Il Presidente spagnolo Pedro Sánchez durante la sessione parlamentare di fine maggio ha annunciato che il Consiglio dei Ministri avrebbe riconosciuto lo Stato di Palestina il 28 maggio 2024. In questo modo, il Regno di Spagna si è unito ai 143 Paesi che già riconoscono la Palestina come Stato a sé. La notizia divide però il movimento comunista spagnolo: c’è chi riconosce che si tratta di una conquista non indifferente, perlomeno con gli attuali rapporti di forza internazionali, ma c’è anche chi invece la reputa declamatoria e un’ennesima dimostrazione di opportunismo. Da un lato troviamo lo storico Partito Comunista di Spagna (PCE) che, proveniente dalla tradizione eurocomunista, opera oggi all’interno del movimento “Sumar” di Jolanda Diaz e aderisce con due ministre al governo di coalizione di centro-sinistra; dall’altra si trova il Partito Comunista dei Popoli di Spagna (PCPE) che aderisce a una lettura più stretta del marxismo-leninismo e che mantiene una linea di netta opposizione al governo Sánchez.
Il PCE: “merito nostro che siamo rimasti nella coalizione di governo”!
Il PCE ha diramato un comunicato stampa in cui si legge: “è una decisione che celebriamo e che è dovuta alla nostra presenza nel governo e alle numerose mobilitazioni sociali di solidarietà realizzate in Spagna e a livello internazionale da quando il regime sionista ha intensificato il genocidio”. Il PCE celebra insomma sì il riconoscimento della Palestina come Stato, “ma chiede un cessate il fuoco immediato, la rottura immediata dei rapporti con Israele, l’embargo effettivo sulla compravendita di armi con il regime sionista, la fine del genocidio a Gaza e la fine dell’occupazione israeliana nel resto dei territori, così come il ritorno di tutti i profughi palestinesi”. Il partito guidato da Luis Centella insiste: “continuiamo a chiedere che i leader dell’entità criminale sionista, con Netanyahu a capo, siano portati davanti alla Corte Penale Internazionale per pagare per i loro crimini”. Il PCE esige che il governo spagnolo “rompa immediatamente i rapporti con il regime di Israele”.
Il PCPE: “Quella di Sánchez è una scelta insufficiente e tardiva”
Diversa la lettura del Partito Comunista dei Popoli di Spagna (PCPE), il quale non si dimostra affatto soddisfatto: per quanto ammetta che tale misura abbia “un importante valore politico”, essa viene giudicata “insufficiente e tardiva”: “Oltre trentamila morti di cui quasi quindicimila bambini, decine di migliaia di feriti, ospedali e scuole distrutte, bombardamenti al fosforo bianco, carestia come strumento di guerra e genocidio in diretta del popolo palestinese la cui unica risposta finora è un atto formale di riconoscimento della sua esistenza”. Il PCPE sottolinea che il governo di Madrid “che riconosce lo Stato palestinese è lo stesso che ha organizzato il vertice NATO del 2022 a Madrid, che ha esteso l’autorizzazione delle basi statunitensi nello Stato spagnolo e ha firmato i bilanci più guerrafondai della storia della Spagna, e come se non bastasse appoggia il governo nazifascista dell’Ucraina a suon di milioni”. Da Sánchez il PCPE pretenderebbe che rompa le relazioni diplomatiche con l’entità sionista e imponga l’embargo sulle armi.
