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Un commento sulle elezioni russe

A spoglio concluso le elezioni presidenziali in Russia hanno dato il seguente esito. Ha vinto con l’87% dei voti Vladimir Putin. L’affluenza alle urne è stata la più alta dal 1991, pari al 74,2%. Alle spalle di Putin (si fa per dire) è il Partito Comunista con Kharitonov (3,9%). Dunque le forze dichiaratamente avverse al modello liberale rappresentano circa il 91% delle preferenze.

Questo mentre i nostri eroi della liberaldemocrazia viaggiano intorno al 30% di gradimento interno (così Biden, così Macron, così Scholz, così Sunak).

Ecco adesso non guardo neppure i giornali, perché le reazioni di questi personaggi è prevedibile quanto un riflesso patellare:

“Ma la Russia non è una vera democrazia! La gente va a votare con un Kalashnikov puntato alla schiena! I media condizionano l’opinione pubblica! Non riconosciamo i risultati, ecc.”

Che in traduzione simultanea geopoliticamente avvertita suona:

“Allora non gioco più e ti buco il pallone, ecco!”

Ma la verità è semplice, sinanche banale.

Putin ha dimostrato di riuscire a fare in modo intelligente, spregiudicato ma equilibrato, l’interesse del proprio popolo, trasformando quella che era considerata, secondo le parole del sen. MacCain, un “distributore di carburante travestito da stato” (“A gas station masquerading as a country”) in una nazione capace di futuro.

Di contro la classe politica più fallimentare della storia occidentale, gente che ha come orizzonte politico la trimestrale di cassa, che riciccia da mezzo secolo le stesse tre ideuzze putrefatte, che è disposta a vendere qualunque parente di qualunque grado, nonché sé medesimi, a prezzi di mercato, che tiene a catena cortissima la quasi totalità dei media occidentali, che è abituata a darsi incestuosamente ragione l’un l’altro in inconsapevole consanguineità politica, questa gente ha condotto i propri popoli sugli scogli. E continua a farlo, decomponendo giorno dopo giorno quel poco che resta in piedi.

Ma quegli stessi popoli, per quanto sprovveduti e fuorviati, oramai lo hanno capito, o almeno intuito.

Dunque le nostre classi politiche possono pure continuare a imbastire fieri cipigli, ad agitarsi, a sbambare di libertà e democrazia, a scambiarsi l’uno l’altro medaglie e benemerenze, ma il verdetto storico è già arrivato. Verranno ricordati come coloro i quali con la loro corruzione, arroganza, presunzione e insipienza hanno decretato, finalmente, il tante volte evocato “tramonto dell’Occidente”.

Resterà alla prossima generazione, se riuscirà a farsi spazio, di ricostruire una speranza su queste macerie, ritessendo rapporti con il resto del mondo, di cui siamo solo una piccola parte.

Andrea Zhok

Andrea Zhok, classe 1967, è professore associato di antropologia filosofica e filosofia morale presso Università degli Studi di Milano. Fra gli altri libri è autore di "Critica della ragione liberale" (Meltemi 2020).