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Dick Marty: l’onestà di essere radicale

Dick Marty è morto. Il Ticino perde un liberale-radicale d’altri tempi, uno dei pochi ancora grado di capire che, quando non c’è giustizia sociale e quando il popolo non è appassionato dal dibattito politico, non c’è veramente democrazia. Marty era restato sinceramente fedele ai valori storici del suo partito. Per questo, entrò in contrasto con gli attuali esponenti del PLR, i quali, calpestando gli ideali dei padri fondatori del Ticino moderno, abbracciano ormai totalmente i mantra del liberismo selvaggio.

Non per nulla, in una brevissima nota inviata ai media, il PLR evita di parlare delle sue battaglie in seno alle istituzioni, con la ridicola scusa secondo cui “riassumere nelle poche righe di un comunicato stampa la figura di Dick Marty sarebbe un esercizio riduttivo”. Dopo aver ricordato le cariche ricoperte nel corso della sua carriera (Procuratore pubblico dal 1975 al 1989, Consigliere di Stato dal 1989 a 1995 , Consigliere agli Stati e Membro del Consiglio d’Europa dal 1998 al 2011), il PLR si limita a ricordare il ruolo di Marty quale “strenuo difensore dei diritti umani” e dei “valori fondamentali” dei liberali-radicali. Non una parola sul contenuto delle inchieste svolte in Seno al Consiglio d’Europa, attraverso le quali Marty denunciò i crimini perpetrati dai servizi segreti americani o dai gruppi armati kosovari che combatterono contro l’esercito jugoslavo alla fine degli anni ‘90.

Questi aspetti, d’altronde, passano in sordina anche sul Corriere del Ticino o sul Telegiornale della Svizzera Italiana, in cui si parla di “presunte” prigioni segrete della CIA scoperte grazie al lavoro di Marty. Le scomode verità da lui denunciate, vengono sminuite dai media ticinesi ad un semplice sentito dire. Eppure le inchieste di Marty vennero condotte in modo estremamente serio e si basano su prove valide. Nel 2005 egli denunciò il modo con cui la CIA, collaborando con vari paesi europei, Svizzera inclusa, catturò, rinchiuse e torturò svariati nemici degli USA. Nel 2011, invece, Marty scoprì che, alla fine degli anni ’90, il gruppo armato separatista kosovaro UCK, uccise centinaia di cittadini serbi per vendere i loro organi sul mercato nero. Queste accuse non si basano sulla “presunzione” di colpevolezza degli attori coinvolti, ma su un lavoro instancabile e coraggioso.

Ciò non significa, comunque, che negli ulti anni Dick Marty sia stato isolato mediaticamente. La sua grande intelligenza, il suo instancabile lavoro e, forse, anche il suo essere liberale sulla carta e progressista nella sostanza, lo resero un personaggio pubblico molto conosciuto e apprezzato. Il modo con cui i giornali e le televisioni parlano della sua morte, però, mostra che pochi vogliono veramente mettere in valore il suo operato e che per questo certe sue prese di posizione non hanno trovato grande riscontro. Vale quindi la pena di ricordare, in questo mio breve articolo, il modo in cui, nel 2006, Marty scandalizzò il pubblico benpensante di una conferenza organizzata nell’ambito del Film festival di Locarno e intitolata “le sfide dei Balcani”. In quell’occasione, infatti, Marty denunciò la criminalità organizzata che dilagava in Kosovo e affermò che il tribunale penale internazionale per l’Ex-Jugoslavia aveva applicato la giustizia dei vincitori, i quali non avevano però voluto fare i conti con i crimini della fazione da loro sostenuta. Questa presa di posizione, insolita per un politico di area liberale-radicale, non fu un caso isolato. Possiamo ricordare, infatti, le sue critiche contro il blocco economico imposto dagli USA ai danni di Cuba, la sua ferma condanna nei confronti delle sanguinarie politiche segregazioniste di Israele ma anche le sue dichiarazioni nel corso di una conferenza tenutasi nel 2019, presso la SPAI di Locarno, quando elogiò il governo cinese per gli sforzi atti a togliere dalla povertà centinaia di milioni di persone. 

Nei prossimi anni, coloro che intenderanno lottare per una democrazia più sana e indipendente, potranno trarre molta ispirazione dal lavoro e dal pensiero politico di Marty. Io stesso, come semplice militante comunista, ho a casa il suo ultimo libro e intendo leggerlo quanto prima, sicuro di trovarvi molteplici spunti di riflessione. Lo studio delle sue idee sulla giustizia e sulla democrazia, non dovrà però essere fatto in maniera acritica. Se da un lato, Marty si distanziò dal suo partito, criticandone le derive neoliberiste e sostenendo iniziative popolari innovative come quella sulle “multinazionali responsabili”, egli non volle mai aderire a movimenti politici più vicini alle sue posizioni, collaborando, da pari, con altre persone. Il fatto di pensare sempre con la sua testa, lo rese sicuramente un grande uomo, un idolo per alcuni e, in quanto tale, rifiutò di seguire la disciplina di altri partiti, forse per paura di farsi mettere in ombra. D’altronde, molti personaggi politici di spessore come lui, raggiunta una certa notorietà, tendono ad andare per la loro strada, sicuri di essere comunque seguiti e apprezzati.

Un liberale d’altri tempi muore lasciando al proprio paese un bagaglio politico fatto di verità scomode e di riflessioni interessanti. Alle future generazioni il compito di far tesoro di questa eredità, ciascuno col proprio filtro ideologico, ciascuno con la consapevolezza che, nel giorno del funerale di Dick Marty, non salutiamo un guro ma diciamo sicuramente addio ad un grande uomo!

Levi Morosi

Laureato in storia a Friburgo, classe 1996, si è occupato di storia politica e diplomatica nell'Europa del Novecento, con un particolare interesse per la propaganda e il dibattito politico in Svizzera.