Lo scandalo epocale sviluppatosi in mondovisione lo scorso venerdì alla Casa Bianca è già considerato uno dei peggiori incidenti diplomatici di sempre. E non a torto. Come è possibile che il comico che suonava il pianoforte con il cazzo sia giunto ora a minacciare il presidente degli Stati Uniti nella sua stessa dimora?
Questo, tuttavia, è il legittimo risultato di tre anni di accurata costruzione del culto della personalità del presidente ucraino. A tale scopo la tecnopolitica globalista non ha lesinato spese.
Il culto della personalità di Zelenskij
Quando la Russia, nel febbraio 2022, si è decisa a intervenire militarmente in Ucraina, l’intero apparato massmediatico occidentale si è messo all’opera per trasformare quello che era un leader macchiettistico e palesemente fuori posto in una figura eroica in grado di ispirare l’opinione pubblica euroamericana, preparandola ad accettare le ingenti spese che l’Europa e l’America avrebbero sostenuto per finanziare la guerra.
Vladimir Zelenskij è un leader pessimo per l’Ucraina. Tralasciamo il fatto che, se la guerra nel Donbass si è riversata in un conflitto a tutto campo con la Federazione Russa, ciò è principalmente colpa sua. Ma Zelenskij è anche un pessimo comandante per un paese in guerra.

Troppe volte ha messo il naso nelle faccende militari, di cui non capisce un’acca, costringendo il comando dell’esercito a prendere decisioni militarmente fallimentari in cambio di un momentaneo ed effimero ritorno mediatico. Il timore di una concorrenza politica lo ha inoltre spinto a sostituire il capo dello stato maggiore, il discreto e popolare Zaluzhnyj, con il mediocre ma politicamente innocuo Syrskij.
Sempre Zelenskij ha rifiutato i vantaggiosissimi accordi di Istanbul, nel marzo del 2022, ritrovandosi tre anni dopo con un paese distrutto e molta meno forza contrattuale in vista delle nuove inevitabili trattative.
Ma, se da una parte Zelenskij è una disgrazia per l’Ucraina, dall’altra egli è esattamente ciò di cui l’Occidente aveva bisogno. La propaganda euroatlantica, che fa leva sulle emozioni e sui meccanismi prerazionali del pubblico di massa, aveva bisogno di una figura simbolica, un po’ vittima e un po’ eroe, con cui le persone potessero empatizzare, diventando più inclini ad accettare i sacrifici richiesti. Del resto se Zelenskij, con quella faccia perennemente stanca e la felpa marrone che non toglie mai, continua a combattere contro tutti i pronostici e portare il peso del mondo sulle sue spalle, da parte nostra mandare “qualche miliardo” è il minimo che si possa fare.