“Il 54% del territorio palestinese fu ceduto ai coloni europei per creare Israele”
Quando si riferisce alla storia di Israele, il PCE – per quanto non arrivi a mettere esplicitamente in discussione l’esistenza dello Stato sionista – non usa comunque mezze misure. Sul suo sito si legge infatti chiaramente quanto segue: “Il 29 novembre 1947, cinquantuno Stati membri della neonata Assemblea Generale delle Nazioni Unite votarono per raccomandare la creazione di due Stati sul territorio della Palestina storica, uno ebraico e l’altro palestinese. Il voto si svolgerà senza la partecipazione dei nativi palestinesi, con il blocco mondiale arabo contrario e con la maggioranza del continente latinoamericano sotto il giogo degli Stati Uniti. In questo modo, il 54% del territorio palestinese fu ceduto ai coloni europei, che a quel tempo possedevano il 7% del territorio della Palestina storica per la formazione di Israele. L’intero piano fu realizzato con la connivenza della ‘comunità internazionale’ guidata dal Regno Unito che all’epoca occupava la Palestina. In questo modo, il sionismo viene protetto affinché un anno dopo, il 15 maggio, avvenga la Nakba, il violento spostamento ed esproprio dei palestinesi della loro terra, nonché la distruzione della loro società, cultura, identità, diritti politici e aspirazioni nazionali […]. Dallo scorso 7 ottobre assistiamo ad un genocidio perpetrato dal regime israeliano, con l’esplicito patrocinio degli Stati Uniti e la complicità dell’UE”. Il PCE ribadisce quindi “la richiesta della rottura immediata delle relazioni tra Spagna e Israele nonché dell’esclusione del regime israeliano da qualsiasi programma finanziato dall’UE fino a quando non si conformerà alle risoluzioni delle Nazioni Unite e riconoscerà lo Stato palestinese, oltre a portare i leader israeliani davanti alla Corte penale internazionale” e si schiera “per il diritto a uno Stato palestinese libero e sovrano, per la fine dell’occupazione e per il ritorno dei profughi”.
“Due popoli, due Stati” è ormai una parola d’ordine superata dagli eventi
Il PCPE non fa sconti all’entità sionista e in questo senso denuncia che “il riconoscimento dello Stato palestinese significa il riconoscimento de facto dello Stato sionista. Siamo totalmente contrari a riconoscere l’esistenza dell’entità sionista di Israele, che si basa sul genocidio e sulla pulizia etnica del popolo palestinese e sul fatto di fungere da punta di diamante dell’imperialismo in un’area di importanza strategica. L’Asse della Resistenza sta vincendo la guerra contro il sionismo e la socialdemocrazia, come sempre, viene in soccorso dell’imperialismo, in questa occasione, dove il ritorno alla ‘normalità’ non è più possibile, tendendo a una ‘soluzione pacifica’ e a una via di fuga per la coesistenza dei due Stati. Il Comitato esecutivo del PCPE ha ribadito le proprie rivendicazioni: 1) Riconoscimento di un unico Stato palestinese dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo con Gerusalemme come capitale; 2) Sostegno al legittimo diritto alla resistenza del popolo palestinese con tutti i mezzi a sua disposizione, compresa l’iniziativa armata; 3) Interruzione delle relazioni diplomatiche e commerciali con l’entità sionista e 4) Rifiuto totale di qualsiasi accordo con il governo nazifascista dell’Ucraina.
E in Svizzera?
Interrogato sul tema il segretario dei comunisti svizzeri afferma: “il nostro Partito ha relazioni fraterne da anni con il PCPE e di recente le ha aperte anche con il PCE: non interferiamo quindi nel dibattito interno al movimento comunista spagnolo che seguiamo con interesse e rispetto”. Tuttavia Massimiliano Ay può riferire delle posizioni del PC svizzero: “la Svizzera riconosce l’entità sionista ma non lo Stato palestinese: ciò è contrario alla neutralità, quindi noi rivendichiamo anzitutto che Berna riconosca la Palestina e funga da mediatrice per fermare il genocidio”. Questo è però quello che ci si attende dal governo, ma qual è la linea del PC sul conflitto israelo-palestinese in sé? “A me pare che dopo questo genocidio ad opera dei sionisti la prospettiva dei ‘Due popoli, due Stati’ sia complicata. Il nostro Partito considera piuttosto quella palestinese a tutti gli effetti una lotta partigiana di liberazione nazionale”.