Nell’ambito del 14° World Socialism Forum riunitosi a Pechino lo scorso mese di settembre, anche il tema dell’espansionismo della NATO e i rischi di guerra mondiale sono stati oggetto di discussione. Benché l’incontro di Pechino fosse principalmente orientato alla modernizzazione del marxismo in quanto ideologia, l’analisi della situazione geopolitica non poteva mancare dai dibattiti, poiché la transizione al socialismo potrà avvenire solamente se prima si consoliderà un ordine multipolare con cui frenare il neo-colonialismo occidentale. Due relatori in particolare hanno insistito su questo punto: Lotte Rørtoft-Madsen, presidente del Partito Comunista Danese e Massimiliano Ay, segretario del Partito Comunista della Svizzera.
Il ruolo geostrategico primario della Danimarca
Lotte Rørtoft-Madsen ha incentrato il suo discorso sulla posizione della Danimarca nel sistema imperialista: il suo è un campanello d’allarme rivolto indirettamente ai vertici del Partito Comunista Cinese affinché non si illudano che l’Europa possa essere un partner più affidabile rispetto agli Stati Uniti: al contrario l’insidiosità e l’incompetenza dei leader europei potrebbe addirittura essere peggiore che a Washington.
Con i suoi sei milioni di abitanti e 43’000 chilometri quadrati, la Danimarca è sì un paese piccolo, ma dal punto di vista geostrategico dispone di due risorse principali che lo qualificano come interessante per l’imperialismo atlantico: in primo luogo, come vecchia potenza coloniale, la Danimarca ha una importante influenza sulla grande isola della Groenlandia e, in secondo luogo è un paese posizionato all’ingresso del Mar Baltico. Lotte Rørtoft-Madsen, ha spiegato come la Groenlandia, facendo parte della Federazione reale danese, è sottomessa alla Danimarca, che ha l’ultima parola sulla sua politica estera e sulla sua politica di sicurezza. Quindi, la Danimarca è uno Stato che si trova in “prima linea” al servizio della NATO (cioè degli Stati Uniti) poiché controlla ai suoi confini orientali l’ingresso del Mar Baltico.
La militarizzazione dell’economia danese al servizio degli USA
“La Danimarca è stata introdotta furtivamente nella NATO senza referendum popolare e con bugie su una minaccia imminente di invasione sovietica” ha affermato la presidente del Partito Comunista Danese. Durante e dopo gli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, “i governi danesi, presieduti principalmente dai socialdemocratici, attraverso accordi segreti hanno venduto la Groenlandia all’imperialismo americano”: gli Stati Uniti da decenni hanno in effetti una base militare in Groenlandia, vicino all’area artica, che a causa del cambiamento climatico ha guadagnato un’importanza strategica cruciale.
Lotte Rørtoft-Madsen ha ricordato come “negli anni ’80, grazie alla resistenza popolare e a un forte movimento per la pace, con i comunisti danesi in prima linea, si è riusciti a costringere le classi dominanti a ritirarsi parzialmente dalla corsa agli armamenti, ma quel momento è passato”. Dalla fine degli anni ‘90 infatti, la Danimarca ha attivamente sviluppato capacità militari e assunto la guida della cooperazione militare della NATO nei paesi baltici e in paesi come la Polonia, contribuendo così attivamente al contenimento militare della Russia.
“L’ultima svendita della sovranità danese è in corso” ha continuato Rørtoft-Madsen: il parlamento danese sta approvando infatti un accordo che consente la costruzione di tre basi militari statunitensi in Danimarca. Basi militari che già esistono in paesi vicini come Svezia, Norvegia, Finlandia, paesi baltici e Polonia. In questo modo si crea un’ampia zona di armamento nell’Europa settentrionale e orientale. In pratica gli USA nel caso in cui entrassero in guerra con la Russia, hanno trasformato l’Europa in un bersaglio, perché gli USA la guerra la fanno sempre fuori dai propri confini portando distruzione solo agli altri. Di conseguenza, denunciano i comunisti danesi, “si sta verificando una militarizzazione generale dell’economia capitalista del nostro paese” nonché un crescente coinvolgimento nell’alleanza di intelligence guidata dagli USA, i “Nine Eyes”, strumento essenziale nella cosiddetta strategia del “Pivot to Asia” ai danni della Cina.