Serviva insomma un Davide contro Golia, tantopiù se il Davide ucraino incarnava i valori delle democrazie occidentali mentre il Golia russo rappresentava gli incubi del dispotismo orientale.
Per giocare bene questo ruolo serviva un attore: Zelenskij sarà anche un pessimo politico e un comandante militare ancora peggiore, ma ha interpretato alla perfezione la parte di Davide contro Golia. Tanto è bastato alla tecnopolitica occidentale per farne una star mondiale: il risultato è però un simulacro molto diverso dall’uomo reale.
Ma il nuovo culto della personalità si è rivelato talmente efficace che persino i suoi creatori hanno iniziato a crederci. Peggio: ha iniziato a crederci lo stesso Zelenskij, diventando vittima del proprio stesso culto della personalità, come molti dittatori prima di lui.
Se Zelenskij ha avuto l’audacia di comportarsi con tanta arroganza e sfrontatezza di fronte a Donald Trump, lo si deve proprio a questo: egli si è dimenticato di essere una marionetta posta a capo dell’Ucraina per ricevere ed eseguire ordini, abbracciando invece la fasulla identità dell’eroe guerriero che gli è stata creata dalla propaganda. L’attore si è fuso definitivamente con il personaggio: se prima Zelenskij era un semplice comico, spinto sulla poltrona presidenziale come rappresentante di una fazione oligarchica a sua volta pilotata da taluni centri di potere stranieri, adesso Zelenskij è il paladino che sta difendendo l’Europa dalle sanguinarie orde asiatiche. E sembra crederci davvero.
In questo delirante monomito, sostenuto con una buona dose di autoconvinzione anche dalle élite europee, il nostro eroe ha trovato il coraggio di affrontare l’uomo da cui dipende il suo destino. Nello Studio Ovale si sono scontrate due interpretazioni della realtà: quella fiabesca e illusoria di Zelenskij e dell’Unione Europea, che vuole un’Ucraina scudo dell’Europa e dei valori occidentali, contro quella pragmatica e realista di Trump, che vede un’Ucraina ormai stremata e incapace di vincere, dalla quale si può quindi esigere il pagamento dello scotto per tre anni di investimenti a fondo perso.
Ucraina scudo dell’Europa?
Ma poi da dove nasce questa favola dell’Ucraina come scudo della democrazia e dei valori occidentali?
Alla prova dei fatti, come per la figura del suo presidente, anche qui ci troviamo di fronte a un mito fabbricato con cura, ma che non regge alcun confronto con la realtà. Già prima dell’Euromaidan l’Ucraina era uno dei paesi più corrotti e criminali d’Europa. Da allora le cose sono solo peggiorate e oggi se la gioca con il Kosovo.
La democrazia ucraina è sempre stata traballante: già nel 2004 il secondo turno delle presidenziali viene annullato a seguito di accuse di brogli (mai dimostrati) in favore del filorusso Janukovich. La presidenza viene così consegnata all’impopolare ma filoccidentale Jushenko (questo primo golpe sarà ricordato come la Rivoluzione Arancione). Janukovich vincerà comunque le elezioni nel 2010, ma nel 2014 sarà vittima di un altro colpo di stato, l’Euromaidan, orchestrato, neanche troppo segretamente, dalla CIA e dai servizi segreti europei.

In seguito al golpe e alla fuga di Janukovich, in Ucraina vengono banditi il popolare Partito delle Regioni, rappresentante degli interessi delle regioni russofone del Sud e dell’Est, e il Partito Comunista: alle elezioni parlamentari del 2012 avevano raccolto rispettivamente il 30% e il 13% dei consensi. Come risultato, dopo il golpe di piazza Maidan metà dell’elettorato ucraino viene privato di una rappresentanza istituzionale. Nel 2022, con l’inizio dei combattimenti contro la Federazione Russa, sarà bandito qualsiasi altro partito che non aderisca completamente alla linea militarista e nazionalista del presidente Zelenskij.
Lo stato dei diritti umani, sempre critico sin dall’indipendenza nel 1991, diventa drammatico dopo l’Euromaidan. Il movimento di resistenza al golpe, che assume il nome informale di Antimaidan, viene represso nel sangue. Il rogo della Casa dei sindacati di Odessa è solo il più spaventoso e mediatizzato, ma di certo non l’unico massacro perpetrato contro gli oppositori del golpe. I gruppi neonazisti, attivi sin dal crollo dell’URSS ma a lungo marginali, adesso imperversano indisturbati in tutto il paese. Anzi, il nuovo governo provvisorio sfrutta attivamente la violenza squadrista per riprendere il controllo delle regioni ribelli. La Crimea si salva grazie all’intervento dei soldati russi, che prendono il controllo della penisola acclamati dalla popolazione. Nel Donbass il popolo saccheggia le stazioni di polizia e prende in mano le armi per difendersi: il governo provvisorio di Kiev dichiara l’Operazione Antiterroristica, la cui principale forza d’urto saranno gli squadroni neonazisti, che con il passare degli anni vengono progressivamente integrati nell’esercito regolare.

