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Kissinger e il 1973, l’anno che ha cambiato il mondo

I risvolti politici ed economici della crisi petrolifera del 1973 sono stati di tale portata e intensità da cambiare la storia del Novecento. Ciò che è accaduto mezzo secolo fa, ha avuto così significative ripercussioni da determinare il corso degli anni successivi, parallelamente all’involuzione del modello sovietico, incapace di sviluppare le forze produttive.

Occorre primariamente comprendere che scelte politiche ed economiche si accavallano in un coacervo che sarebbe molto lungo dettagliare e districare, è certo che il gruppo di potere che si instaura alla Casa Bianca grazie al presidente Nixon e si consolida anche con l’arrivo dei neo – con, come Donald Rumsfeld, Dick Cheney e George Bush padre, ai tempi della presidenza Ford, è certamente abile e scaltro, capace di giocare con spregiudicata modernità nei campi della politica e dell’economia.

L’uomo fondamentale di quella stagione di trasformazioni è Henry Kissinger, prima Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Richard Nixon dal 1969 al 1975 e poi Segretario di Stato dal 22 settembre 1973 al 20 gennaio 1977, ovvero fino al termine del mandato di Gerald Ford. Kissinger, che con i suoi progetti ha esautorato già prima della sua promozione formale William Pierce Rogers, suo predecessore alla Segreteria di Stato, consiglia di mettere in campo una strategia di relazioni internazionali – economiche e politiche – capaci di garantire il primato agli statunitensi sul lungo periodo.

Partendo dall’insolvenza statunitense rispetto al cambio dollaro – oro, spinge per la fine degli accordi di Bretton Woods e l’abolizione del conseguente sistema monetario, il 15 agosto 1971 Nixon dichiara l’inconvertibilità del dollaro in oro. L’idea di Kissinger è che i cannoni della NATO e gli accordi internazionali possano e debbano garantire il primato statunitense e il suo necessario accaparramento a prezzo di furto delle materie prime energetiche e alimentari del resto del pianeta per sostenere la crescita esponenziale dei consumi interni statunitensi, continuando a imporre al resto dell’umanità il dollaro come moneta per gli scambi internazionali.

La conflittualità con i sovietici non viene meno, ma la necessità per Brežnev di importare grano, vista l’incapacità sovietica di produrne a sufficienza per il consumo interno, mettono gli statunitensi nel duplice vantaggio di imporre ai sovietici da un lato l’acquisto del surplus produttivo cerealicolo a stelle e strisce, dall’altro di ridurre alla sola Africa la lotta per l’egemonia tra le due superpotenze, relegando Asia, Europa e America Latina a una convivenza pacifica che deve essere rispettata millimetricamente, ovvero gli Stati Uniti non promuoveranno azioni contro le nazioni filosovietiche nelle dette aree geografiche, i sovietici dovranno comportarsi nello stesso modo, con viva insofferenza di Cuba e di Fidel Castro, fino a ridurre ad esempio a un modesto aiuto economico il sostegno al Cile socialista di Allende, con Mosca impotente lungo tutto il decennio degli anni ‘70 di fronte al dilagare di sanguinarie dittature fasciste in America Latina, a partire proprio dal Cile nel settembre 1973.

