L’educazione religiosa infiamma il dibattito nella scuola in Ticino. I socialisti chiedono più lezioni per gli allievi.

L’attuale legislazione scolastica del Canton Ticino prevede l’offerta di lezioni confessionali sia cattolica sia evangelica, con la possibilità per i non credenti di astenersi dal frequentarle. Una soluzione che in molti ritengono non solo superata, ma anche poco rispettosa del carattere laico e confessionalmente neutrale che la scuola pubblica dovrebbe avere. Su proposta di una vecchia mozione del dicembre 2002 dell’allora deputata Laura Sadis (Partito Liberale Radicale) si è poi iniziato a ragionare su una nuova lezione che affrontasse la tematica religiosa in modo scientifico e slegato dagli ambiti ecclesiastici. Ed è proprio in questo periodo che si sta concludendo la sperimentazione del nuovo programma in alcune sedi scolastiche usate come “cavie”: in pratica si intende sopprimere le lezioni confessionali facoltative per sostituirle con una lezione obbligatoria di storia delle religioni insegnata in modo – dicono – laico.

Catto-socialisti contro i “senza dio”?

Già nel 2007, quando il governo cantonale iniziò una prima consultazione fra i partiti politici, si ebbe una spaccatura del fronte progressista: mentre il Partito Socialista diretto in quel periodo da Manuele Bertoli perorava la nuova tipologia di lezione, il Partito del Lavoro (oggi diventato Partito Comunista) guidato allora da Gianluca Bianchi si era dissociato chiedendo tout court l’abolizione della lezione confessionale di religione senza alcuna sostituzione didattica. A sei anni di distanza le posizioni non sembrano essersi modificate: il Partito Comunista, sotto la responsabilità del 30enne Massimiliano Ay, ribadisce il proprio “niet” alla lezione obbligatoria di storia delle religioni, in piena sintonia, peraltro, con l’Associazione ticinese dei Liberi Pensatori diretta dal docente Giovanni Barella. Quest’ultimo – a capo degli agnostici e degli atei ticinesi – critica l’impostazione del corso poiché non garantirebbe sufficiente spazio ad una contestualizzazione razionale e critica del fenomeno religioso. Inoltre secondo Barella “nell’esercizio della libertà di credo e di coscienza, la facoltà di scegliere non può essere inibita da coercizioni dettate da abusivo autoritarismo”. Vi sono poi altri problemi sollevati dal Partito Comunista e dai Liberi Pensatori (di cui è membro pure l’ex-ministro liberale-radicale dell’educazione Gabriele Gendotti) riguardo la nuova lezione, quali ad esempio la limitazione della libertà di insegnamento dei docenti, che sarebbero sottoposti a una commissione didattica in cui vi farebbe comunque parte un delegato del clero, nonché una debole considerazione per i fenomeni “a-religiosi” (come l’economia o la filosofia politica) che spesso sono ben più importanti per comprendere i mutamenti sociali contemporanei. Di tutt’altro avviso, invece, il Partito Socialista del 65enne Saverio Lurati, che sostiene pienamente l’obbligatorietà per gli allievi di studiare la storia dei monoteismi con particolare riguardo al cattolicesimo, perché come vedremo più avanti, la nuova lezione si pone comunque su un piano ben poco laico, al di là delle apparenze.