Gli anni successivi alla “Rivoluzione della Dignità” (così pomposamente viene chiamato in Ucraina il golpe del 2014) sono caratterizzati dalla promulgazione di diverse leggi razziali volte a discriminare la lingua russa, parlata da oltre la metà della popolazione. Contemporaneamente si stringe la morsa sulla stampa libera, che scompare completamente in poco tempo. Proprio nelle scorse settimane è emerso che il 90% della stampa ucraina è finanziata da USAID.
Ogni forma di dissenso viene violentemente repressa. Intimidazioni, violenze e persino omicidi contro gli oppositori politici si fanno sempre più frequenti. È il caso di Oles’ Buzina, giornalista e pubblicista filorusso, noto per le sue accurate confutazioni dei miti nazionali ucraini, basati su manipolazioni e mistificazioni della storia: nell’aprile del 2015 sarà ucciso a colpi di pistola davanti alla porta di casa, a Kiev. Nessuna indagine viene aperta.
Tutte queste tendenze ricevono un’accelerazione dopo il febbraio 2022. I fratelli Kononovich, militanti del Partito Comunista ridotto alla clandestinità, sono arrestati e torturati, con l’accusa di collaborazionismo in favore dei russi. La mobilitazione del movimento comunista internazionale impedirà che la persecuzione degeneri ulteriormente, favorendo il trasferimento dei fratelli Kononovich ai domiciliari, dove si trovano tutt’ora. Ma molti altri oppositori politici non hanno avuto la stessa fortuna e sono scomparsi nel nulla.
Nel gennaio 2024 muore in prigione, a causa delle torture e delle condizioni di detenzione disumane, il giornalista americano-cileno Gonzalo Lira, colpevole di aver criticato il regime di Zelenskij.

Un sistema democratico fasullo con un parlamento esautorato da ogni potere e privo di un’opposizione reale, e un potere che si regge grazie alla feroce repressione poliziesca, senza tenere in nessuna considerazione né i diritti umani né la libertà di stampa: questa è l’Ucraina di Vladimir Zelenskij, scudo dell’Europa e dei suoi valori.
O tempora, o mores…
L’Ucraina sbruffona viene messa al suo posto
Zelenskij e i suoi sottoposti erano abituati a fare la voce grossa con tutti: dal decrepito Biden ai mediocri leader europei, nessuno era in grado di tenere testa al mostro che essi stessi avevano creato. Nessun paese europeo era esente dalle arroganti critiche di Kiev, sempre pronta a bacchettare gli alleati che non facevano abbastanza per sostenere lo sforzo bellico. Anche la Svizzera non è stata risparmiata, quando l’ambasciatrice ucraina Iryna Venediktova, con il solidale silenzio del Consiglio Federale, ha esortato Berna ad abbandonare la neutralità, descritta come un vecchio rottame obsoleto.

È da questo clima di totale impunità, scaturito dalla convinzione dell’élite ucraina di essere la paladina del mondo civile in lotta contro la barbarie, che nasce il colossale fraintendimento alla Casa Bianca. Difatti, se l’Ucraina combatte in nome della civiltà occidentale, pare anche ovvio che tutto l’Occidente sia in debito con lei. È con questo atteggiamento che Zelenskij si è recato a Washington il 28 febbraio.
Ma Trump, al contrario dei leader europei e dell’amministrazione Biden prima di lui, non si è mai bevuto questa montagna di fandonie e tratta Zelenskij per quello che è sempre stato: una marionetta che serve gli interessi occidentali e deve completa obbedienza al suo padrone. Di certo il presidente ucraino non può permettersi di avanzare rivendicazioni di alcun tipo, anche perché rimane perfettamente sacrificabile. Donald Trump è chiarissimo: è troppo tardi per riscoprire velleità sovraniste, l’Ucraina appartiene interamente a chi l’ha comprata anni fa.
Il Tycoon è un feroce imperialista al pari di chi lo ha preceduto, ma ha perlomeno il merito di non essere un ipocrita, descrivendo le cose così come stanno. E questa è un’utilissima doccia fredda anche per liberali e socialdemocratici di casa nostra, che nel loro innato senso di superiorità morale si sono lasciati trasportare un po’ troppo da questa crociata europea contro l’immaginario pericolo russo.

Invece Zelenskij si è ormai perso nel ruolo che gli è stato chiesto di interpretare. Si dimena come una marionetta impazzita, convinto di avere il controllo del proprio destino, senza rendersi conto che al burattinaio basta tagliare i fili per mettere fine a questa ribellione.
La storia del comico diventato presidente si avvia verso un esito tragico ma molto prevedibile. Del resto, come diceva Henry Kissinger, “Essere nemici degli Stati Uniti può essere pericoloso, ma esserne amici è fatale”.