Kissinger tuttavia sa che questo accordo coi sovietici non basta, mette allora in campo da un lato la plateale collaborazione tattica con la Cina marxista, tanto efficace da far credere agli ingenui statunitensi, verso la fine del secolo, che potesse ritenersi assodata una sudditanza di Pechino ai loro interessi, sebbene mai convinzione sia stata più errata, come il XXI secolo sta dimostrando. Dall’altra parte Kissinger ritiene che occorrano una serie di associazioni politico – economiche non ufficiali o governative, molto opache nei loro contorni e molto efficaci nella loro capacità di coordinamento, che possano essere lo strumento decisivo per l’azione a tutela degli interessi statunitensi, prima tra queste la Commissione Trilaterale, fondata nel luglio del 1973 insieme a David Rockefeller, presidente del Council on Foreign Relations dal 1970 al 1985, gruppo lobbistico newyorchese che si occupa di politica estera e affari internazionali, nonché già fondatore della conventicola anticomunista e ipercapitalista del Gruppo Bilderberg, organismo nefasto ma di molto sopravvalutato, nato nel 1954 con l’aiuto di Bernhard van Lippe-Biesterfeld, marito della regina olandese. La Trilaterale decide proprio nel 1973 ad esempio che a tutela degli interessi a stelle e strisce si debba implementare la collaborazione con l’integralismo islamico in funzione antisovietica, per minare alla base l’orientamento filomoscovita del panarabismo di origine nasseriana e soprattutto le nazioni, dalla Siria all’Iraq a molte altre, che vi fanno riferimento e mantengono coi sovietici solide relazioni economiche, politiche e culturali. L’idea di Kissinger, tragicamente riuscita, è stata quella di minare il socialismo arabo, molte volte calato dall’alto verso masse dubbiose e recalcitranti e in ogni caso non troppo interessate, rilanciando l’identità religiosa sunnita. Così se da un lato Kissinger fomenta i Fratelli Musulmani in Egitto contro il presidente Sadat, allo stesso tempo riempie Sadat di armi e di soldi, al punto che questi si sgancia dall’alleanza coi sovietici facendo passare l’Egitto nel campo occidentale, espellendo i consiglieri economici e militari sovietici nel luglio 1972. La spregiudicatezza di Kissinger tuttavia non ha limiti, infischiandosene dell’alleanza costruita dagli Stati Uniti a partire dal 1956 con gli israeliani, fomenta Sadat nel suo progetto di guerra contro Tel Aviv, forse perché, nonostante le ottimistiche convinzioni bellicose di Sadat, che vuole mostrarsi vittorioso al contrario del suo predecessore Nasser, uscito sconfitto e demoralizzato dalla guerra dei Sei Giorni del 1967, sa che i suoi amici sionisti alla fine vinceranno.

La guerra dello Yom Kippur dal 6 al 25 ottobre 1973 si conclude con un cessate il fuoco che sostanzialmente non modifica gli assetti regionali, con i sovietici che son dovuti correre in aiuto del loro solido alleato Assad, ma hanno anche dovuto difendere gli egiziani, alleati in quel frangente della Siria socialista, sebbene oramai altrimenti orientati.

La rabbia di Assad e la necessità per Sadat di camuffare da vittoria, così ancora viene ricordata dai libri di storia egiziani, la guerra cessata per volontà internazionale, cerca una sponda nella rivendicazione di piena applicazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite a favore del popolo palestinese, pena un blocco dei rifornimenti di petrolio da parte delle nazioni non dell’OPEC, ma dell’OAPEC, l’Organizzazione dei Paesi Arabi Esportatori di Petrolio, il sottogruppo dell’OPEC che darà vita alla crisi del 1973 e ai successivi cambiamenti. Riuniti in Kuwait a fine ottobre gli stati dell’OAPEC stabiliscono un taglio della produzione per ogni mese a partire da quello stesso ottobre del 5%, da incrementare di un altro 5% ogni mese, quindi il 10% a novembre e il 15% a dicembre, finché Israele non si fosse ritirato da tutti i territori occupati dal giugno 1967 e fossero pienamente realizzati i diritti nazionali e individuali dei palestinesi. Il prezzo del petrolio raddoppia, passa da 3 a 6 dollari al barile. Certo, oggi che il barile è stabilmente tra i 60 e i 100 dollari quelle modeste cifre fanno sorridere, ma nel 1973 il raddoppio del prezzo del barile, per un Occidente abituato a far andare automobili, fabbriche e riscaldamenti domestici a colpi di furti del petrolio organizzati dalle multinazionali petrolifere anglo-americane è un colpo incredibile e inaspettato, capace di innescare la recessione globale dell’Occidente perdurata fino all’altra crisi del petrolio, quella del 1979, favorita dalla Rivoluzione iraniana. Kissinger si trova impreparato davanti a questa inaspettata crisi del petrolio e sollecita il grande criminale Reza Pahlavi a incrementare le estrazioni, ma il solo Iran non basta, così come i macchinari gentilmente elargiti dal padrone statunitense ai venezuelani non son bastevoli per coprire i consumi a stelle e strisce e del resto dell’Occidente, mentre la Nigeria è ancora lontana da una capacità estrattiva costruita nei decenni successivi, anche e proprio in conseguenza della crisi del 1973.

