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Il PCFR si rivolge a Putin: “approfittiamo delle sanzioni per determinare una svolta patriottica e sociale!”

Durante un dibattito alla televisione svizzera di lingua italiana (RSI) dell’ottobre 2022, il giornalista ticinese Reto Ceschi asseriva che il Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR) non svolgesse una vera opposizione al governo di Vladimir Putin. Forse il problema è che la RSI non ne parla mai, ma non per questo non esiste. L’azienda di Comano preferisce infatti narrare di un’altra opposizione russa – in realtà del tutto ininfluente – quella cioè dei liberal europeisti alla Navalny, scordandosi di documentare l’importante ruolo sul piano di massa svolta dai comunisti di Gennady Zyuganov. Quest’ultimo, peraltro, è proprio colui che quando necessario non ha mancato di aspramente contestare, come durante la sessione della Duma di Stato dove è stato adottato in prima lettura il bilancio della Federazione Russa per il periodo 2023-2025: stando ai comunisti esso “contraddice tutte le linee guida di Putin” continuando a imporre una linea politica di dipendenza dall’Occidente liberale. Certo, il PCFR è un partito che sta all’opposizione dell’attuale governo russo, che non partecipa alla spartizione delle poltrone ministeriali, e che come vedremo lo sa anche criticare, ma – e questo evidentemente indispettisce fortemente la narrazione della RSI – non permette che le sue critiche siano manipolate dalle forze anti-patriottiche che da Berna, Bruxelles o Washington si illudono di distruggere la nazione russa.

I comunisti chiedono più patriottismo!

Benché le sanzioni dell’UE non stiano avendo l’effetto sperato, e cioè destabilizzare la Russia imponendole di arrendersi sul fronte militare, esse comunque esistono e andrebbero sfruttate per rimodellare il sistema economico russo. Questa è in buona sostanza la linea del PCFR, il quale infatti denuncia come “il progetto di bilancio sia completamente in contrasto con le istruzioni del presidente sulla mobilitazione dell’economia e della società”. Zyuganov ha spiegato: “le migliaia di sanzioni contro la Federazione Russa e le crescenti minacce dovrebbero riflettersi nel principale documento finanziario dello Stato, che non sono solo numeri”. Insomma: manca ancora coraggio nell’affrontare di petto la nuova epoca storica in cui la guerra in Ucraina ci ha spinti. Continua il leader comunista: “il bilancio dello Stato dovrebbe tener conto che il mondo globalista anglosassone è in declino, la strategia russa di vendere gas attraverso accordi con l’Occidente è crollata: è necessario costruire una politica di bilancio basata sulla nuova realtà”. Una nuova realtà caratterizzata da una maggiore integrazione eurasiatica e la fine dei legami con i capitalisti occidentali. Secondo il PCFR di fronte alla “guerra ibrida che hanno dichiarato contro di noi” occorre risolvere tre problemi: “il primo è mobilitare le risorse, il secondo è compattare la società, il terzo è definire chiaramente le priorità e scegliere come implementarle”. E invece secondo Zyuganov la borghesia compradora russa, quella opportunista che di nascosto, per motivi di profitti egostici, resta filo-occidentale, continuare a sposare una visione non sufficientemente patriottica della politica e questo imporrà ancora “dipendenza coloniale e il degrado della Russia”. Le disuguaglianze sociali in Russia esistono e il PCFR sottolinea come il governo di Mosca agisca troppo lentamente per colmare questo divario e contrastare la povertà come invece ha esemplarmente fatto l’alleato cinese: “il capitale totale in dollari di cento dei nostri miliardari supera i fondi nei conti bancari di tutti gli altri cittadini della Russia: bisogna introdurre una scala di imposizione fiscale progressiva per i super ricchi” tuona Zyuganov opponendosi ai progetti contabili del governo. Perché il patriottismo cresca, spiegano i conunisti bisogna “unire le persone” e per farlo occorre migliorarne la condizioni sociali.

Bisogna aumentare le riserve auree!

Nella situazione attuale le sanzioni finanziarie ed economiche occidentali – secondo i comunisti russi – devono spingere il Cremlino ad aumentare gli investimenti in oro per evitare che i titoli e le valute subiscano fenomeni inflattivi: insomma le riserve auree sono un bene rifugio che permette di garantire la sovranità del Paes! Sembra quasi di riascoltare i dibattiti in Svizzera nel 2014 quando sia il Partito Comunista sia l’Unione Democratica di Centro peroravano la causa del divieto di vendere l’oro della Banca Nazionale Svizzera: la socialdemocrazia atlantica alleata ai liberali invece lo permise a tutto vantaggio degli USA. Ma se questo errore è comprensibile che lo faccia Berna a causa dell’impreparazione della sua classe politica, è grave che Mosca non corra ai ripari visto il clima di guerra fredda che si respira. Zyuganov, davanti alla Duma, ha enfatizzato la questione, ricordando ad esempio come ai tempi di Stalin, “durante la Grande Guerra Patriottica, anche quando i nazisti si trovavano vicino a Mosca e sul Volga, le miniere d’oro lavoravano su tre turni! Ed è grazie a ciò che abbiamo rapidamente restaurato il Paese dopo la guerra”. Secondo il gruppo parlamentare del PCFR oggi, invece, le autorità finanziarie russe non solo non sono disposte a stanziare fondi per lo sviluppo dell’estrazione aurea ma continuano a favorire l’esportazione all’estero di oro e diamanti per miliardi di dollari: “stiamo aumentando le esportazioni di materie prime invece di sfruttarle noi stessi per sostenere la produzione indigena” lamenta il presidente comunista. La Russia di oggi, se valutiamo la sua quota nell’economia mondiale, continua sempre Zyuganov, “produce due volte meno dell’impero zarista nel 1913, cinque volte meno della sola Repubblica Socialista Federativa Sovietica di Russia e ben dieci volte meno dell’intera Unione Sovietica”. Per essere tenuti in considerazione nel mondo bisogna invece che Mosca aumenti i tassi di crescita, “padroneggiando le ultime tecnologie” insiste il capo del PCFR. E per questo “bisogna investire prima di tutto nell’economia nazionale!”. Ma non solo: i comunisti constatano criticamente che vi sono 1,5 milioni di russi che lavorano all’estero, soprattutto negli USA, nell’UE e in Giappone: “molti sarebbero felici di tornare”, anche a seguito dell’aumento del razzismo russofobico in Occidente, “ma per il ritorno in massa degli specialisti che sono emigrati è necessario anzitutto creare le condizioni adeguate sul piano lavorativo e dell’istruzione”. Proprio come ha saputo fare la Cina!