Quindici anni dopo: essere il modello di noi stessi

La cesura del 20° Congresso del Partito Comunista – Bellinzona, 07 giugno 2009

Da coordinatore del Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA) cercavo di marcare il territorio. Talvolta facevo sopralluoghi inaspettati nei licei, anche solo per chiacchierare con i ragazzi durante le pause: venivo a sapere dei problemi, tastavo il polso per coglierne le percezioni e costruivo un rapporto di fiducia con cui organizzarli. Capii che tutto questo stava finendo quando iniziarono (tragicamente) a …darmi del lei: così, il 17 novembre 2007, durante un’assemblea alla Casa del Popolo di Bellinzona rassegnai le dimissioni da coordinatore del SISA.

Poche settimane dopo venni convocato a Osogna, al Bar dal Giovann: l’allora segretario politico del Partito del Lavoro, che da pochi mesi aveva cambiato nome in Partito Comunista, mi propose inaspettatamente di entrare a far parte della sua Segreteria (l’attuale Direzione). Accettai pensando che, alla luce della mia esperienza passata, mi venisse affidata la delega alla politica scolastica. Diventai invece responsabile della comunicazione: un ambito per me del tutto nuovo e in cui il Partito era alquanto debole.

Ammetto che assunsi un piglio piuttosto accentratore, necessario per implementare rapidamente delle riforme che avrebbero dovuto essere drastiche. Oltre a cambiamenti nella politica dei comunicati stampa, rinnovai del tutto la presenza del Partito su internet (la decisione di investire massicciamente su Facebook arrivò però solo l’anno seguente) e benché fossi poco convinto del supporto cartaceo, tentai (con risultati alterni) di rilanciare l’allora mensile “L’inchiostro rosso” riducendo parzialmente l’autonomia della redazione, affinché – adottando forse un po’ meccanimente l’insegnamento di Lenin – diventasse uno strumento organizzativo prima che informativo.

Teoria e Prassi

La dialettica materialista, che sta alla base del marxismo, insegna che dall’azione pratica possono nascere una nuova teoria e una nuova unità. Ma questo significa che, a volte, quello che funzionava prima diventa poi inservibile. L’anno precedente alla mia elezione si verificarono due fatti che “travolsero” il Partito, facendone emergere varie contraddizioni e dimostrandone l’inadeguatezza rispetto al tempo presente. La causa che potremmo definire esogena è datata 7 marzo 2008, quando scoppiò il grande sciopero dei ferrovieri che per un mese occuparono gli stabilimenti delle Officine FFS di Bellinzona. In un’accesa riunione della Segreteria, nella sala di vetro della Casa del Popolo, lamentai un Partito al traino degli eventi e che nemmeno tentava di essere nel conflitto sociale. Endogena è invece la crisi che emerse a seguito dell’approccio del Partito alla campagna elettorale per il rinnovo dei consigli comunali, con cui in aprile si puntava a rientrare in più legislativi cittadini possibili ma che denotò la poca aderenza fra teoria e prassi. Senza andare nel dettaglio, confrontati con la pratica della lotta di classe (che esiste anche se non si vede e che, pure nelle sue forme più semplici può essere dura) emerse purtroppo tutta la nostra debolezza strategica e operativa, che portò inevitabilmente alla disgregrazione del gruppo dirigente. Nel maggio 2008, tramite lettera raccomandata (con un formalismo che mi colpì), fui invitato a dimettermi dalla Direzione del Partito, cosa che accettai di buon grado visto che ormai mi trovavo, nei fatti, in opposizione al Segretario politico. La mia parabola fra i vertici del PC, insomma, sembrava già terminata, e con una rapidità impressionante. Scrissi in quell’occasione una lettera piuttosto articolata – a cui non venne mai data risposta – in cui, facendomi da parte, chiedevo dei chiarimenti di linea politica visto che non ritenevo di aver contravvenuto ad alcuna decisione superiore. Iniziò poi un periodo in cui il Partito letteralmente “sparì”: da giugno alla fine di ottobre, gli organi statutari in effetti non vennero più convocati. La sera del 25 ottobre 2008 alla Casa Gaby di Solduno si riunì il Comitato Cantonale, io vi arrivai scornato: dopo una giornata trascorsa nei licei cantonali in sciopero constatai che il Partito, che esprimeva pur sempre gran parte dei militanti studenteschi, non solo in piazza con i ragazzi non c’era, ma nemmeno aveva avuto la prontezza di diramare un comunicato di solidarietà. Quella sera, peraltro, venni addirittura escluso persino dal Comitato Centrale a livello nazionale.