Il multipolarismo apre le porte alle rivoluzioni anti-coloniali
“Il punto di svolta geopolitico globale a cui stiamo assistendo è un riflesso del mutevole equilibrio economico” ha detto Lotte Rørtoft-Madsen, ricordando come ciò abbia la possibilità di intensificare le contraddizioni tra i popoli e l’imperialismo, aprendo uno spiraglio per continuare la lotta anticoloniale. Il ministro degli esteri danese, invece, si muove su un altro piano: “L’Europa è in declino, rischiamo di perdere influenza. Dobbiamo gettare ghiaia su questo pendio scivoloso, in modo che le nostre aziende abbiano opportunità di vendita, in modo da restare di supporto all’ordine mondiale internazionale basato sulle regole” (cioè quello imperialista e neoliberale a guida statunitense). Insomma secondo Lotte Rørtoft-Madsen “qui non si parla di uguaglianza o di cooperazione reciproca win-win. Qui non si parla di una comunità globale con un futuro condiviso. Invece si coltiva il dominio imperialista e neocoloniale”. Ma la buona notizia è che questo atteggiamento, queste politiche e questo approccio non hanno alcun futuro: “lo sviluppo multipolare, l’ascesa – o meglio: l’ammutinamento – del Sud Globale, la crescente influenza dell’intelligente diplomazia cinese ci lascia sperare in un altro sviluppo”. Ciò non avverrà però in maniera automatica: “alla fine spetta a noi, forze antimperialiste, rivoluzionarie e comuniste, intraprendere la lotta. Ed è urgente. La pace nel mondo è in gioco!”.
Smascherare quella “sinistra” infiltrata dagli USA
Ma la politica danese è stata ancora più esplicita: “Lasciatemelo dire forte e chiaro: se non riconoscete lo sviluppo multipolare come una realtà oggettiva e non supportate qualsiasi tentativo di utilizzarlo, sia esso piccolo o insignificante, sia esso non sempre motivato come lo motivereste voi, allora finirete nel campo dell’imperialismo transatlantico”! Un’accusa molto netta a quella parte di estrema sinistra che in Europa sta confondendo le acque parlando di “imperialismo cinese” e che pone sullo stesso piano la NATO con la Russia. La lotta contro l’imperialismo non è insomma solo una questione del sud del mondo: “è strettamente legata alla lotta della classe operaia nel nucleo imperialista” spiegano ancora Rørtoft-Madsen: “Noi al centro dell’imperialismo dobbiamo sostenere la lotta anti-imperialista e anti-coloniale dei popoli oppressi. Ma il nostro contributo più importante è quello di intraprendere la lotta contro le nostre stesse classi dominanti”.
L’ingenuità non è più accettabile!
Massimiliano Ay, dal canto suo, dando ragione alla collega danese, ha sottolineato come di fronte al processo di de-dollarizzazione e allo spostarsi del baricentro economico verso l’Eurasia, l’imperialismo atlantico “non accetterà mai di assistere passivamente al suo declino a favore di paesi come la Cina o la Russia”. La possibilità dunque che una guerra “possa essere scatenata per impedire che il progresso industriale e tecnologico possa giovare a un paese socialista o a un movimento di liberazione nazionale non è irrealistica” ha avvertito Ay, che ha però anche ammesso che in merito il dibattito è aperto: “So, compagni, che alcuni marxisti sono più ottimisti e tendono a escludere questo rischio. Tuttavia, vorrei sottolineare che l’imperialismo non agisce sempre in termini razionali e non sempre tutto può essere compreso attraverso le regole dell’economia”: insomma “anche se una guerra mondiale non fa comodo a nessuno dal punto di vista economico, non è detto che dal punto di vista ideologico, per ragioni di politica interna apparentemente del tutto irrazionali, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la NATO decidano di agire, provocando un casus belli”.