L’OAPEC tuttavia fa di più, annuncia la sospensione totale delle forniture contro le nazioni amiche dello stato sionista, decretando l’embargo petrolifero totale nei confronti degli Stati Uniti, a crisi petrolifera iniziata il sempre poco brillante Nixon chiede al Congresso statunitense due miliardi di dollari in aiuti per Israele, che li pretende a conflitto concluso non solo per i danni di guerra, ma anche per rabbiosa ritorsione verso Washington che ha spalleggiato Sadat nell’avventura militare. A novembre l’embargo colpisce Paesi Bassi, Danimarca, salvati dalle quote ripartite della Comunità Economica Europea, il Sudafrica dell’apartheid, secondo partner commerciale di Israele nel 1973 dopo gli Stati Uniti e il Portogallo, che subirà il colpo definitivo capace di creare le premesse per la Rivoluzione dei Garofani, anche se pochi storici si ricordano di questa pesante crisi energetica che ha contribuito in modo significativo a indurre il popolo a liberarsi della decennale dittatura sala zarista. Italia, Germania Ovest e altri paese decretano le domeniche a piedi, la chiusura anticipata di locali, teatri e cinema, la riduzione della programmazione televisiva, lo spegnimento dopo le undici di sera delle luci nelle strade delle grandi città. L’alberello del Natale 1973 ha in Occidente poche lucine, a gennaio 1974 il barile di petrolio arriva a 12 dollari, ovvero quattro volte il prezzo di sei mesi prima, intanto l’OAPEC nello stesso mese di gennaio 1974 decide una riduzione di forniture per gli alleati degli Stati Uniti, dalle nazioni europee al Giappone, un altro colpo durissimo all’economia occidentale. L’esempio dei francesi, che con l’energia nucleare, dato l’uranio rubato alle nazioni fintamente rese indipendenti ma in realtà neo-colonizzate come il Niger e la Repubblica Centrafricana, possono ridersela e andare la domenica in automobile a comperarsi la baguette, inducono gli altri europei dal Belgio alla Germania, che vanno a piedi, a buttarsi sull’energia atomica, con tutti i disastri che le scorie radioattive portano con sé, anche l’Italia si approssima timidamente al nucleare, ma le quattro centrali di Trino, Caorso, Latina e Garigliano funzioneranno molto poco prima di essere chiuse grazie al referendum del 1987.

La seconda metà degli anni ’70 fa esplodere il movimento ecologista in tutto il vecchio continente, non solo perché fin dagli albori del decennio i primi ambientalisti portano a dimostrazione della criticità della situazione le provette delle acque e dei fiumi devastati dagli scarichi delle fabbriche, dei campi avvelenati dai pesticidi e dai fertilizzanti chimici imposti come baluardo della modernità dall’alleato statunitense, ma, si pensi solo alla Germania Ovest, il ritorno dal 1974 al carbone e la scelta di realizzare in un decennio centrali nucleari per un 25% di energia totale vitalizzano l’ecologismo.

Sempre per restare in Germania Ovest, un buon esempio di quel disastro sociale ed economico, nel 1973 funzionava del tutto grazie al petrolio delle petromonarchie arabe, nel 1974 si ritrova in una situazione disperante perché prima che le miniere riprendano a estrarre a pieno ritmo ci vuole tempo e non meno di cinque anni per edificare le centrali atomiche. Nel novero delle alternative, a Bonn come a Bruxelles e a Roma si inizia a ragionare sull’energia del vento e del sole, tuttavia anche in questo caso le prospettive sono solo futuristiche e molto lontane nel tempo. Intanto Erich Honecker e tutta la DDR se la ridono, dieci anni prima sono stati irrisi dai fratelli dell’Ovest per non aver chiuso come loro le miniere di carbone che adesso pure riaprono in tutta fretta. Intanto per salvare i tedeschi dal freddo e dalla bicicletta, ma soprattutto per non chiudere le fabbriche automobilistiche e le altre del bacino della Ruhr, il primo ministro Willy Brandt, amico di lunga data dei sovietici, era inviato del giornale dei comunisti norvegesi nella guerra di Spagna, chiede aiuto a Brežnev, il quale benedice i musulmani per l’insperato aiuto che offrono all’economia sovietica. Brežnev aiuta subito l’amico Brandt e allunga i gasdotti che arrivano in DDR per portare petrolio a tedesco – occidentali. Gli europei, in attesa che la scienza spieghi come trasformare il sole e il vento in energia, capisce che si deve puntare anche sul gas, facendo così la fortuna di Marocco, Algeria e in parte Tunisia, certo, amici della Palestina e di Arafat, gli algerini pure parte del campo allargato del socialismo mondiale, ma tutti interessati a fare affari redditizi. A quel punto anche i sovietici offriranno il loro gas agli europei e a prezzi molto competitivi verranno costruiti i gasdotti che poi, mantenuti e modernizzati dalla Russia putiniana, verranno distrutti durante la guerra d’Ucraina dai sabotatori scandinavi al servizio della NATO, come documentato in una perfetta inchiesta della stampa statunitense.