Le svolte inaspettate della politica

Decisi tuttavia di resistere, anche se la voglia di gettare la spugna era forte. Neanche quattro mesi dopo, inaspettatamente (a dimostrazione che la politica ha decisamente tempi e modi tutti suoi), quasi la totalità dei membri della Direzione del Partito si dimisero in blocco, tentando addirittura maldestramente una scissione (che non ebbe successo). Convocato d’urgenza coi militanti rimasti la sera del 4 febbraio 2009 alla Casa del Popolo di Bellinzona, per dare continuità all’organizzazione, mi opposi a chi voleva – invero un po’ fuori tempo massimo – “nascondere” la crisi del Partito (che in realtà era già su tutti i giornali), cooptando una nuova segretaria politica e continuando come nulla fosse. C’era a mio avviso urgenza, al contrario, di avere una discussione di fondo su quello che volevamo essere e che volevamo fare: chiesi quindi la convocazione di un Congresso straordinario in tempi rapidi, che avvenne poi per il 7 giugno 2009 (video). Al Partito mancava identità, metodo e obiettivo: un vuoto che andava colmato, altrimenti ci avrebbe riportati a una nuova impasse. È questa la differenza fra chi voleva – come me – un Partito che sapesse fare politica e chi invece preferiva un Partito che fosse solo un gruppo amicale che portasse una testimonianza critica ma che, nella sostanza, restasse legato in modo innocuo alla socialdemocrazia.

Nonostante uscissimo, appunto, da una crisi pesante al vertice del Partito, tutto sommato e con un certo mio stupore, avevamo saputo reggere il colpo e il corpo militante era rimasto quasi intatto, soprattutto quello giovanile che era per me l’elemento determinante al fine di concretizzare il progetto di rinnovamento che si rendeva a quel punto urgentissimo. Mi resi però davvero conto solo allora che, tenendo presente l’anzianità di servizio, l’esperienza politica e l’aderenza ideologica, i compagni disponibili ad assumere la carica di Segretario politico scarseggiavano grandemente. Non nascondo che in quel momento vedevo il mio contributo nel PC sì come quadro dirigente, ma solo con una responsabilità settoriale, lasciando ad altri il difficile ruolo di leadership che presuppone anche una non sempre facile capacità di sintesi e di presenza. Le cose, come sappiamo, andarono diversamente e nei momenti di cesura la causa socialista richiede sempre senso di responsabilità e disponibilità militante.

Su proposta del movimento giovanile, che rappresentava quell’anno forse la buona metà dei tesserati al Partito, accettai quindi la candidatura quale Segretario politico, ma a due condizioni. La prima condizione era che andava esclusa, come era invece prassi tradizionale nei partiti comunisti, un’elezione da parte del corpo intermedio del Partito: in un momento di pesante crisi interna volevo avere infatti una legittimità diretta dalla base, e quindi chiesi che il mio nome fosse posto al voto del Congresso. La seconda condizione era che, accanto al documento congressuale presentato dal Comitato uscente (ai cui contenuti avrei in ogni caso aderito), occorreva approvare anche delle tesi di orientamento politico che avrei presentato io stesso a mo’ di programma personale e su cui avrei basato la mia agenda in caso di nomina a Segretario politico. Così è stato, e nacque il documento intitolato “Per un futuro socialista: un partito dei lavoratori che sappia incidere nella realtà” (link). In esso, al di là di elementi ancora a tratti idealistici e forse un po’ “rozzi” dettati dalla giovane età, si può rilevare fra le righe l’influenza di due altre realtà che a quell’epoca avevo studiato da vicino: l’esperienza del Partito dei Comunisti Italiani (PdCI, a cui ero peraltro iscritto) e il dibattito interno al Partito del Lavoro del Belgio (PTB) sono state le mie fonti di ispirazione. Ma ispirazione non significa fare copia-incolla, al contrario occorreva essere creativi e trovare una propria via originale con cui caratterizzare il PC e costruirgli intorno un suo fascino, che “stuzzicasse” anche chi non sarà mai dei nostri.

Il rilancio strategico del Partito

Il processo di rinnovamento del Partito di cui sono stato promotore con la fondamentale collaborazione delle compagne e dei compagni che sono al mio fianco da allora, in primis l’attuale vice-segretario politico Alessandro Lucchini, si sarebbe basato su quattro pilastri:

  1. la svolta della “normalizzazione”
  2. il concetto del “partito di quadri con vocazione di massa”
  3. il metodo del “partito di governo non al governo”
  4. la prospettiva della “nuova cooperazione”

Ad esclusione del quarto punto, che fu abbozzato in verità solo durante il Congresso del 2013 ma messo in pratica realmente con il Congresso del 2016, i primi tre emersero come effettiva linea di Partito al Congresso del 2011. Certamente la svolta della “normalizzazione” – ossia il tentativo di far uscire i comunisti dalla concezione di nicchia, gruppuscolare, massimalistica e folcloristica, in cui si erano loro stessi cacciati – era iniziata sin da subito, appunto durante il 20° Congresso del 2009, ma solo due anni più tardi, dopo un’altra lotta politica interna, assunse il tratto di fondamento strategico a cui tutto il Partito si sarebbe dovuto conformare.

