A margine dell’Assemblea generale dell’ONU a New York, tenutasi alla fine di settembre, il ministro degli esteri cinese Wang Yi e il consigliere presidenziale brasiliano Celso Amorim hanno annunciato la creazione degli Amici della Pace, un “gruppo di iniziative” che ha lo scopo di promuovere un processo di pace per la guerra in Ucraina. Mentre una dozzina di paesi del Sud globale hanno già aderito alla piattaforma, dando fiducia alla diplomazia cinese, che cosa sta facendo la Svizzera?
Obbiettività e razionalità
Visto il fallimento delle numerose “iniziative di pace” occidentali, inclusa quella svizzera, i paesi BRICS hanno deciso evidentemente di prendere la faccenda nelle proprie mani.
Secondo quanto dichiarato da Wang Yi, la visione cinese per un processo di pace credibile passa dal cessate il fuoco immediato lungo l’attuale linea del fronte e dall’impegno di entrambe le parti ad evitare le escalation, quale per esempio l’estensione della zona dei combattimenti.
“Gli Amici della Pace sono chiamati a parlare in modo obiettivo e razionale, svolgeranno un ruolo costruttivo nella soluzione politica della questione ucraina” ha affermato Wang Yi. Obbiettività e razionalità sono parole che non si sono sentite spesso in Occidente, seppellite dal demenziale mantra sull’aggressore e l’aggredito e i piani massimalisti sui “confini del 1991”, diventati già inattuali dieci anni fa, quando il popolo della Crimea ha votato la secessione dall’Ucraina.
Cina e Brasile partono dal presupposto che un processo di pace può funzionare solo se vengono coinvolti entrambi i contendenti (saluti al Bürgenstock…), garantendo la dovuta considerazione ai rispettivi interessi. Nettissima quindi la differenza rispetto alle varie “proposte di pace” euroamericane, in realtà pure e semplici dichiarazioni ultimative che non rispecchiano in alcun modo né la situazione sul campo di battaglia, né i rapporti di forza internazionali, con una Federazione russa tutt’altro che isolata sia diplomaticamente che economicamente.
L’ostilità di Kiev
Alla prima riunione degli Amici della pace ha partecipato un buon numero di nazioni, destinato indubbiamente a crescere: Algeria, Bolivia, Brasile, Cina, Colombia, Egitto, Indonesia, Kazakistan, Kenya, Messico, Sud Africa, Turchia e Zambia. Anche il sostegno della Federazione Russa all’iniziativa sino-brasiliana è pressoché scontato, visti gli stretti rapporti che intercorrono a più livelli tra Mosca, Pechino e Brasilia.
L’interesse della comunità internazionale sembra assicurato, ma ciò non piace all’Ucraina. Il Ministero degli esteri di Kiev ha pubblicamente espresso la sua ostilità alla piattaforma sino-brasiliana, nonostante l’iniziativa sarebbe in realtà un ragionevole punto di partenza anche per l’Ucraina, che dovrebbe unicamente cedere quei territori che de facto non controlla già più. In cambio otterrebbe la cessazione delle ostilità, che invece stanno rapidamente spingendo il paese verso il punto di non ritorno, sia sul piano demografico che su quello economico. Ma, come è noto, quello ucraino è un governo a sovranità limitata, che non avrebbe il potere di accettare tali accordi nemmeno se lo volesse.
Inoltre la nascita degli Amici della Pace ha scompigliato le carte a Zelenskij, che proprio in quei giorni era a New York per presentare il suo personale “piano di pace”. Più che un vero piano, si è però trattato di una serie di dichiarazioni velleitarie, che persino la stampa americana ha definito una “lista dei desideri”. È naturale che agli occhi della comunità internazionale il piano sino-brasiliano sia quindi apparso come l’alternativa credibile ai vaneggiamenti di Zelenskij, e che proprio per questo motivo non sarà sostenuto da Kiev.
E la Svizzera?..
In Europa gli Amici della Pace incassano il pieno sostegno dell’Ungheria, espresso per bocca del ministro degli esteri Péter Szijjártó: “L’Ungheria sostiene gli sforzi diplomatici nell’ambito del piano di pace sino-brasiliano, che considera la diplomazia come l’unica soluzione, prevenendo l’escalation nucleare ed evitando di dividere il mondo in blocchi orientali e occidentali.”
Ciò non stupisce più di tanto: era intuibile che il viaggio di Orban dello scorso luglio, tra Kiev, Mosca e Pechino, spingesse in questa direzione.
Sorprende di più (ed è un segno dei tempi) la partecipazione della Svizzera alla prima riunione della piattaforma, sebbene solo in qualità di osservatore. Berna ha espresso il suo sostegno all’iniziativa per bocca di Nicolas Bideau, portavoce del DFAE: “Sosteniamo l’iniziativa di Cina e Brasile perché chiede un cessate il fuoco e una soluzione politica al conflitto”.
Sembra un buon segnale, dopo il clamoroso fiasco del Bürgenstock, ma è ancora presto per rallegrarsi: non rassicura il silenzio di Ignazio Cassis, visto quanto il consigliere federale stia attento a non contrariare americani ed europei, tantopiù che il Ministero degli esteri ucraino ha già criticato la presa di posizione della Confederazione.
L’adesione della Svizzera alla piattaforma sino-brasiliana rimane insomma una grossa incognita, e vi è il rischio che ancora una volta la Confederazione sottometta la propria politica estera agli interessi del blocco euro-atlantico.
Ma anche nel caso che Berna decida finalmente di fare un passo nella direzione giusta, rimarrebbe il rammarico per una Svizzera ormai costretta ad accodarsi alle iniziative degli altri, dopo aver sprecato malamente tutte le occasioni per offrire i propri buoni uffici nella risoluzione del conflitto.