Brandt, socialdemocratico solo fintamente anticomunista, è costretto a dimettersi ai primi di maggio 1974, per il presunto legame di un suo collaboratore con la DDR, lasciando il posto all’arrendevole e allineato Helmut Schmidt, già ai ministeri della Difesa e dell’Economia. La rabbia statunitense per l’operazione tedesca coi sovietici ottiene che l’uomo di Kissinger, appioppato da anni alle costole di Brandt, il liberale Walter Scheel, vicecancelliere e ministro degli Esteri, membro influente del gruppo di Bilderberg, venga prestamente ricompensato a luglio 1974 non solo con la presidenza della Repubblica tedesco – occidentale, ma anche con quella del gruppo Bilderberg stesso dal 1975 al 1977.

Tra i più agguerriti sostenitori dell’embargo petrolifero contro gli Stati Uniti c’è il saudita re Faysal, il quale tuttavia lo revoca nel marzo del marzo 1974, documenti britannici desecretati ci spiegano la ragione, Kissinger ha convinto  Nixon a minacciare tutti i sovrani della regione con un possibile invio di truppe aviotrasportate in Arabia Saudita, Kuwait e Abu Dhabi per occupare i giacimenti petroliferi, vicende pubblicate anche dal Washington Post il 1° gennaio 2004. L’idea è bocciata dall’alleato inglese, il primo ministro conservatore Edward Heath, il quale ritiene la diplomazia l’arma del XX secolo e non i cannoni come in quello precedente. Kissinger gliela farà pagare, prima eliminandolo dal potere, proprio nel marzo del 1974 Heath dovrà lasciare l’incarico, poi defenestrandolo anche come capo dei conservatori inglesi, rimpiazzandolo con Margaret Thatcher, le cui nefaste e tremebonde imprese si dispiegheranno nel decennio successivo. Nell’armeggiare contro i nemici degli interessi a stelle e strisce Kissinger ha un alleato impareggiabile e notoriamente più arrogante di lui, il segretario alla Difesa James Schlesinger, insieme agiscono sugli inglesi per mettere fuori gioco Heath, poi chiudono i conti con i sauditi, nel modo più spietato.

All’apparenza gli Stati Uniti sono estranei all’omicidio del sovrano Faysal, commesso nel marzo 1975 da un nipote tossicomane e immediatamente giustiziato, tuttavia è certo il successore Khalid allinei l’Arabia Saudita a una supina acquiescenza agli interessi di Washington, imponendo scelte oscurantiste per la società saudita e soffocandola secondo i dettami del più settario integralismo, trasformando tali concezioni nel salafismo, esportato con l’aiuto statunitense per oltre quarant’anni nel resto del mondo e fornendo diversi combattenti per operazioni distruttive orchestrate dalla Casa Bianca, dall’Afganistan all’Algeria, dalla Bosnia alla Cecenia, dal Mali alla Siria. Solo nel dicembre 2022 i sauditi chiuderanno una quasi cinquantennale alleanza e relazione di aperta dipendenza verso gli interessi statunitensi, scegliendo, invero inaspettatamente, di schierarsi con i cinesi e i russi nella costruzione di un mondo multipolare e di pace. Mentre Kissinger si adopera per cambiare le regole del mondo, in quel 1973, le nazioni arabe provano a ritagliarsi un ruolo internazionale, tuttavia senza riuscirci. Anzi, saranno proprio Kissinger e il governo statunitense ad avvantaggiarsi della crisi petrolifera, una stagione difficile dal punto di vista economico per gli interessi a stelle e strisce e per tutti i loro alleati, ma anche un fenomenale volano per il desiderio di egemonia e di potenza architettato da Henry Kissinger per mantenere saldamente in mano statunitense i destini del mondo nel Novecento.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.