La storia della Siria per oltre mezzo secolo è stata contraddistinta da un chiaro orientamento socialista e nei suoi primi vent’anni anche di forte cooperazione e collaborazione con l’Unione Sovietica. Relazioni amichevoli al punto che Muhammad Ahmed Faris è stato il primo cosmonauta arabo, partecipando al programma spaziale Intercosmos dagli inizi degli anni ‘80 e volando nel luglio 1987 con la Sojuz verso la stazione spaziale MIR, rimanendovi una settimana: è stato decorato Eroe dell’Unione Sovietica e con l’Ordine di Lenin, prima ancora di diventare un eroe siriano amato e festeggiato.
L’indipendenza e la conquista della sovranità sotto Hafez al Assad
La Siria si emancipa formalmente dal colonialismo francese nel 1946, ma è solo nel 1958 che diventa realmente sovrana, nel momento in cui aderisce al progetto panarbo di Nasser. Tale esperienza si conclude di fatto dopo la guerra dei Sei giorni del 1967: giunto a Damasco dopo la sconfitta militare, il grande presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser viene umiliato dal ministro della Difesa Hafez al Assad, che gli rimprovera la condotta egiziana nel conflitto. Sarà proprio Hafez al Assad a prendere il potere nel 1971 e a orientare in modo più considerevole tanto la politica interna, indirizzata verso un sistema sociale di ispirazione socialista capace di offrire tutele e diritti ai cittadini (a partire da quelli di istruzione e assistenza medico-sanitaria), tanto quella estera, portando la Siria a uno schieramento dichiarato con il campo sovietico, pur non entrando formalmente in nessuna delle strutte economiche o militari proposte da Mosca, sebbene l’interscambio con i paesi del Comecon, oltre che con i vicini arabi e con la Turchia, sia preponderante.
Il governo di Bashar al Assad e la crisi socio-economica
Ad Hafez al Assad nel 2000 succede il figlio Bashar, il quale, anche per provare a risollevare un’economia non brillante, che aveva risentito del tracollo sovietico, tenta la via abbastanza funesta delle liberalizzazioni, le quali, in realtà, un po’ come in tutto il mondo, avvantaggiano pochi e danneggiano molti, peraltro a fronte di un generale peggioramento dei servizi sociali offerti ai cittadini.
Nell’arco di un decennio gli oppositori, spesso internamente legati a gruppi che rivendicano maggiore spazio per la dimensione religiosa, e internazionalmente a quelle realtà atlantiste che cercano di minare la collaborazione con Russia e Iran della Siria, si rafforzano. Tuttavia la Siria mantiene la duplice capacità di conservare una coesione interna fondata sul rispetto dei diversi orientamenti politici e religiosi, con una vastità di comunità cristiane antichissime e la compresenza di sunniti e sciiti in ambito musulmano, così come una collocazione internazionale che, anche in ragione del sostegno che passa attraverso Damasco verso Hezbollah in Libano, rafforza l’alleanza con l’Iran e di fatto colloca la Siria nel nascente campo multipolare promosso da Cina e Russia.
Nel 2011 l’amministrazione Obama decide di inventare le Rivoluzioni arabe, in alcuni contesti per prevenire l’esplosione della rabbia sociale in nazioni asservite agli interessi di Washington e con problemi sociali enormi, come Tunisia ed Egitto, in altri per provare a scalzare avversari politici ed economici come Gheddafi ed Assad. Se tragicamente la distruzione della Libia socialista viene sanguinosamente portata a compimento da un’azione congiunta tra anglo-francesi e statunitensi, scatenando una terribile guerra civile che tutt’oggi non si è ancora placata, in Siria avviene l’incredibile: l’ambasciatore a stelle e strisce nel marzo 2011 distribuisce fucili in piazza per promuovere lo scatenamento della guerra civile, nel solito silenzio compiacente dei media occidentali.
La guerra civile e il fallimento della ricostruzione
Si apre così la terza stagione della storia della Siria socialista, certamente la più drammatica. Una guerra civile che per un settennio insanguina il paese, vede i peggio integralisti associarsi a feroci tagliagole, da Al Qaeda ad Al Nusra, fino alla più drammatica e violenta stagione dell’ISIS iniziata nel 2014, per contrastare la quale russi, iraniani e libanesi di Hezbollah decidono di intervenire per salvare la Siria dall’oscurantismo brutale e sanguinario promosso dallo Stato Islamico, spalleggiato nella sostanza e comunque non contrastato dalle forze internazionali atlantiste.
La pace del 2018 è solo parziale e apparente, tanto che molti reputano non sia mai iniziata: Bashar Al Assad, che viene anche riammesso nella Lega Araba, raccoglie all’interno di questa (ma anche da Iran e Russia) contributi per la ricostruzione, la quale tuttavia è lenta e farraginosa a fronte di tanta devastazione. Il governo siriano riesce con difficoltà ad affrontare i problemi interni, specialmente la piaga della corruzione. Soprattutto deve ammettere l’incapacità di ricomporre l’unità nazionale. La Siria resta frammentata in diverse zone d’occupazione: certo la porzione più rilevante è sotto il controllo del governo di Damasco, ma una parte considerevole a nord è in mano curda, alcune zone sono in mano a oppositori filoturchi, altre a gruppi legati agli integralisti e finanche alcune zone sotto controllo di fazioni che ancora si richiamano all’ISIS. È una frammentazione che danneggia le prospettive di ricostruzione, che obbliga a un defatigante impegno militare, che assorbe anche energie economiche, le quali si vorrebbero piuttosto indirizzare a vantaggio dei cittadini. Ma non è possibile.
La caduta
La frammentazione territoriale, la oramai impossibile coesione interna, le difficoltà economiche e sociali patite dai cittadini, tutte insieme generano sconforto e minano la credibilità dello stato agli occhi dei siriani. Nei primi giorni di dicembre 2024 il movimento islamico Hayat Tahir al-Sham, ovvero l’Organizzazione per la Liberazione del Levante, guidata da Abu Mohammad al-Jolani, conquista Aleppo senza incontrare quasi nessuna resistenza. Al-Jolani arriva a Damasco l’8 dicembre e trova il primo ministro siriano Muhammad Ghazi Al-Jalali disponibile a collaborare nel quadro di una transizione verso una nuova organizzazione statuale.
Addentrarsi sul ruolo che gli atlantisti, gli israeliani, i turchi, i russi e gli iraniani hanno avuto e avranno in questa transizione sarebbe affrettato. Così come sarebbe erroneo esprimere considerazioni sui futuri sviluppi interni e regionali della nuova Siria che sta prendendo forma. Oggettivamente tutti gli scenari sono aperti, da un possibile nuovo governo che confermi gli impegni internazionali assunti dalla Siria da molti anni, così come un nuovo e del tutto inaspettato collocamento della Siria nel fronte atlantista, con una serie di rischi di destabilizzazione imprevedibili per tutto il Medioriente e forse non solo.
È certo tuttavia che in una plumbea alba di dicembre la storia della Repubblica Araba di Siria di orientamento socialista, per come l’abbiamo conosciuta per mezzo secolo, si è definitivamente conclusa.