Ormai è deciso: 25 carri armati Leopard di proprietà svizzera verranno venduti alla società tedesca Rheinmetall, con l’assenso di entrambe le camere federali. Una decisione grave, che investe direttamente la questione della nostra neutralità e del ruolo che la Svizzera può giocare sul piano internazionale, specialmente alla luce di quanto emerso nel corso dell’estate.
Negli scorsi mesi era infatti emersa l’intenzione della RUAG di rivendere i Leopard senza vincoli circa la loro riesportazione verso l’Ucraina (vincolo quantomeno ribadito dal parlamento). Un’operazione i cui contorni sono poco noti, ma in palese contraddizione con la politica svizzera in materia di esportazione di armi verso scenari di guerra, che non può essere liquidata con una semplice inchiesta esterna come quella voluta da Viola Ahmerd. Il Consiglio Federale deve rispondere direttamente della sua inadempienza nel controllo sull’azienda: i segnali d’allarme non sono infatti stati pochi.
Va ricordato il totale disprezzo della legislazione nazionale dimostrato dall’ormai ex-presidente del CdA di RUAG Brigitte Beck, che ancora pochi mesi fa aveva di fatto incitato i governi europei a infischiarsene del divieto di riesportazione dei sistemi bellici di fabbricazione elvetica. Se a ciò aggiungiamo l’indagine per corruzione avviata in Germania a danno di un manager di RUAG proprio in relazione alla (s)vendita di alcuni Leopard, appare chiara la totale assenza di controllo politico su una azienda pubblica strategica, il cui mandato è oggi più che mai delicato,.
Da anni ormai la politica federale ha allentato il controllo sulla RUAG, giungendo addirittura a privatizzarne alcuni settori, poi acquistati da noti fabbricanti d’armi europei come l’italiana Beretta (che nel 2022 ha acquistato Ammotec, la divisione munizioni dell’azienda svizzera). Se già in passato le norme sull’esportazione d’armi sono state facilmente aggirate (ricordiamo le granate svizzere trovate in possesso dell’ISIS nel 2018), con tali decisioni la situazione non potrà che aggravarsi. In tal senso, non può che lasciare allibiti l’atteggiamento assunto dal Partito Socialista, che ancora pochi anni fa si faceva promotore di iniziative popolari contro il commercio e l’esportazione di materiale bellico, e i cui deputati in giugno hanno però votato proprio a favore dell’invio di armi all’Ucraina.
A fronte di questa deriva bellicista della sinistra svizzera, il Partito Comunista oppone un netto rifiuto e promuove invece una visione diametralmente opposta. Il programma della lista “No UE – No NATO” è infatti estremamente chiaro in merito: non solo rifiutiamo le ingerenze straniere nella nostra politica di neutralità e rivendichiamo un severo controllo pubblico sulle aziende strategiche (come la RUAG), ma non accettiamo nel modo più assoluto l’esportazione (anche indiretta) di armi svizzere. Ecco perché votare la lista 13 il prossimo 22 ottobre, significa sostenere una posizione coerente e netta a favore della pace e del dialogo.