Il mondo studentesco è diviso

Ma cosa dicono gli studenti, coloro che la riforma la dovranno subire sulla propria pelle? Naturalmente la loro opinione non viene recepita, se non da pochi media come il nostro. Il Consiglio Cantonale dei Giovani (CCG) che ritiene di rappresentare la voce di tutti i giovani ticinesi, anche se non è dato sapere con quale legittimità democratica lo possa fare visto che non è eletto da nessuno, è un convinto fautore della lezione obbligatoria di storia delle religioni: sembra quasi che gli studenti del giorno d’oggi vogliano proprio studiare di più e fare più ore di scuola. La notizia ha quasi dell’incredibile e, forse, è proprio inverosimile… ma neanche troppo in una società in cui il conformismo è diventato un valore. Più pepato e anticonformista, invece, il Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA) che fin dal 2007 si era pronunciato sia contro ogni ingerenza clericale nella scuola, sia contro ogni nuova lezione obbligatoria che trattasse il fenomeno religioso. Il SISA in una missiva al Consiglio di Stato di quell’anno tirava in ballo il Codice Civile: “L’art. 303 CC sancisce che l’educazione religiosa è una questione familiare fino al compimento del 16° anno d’età, dopodichè diventa una questione personale. Mal si comprende come la scuola possa offrire quindi questo tipo di lezione chiaramente di parte, in collaborazione diretta con i vertici del clero e determinando una situazione di chiara discriminazione”. L’organizzazione sindacale continuava la lettera citando il filosofo Arthur Schopenhauer: “Solo quando il mondo sarà diventato abbastanza onesto da non impartire lezioni di religione ai ragazzi prima del quindicesimo anno d’età ci si potrà aspettare qualche cosa da lui”. Ma il sindacato studentesco contestava (e contesta tuttora) anche la proposta di istituire il corso obbligatorio di storia delle religioni: “l’iniziativa Sadis in modo esplicito pone l’accento sul ruolo che nel nuovo insegnamento dovrebbe mantenere il Cristianesimo e questo non rassicura dal punto di vista dell’uguaglianza e dell’indipendenza. Ritenere che non conoscere a fondo e a menadito il Cristianesimo renda impossibile la comprensione della storia e della cultura europea è in effetti quantomeno temerario”. Insomma nemmeno la nuova lezione sarebbe realmente laica, con l’aggravante che sarebbe, però, obbligatoria per tutti!

Perché cambiare sistema?

Il problema di fondo, sottolineato da più parti, è la mancata iscrizione di molti allievi alla lezione di religione. O per agnosticismo o per semplice disinteresse molti genitori e molti studenti preferiscono dedicarsi ad altro durante le ore “appaltate” alla Curia. Il SISA nel suo documento del 2007 però replicava: “Occorre poi onestamente domandarsi se la diserzione dalle lezioni facoltative di religione confessionale attualmente offerte sia realmente da vedere quale fatto negativo. Non è positivo, forse, che il pensiero razionale e l’emancipazione da quella che un filosofo del passato ha definito il sospiro della creatura oppressa prosegua nel suo cammino?”. A onor del vero non era però solo la diserzione dal catechismo a stare alla base delle proposte di riforma, bensì anche la constatazione che “il mutato contesto socioculturale pone il problema urgente di un insegnamento obbligatorio della dimensione religiosa come oggetto di analisi per assecondare la comprensione fra le diversità espresse da una società multi-culturale”. Un’analisi, questa, di tipo assolutamente borghese, poiché un marxista non potrebbe mai accettare che un fenomeno sovrastrutturale (come, appunto, la religione) venga considerato quale elemento determinante delle diversità della società. E in effetti, seppur con formulazioni diverse, sia i Liberi pensatori sia il Partito Comunista rilevavano come la dimensione religiosa quale oggetto di analisi per favorire la comprensione fra diverse culture non sia assolutamente sufficiente: se così fosse allora bisognerebbe anche istituire una lezione obbligatoria sulla storia delle ideologie politiche e creare un corso specifico sulla storia dell’economia che – in ultima analisi – è sempre stata l’elemento centrale che modifica i rapporti sociali e i rapporti di produzione, creando anche guerre e inimicizia fra i popoli. Sulla medesima linea d’onda anche gli studenti nel cui documento si legge infatti: “il fenomeno storico-culturale costituito dalle religioni e pure quello costituito (importante sottolinearlo!) dalle correnti di pensiero areligioso (come ad esempio, perché no?, le differenti ideologie politiche) vada affrontato nell’ambito dell’insegnamento generale e interdisciplinare e non necessita di una trattazione specifica e separata”. Tutta diversa la posizione del PS che sembra, come minimo, sopravvalutare l’elemento spirituale rispetto a quello materiale.

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