Quella che alcuni interpretarono superficialmente come una stupida lotta anagrafica, era dunque in realtà un confronto politico, organizzativo e ideologico: da parte soprattutto della sezione giovanile vi era la volontà di rimpossessarsi del socialismo scientifico quale metodo di condotta politica, e dunque ambire a una maggiore indipendenza di classe e a un’impostazione strategica della nostra azione politica che superasse un approccio che giudicavamo poco incisivo, che con il suo eclettismo aveva purtroppo caratterizzato il Partito almeno nei dieci anni precedenti, snaturando quella che era la tradizione rigorosa dal Partito del Lavoro fondato da Pietro Monetti.

Dopo 80 anni si apre una nuova epoca

Dal 2009 ad oggi abbiamo profondamente rinnovato quello che nel 1944 venne fondato col nome di Partito Operaio Contadino Ticinese (POCT) e che dal 1963 fino al 2007 era noto come Partito del Lavoro (PdL). Se sul piano meramente anagrafico il cambiamento è stato evidentissimo e, per un Partito dato quasi per morto a inizio millennio ciò ha quasi del miracoloso, sul piano istituzionale abbiamo constatato che la linea intrapresa era corretta: i consiglieri comunali sono triplicati e i deputati in Gran Consiglio raddoppiati. Sul piano dell’organizzazione abbiamo fatto passi avanti sia in quanto a tesserati che in quanto a disciplina militante, così come per quanto concerne la presenza sul territorio.

Siamo ora entrati nell’anno in cui festeggeremo l’80° di fondazione, più precisamente il 6 agosto. Sarà quello un momento per tirare dei bilanci e per aprire una nuova fase interna che ci porterà poi nel 2025 a convocare il 25° Congresso. Dobbiamo essere molto soddisfati per quanto abbiamo raggiunto in piena indipendenza, senza risorse finanziarie, senza spazi mediatici privilegiati e anzi con innumerevoli tentativi di accerchiamento e di isolamento politico da parte proprio della nostra stessa area politica. E nel contempo dobbiamo anche essere molto esigenti con noi stessi perché la responsabilità di rendere il Partito uno strumento di analisi e di lotta sempre all’altezza della fase storica compete a tutti. Ringraziando tutti coloro che, in modi e forme diverse, si sono impegnati nel processo di ricollocamento strategico del Partito soprattutto in quest’ultimo quindicennio, anche a costo di scontrarsi con chi non intendeva rispettare il centralismo democratico, possiamo dire oggi che la linea intrapresa era davvero adeguata al contesto, che è stata fruttuosa e che ne è valsa la pena. Come disse un dirigente del Partito Comunista Portoghese in visita a Bellinzona nel 2021: “il vostro Partito esiste!”. Sì, il Partito c’è! Sembrerà banale, ma è stato un complimento molto apprezzato: non siamo stati una scintilla che si esaurisce in un fuoco di paglia, abbiamo tenuto la barra dritta e abbiamo ricostruito una soggettività di classe in Svizzera. Non è infatti solo la forza elettorale o il numero di tesserati a rendere un Partito marxista realmente incisivo: chi non è rivoluzionario non lo capirà mai, ma a noi… va bene così!

Ora si tratta di riconoscere la nuova epoca storica in cui siamo entrati e alla quale occorre riadeguare la nostra struttura: la transizione del mondo, e conseguentemente anche della Svizzera, al multipolarismo potrebbe non essere indolore. L’imperialismo atlantico cerca ogni giorno l’escalation e la guerra per frenare lo sviluppo delle nazioni socialiste e per impedire a quelle emergenti di giocare un ruolo preponderante nella liberazione dei popoli. Ma questi ultimi, dal Donbass alla Palestina, passando per le ex-colonie africane, uno dopo l’altro, si stanno ribellando ed emancipando dal neo-colonialismo. Il canto del cigno del sistema atlantico è insomma iniziato: dovremo essere pronti a un periodo di grandi turbolenze, ma anche di prospettive interessanti. Ecco perché ora dobbiamo ricalibrare le priorità strategiche: difendere la neutralità svizzera significa agire per la pace e indebolire la NATO, difendere la nostra sovranità significa tutelare quegli spazi di agibilità democratica che l’UE vorrebbe restringere. È indispensabile quindi agire per la più ampia unità popolare e aggregare tutti coloro che, benché non comunisti, siano pronti a collaborare con noi in un fronte unito per la neutralità e i diritti del lavoro. Ma questa politica, che già nel 1944 chiamavamo di “rassemblement populaire”, potrà essere forte e davvero trasversale solo se al suo interno saranno solidi in primis i comunisti: ecco perché il Partito deve sia aumentare i membri e promuovere i quadri con un’intensificazione dell’organizzazione, sia vegliare ancora di più sulla compattezza ideologica: quest’ultima non deve corrispondere infatti a una stanca ripetizione di astratti slogan marxisti-leninisti, ma al contrario deve consistere in un’aderenza convinta al nostro specifico programma di fase, perché come mi piace ripetere …noi siamo il modello di noi stessi!

Massimiliano Ay

Massimiliano Ay è segretario politico del Partito Comunista (Svizzera). Dal 2008 al 2017 e ancora dal 2021 è consigliere comunale di Bellinzona e dal 2015 è deputato al parlamento della Repubblica e Cantone Ticino.