti che in Francia avevano una solida tradizione repubblicana. Va pur detto che da qualche anno il Partito Comunista Francese (PCF) ha fatto una svolta ideologica denominata “mutation” (mutazione), che fra le altre cose significa anche optare per un’idea cosmopolita di multiculturalismo. Il PCF (7 deputati al parlamento nazionale), che è sezione del Partito della Sinistra Europea (SE), ha infatti dichiarato: “i comunisti che lottano per il riconoscimento delle culture regionali da tanti anni sono favorevoli” alla riforma, in quanto impedirebbe di imporre “l’uniformità mondializzata della lingua della finanza” (cioè l’inglese) riaffermando la volontà del PCF di “preservare e arricchire il patrimonio vivo costituito dalle 75 lingue parlate in Francia”.

“Una e indivisibile”: i comunisti repubblicani

prcf_francia_ueUna posizione agli antipodi rispetto a quella espressa dal PCF la si riscontra nella dichiarazione del Polo della Rinascita Comunista Francese (PRCF), un movimento marxista-leninista formatosi nel 2004 da militanti delusi dalla svolta “socialdemocratica” del PCF e risolutamente orientati a difendere la Repubblica e l’idea di un patriottismo di sinistra. Secondo il PRCF le “euro-metropoli” che Bruxelles e Parigi hanno in mente di creare, altro non sono che una politica di tipo reazionaria ma dipinta per progressista per accecare gli elettori di sinistra, che mira a tornare a una “nuova forma di feudalesimo” secondo la strategia del “dividi et impera” con cui il padronato mira a imporre i suoi disegni a scapito dei diritti dei lavoratori che – ulteriormente parcellizzati – non potrebbero più opporre alcuna resistenza. La “etnicizzazione” della Francia è vista molto negativamente dal PRCF, il quale intende invece difendere la Repubblica francese “una e indivisibile” sorta dalla Rivoluzione. Il PRCF fa infatti notare come indebolire la lingua francese a favore delle lingue regionali significa che nei tribunali, nei servizi pubblici, nel parlamento, ecc. si useranno altri idiomi, il che alla lunga porterà da un lato a una balcanizzazione istituzionale del Paese (e ciò non migliorerà i rapporti di forza per i lavoratori), dall’altro porterà a imporre per davvero l’inglese come lingua unica all’interno dell’amministrazione anche solo per motivi di praticità (oltre che di commercio)… anche i “regionalisti” – che tanto detestano la tradizione “giacobina” centralista della Francia repubblicana – dovranno infatti pur comunicare fra loro senza imparare 75 lingue.

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