Sostegno russo e turco al progetto azero per il Nagorno Karabakh

Ho letto in questi giorni ricostruzioni molto semplicistiche rispetto a quanto sta accadendo in Nagorno Karabakh, quasi che sia una partita di calcio in cui i turchi stanno con gli azeri e i russi con gli armeni. Si tratta pur sempre di un conflitto con il suo carico di dolore, morti, ancorché per fortuna pochi, e probabilmente di civili destinati a lasciare le loro case.

Come sempre la realtà è più complessa. Intanto la Russia ha scambi commerciali rilevanti con l’Azerbaijan, per altro intensificatisi dopo l’emanazione delle sanzioni occidentali contro Mosca. Baku di fatto si occupa di molte operazioni di importazione ed esportazione che riguardano merci al contempo azere e russe.

I rapporti tra il presidente Vladimir Putin e il presidente azero Ilham Aliyev, figlio del solo vicepresidente islamico dell’Unione Sovietica, sono ottimi. Ovviamente l’Azerbaijan ha anche rapporti costanti e proficui con la Turchia, con la quale condivide le comuni origini linguistiche, anche se i turchi sono sunniti e gli azeri sciiti.

Varrebbe la pena ricordare che sei secoli fa gli antichi abitanti dell’Azerbaijan, musulmani cabalisti, i soli dell’Islam, sono stati sterminati da Timur e – Lan, meglio noto in Europa come Tamerlano, il quale doveva compiacere il mondo sunnita mostrandosi nemico di tutte le differenti interpretazioni, non diversamente aveva fatto in Iran, in particolare a Isfahan. Nei secoli successivi l’attuale Azebaijan è stato ripopolato da azeri della regione di Tabriz, oggi in Iran, che si sono trasferiti sulle miti e soleggiate coste del mar Caspio.

Tutto dunque lascia credere che Putin ed Erdogan abbiano concordato una posizione unitaria di sostegno al progetto di instaurazione della sovranità azera nella regione del Nagorno Karabakh, come immaginato dal presidente Aliyev.

Per altro le forze di interposizione russe presenti nella regione da un trentennio, dopo l’esplosione del conflitto alla fine dell’esperienza sovietica e conclusesi dopo un paio di anni con un accordo allora a vantaggio degli armeni, con diversi azeri in parte volontariamente, in parte costretti a lasciare il territorio, stanno operando perché gli scontri si riducano al minimo e per quanto possibile non coinvolgano i civili.

La responsabilità maggiore di quanto sta accadendo in ogni caso è del primo ministro armeno Nikol Pashinyan, il quale da tempo ha abbandonato la relazione privilegiata dell’Armenia con la Russia, per passare con smaccata evidenza a una interlocuzione con l’Unione Europea e la NATO, senza fare mistero, al pari dei vicini georgiani, di ambire ad entrare nelle due organizzazioni occidentali, da un lato perché è questo il sentimento di una parte rilevante dei quasi tre milioni di armeni, dall’altro, anche in questo caso fatto risaputo, per suoi interessi personali.

Pashinyan non gode né della stima, né dell’amicizia dei presidenti russo e turco ed è quindi evidente che un capovolgimento dei rapporti di forza nel Nagorno Karabakh potrebbe a tutti gli effetti sortire una pesante critica al suo operato e provare a portare, a fronte di proteste popolari, a una conclusione del suo mandato.

Pashinyan infatti non solo non ha sostenuto militarmente l’esercito dell’autoproclamata repubblica del Nagorno Karabakh, chiamata Artsakh, ma non ha minimamente impiegato nessun reparto dell’esercito armeno per provare a contrastare l’avanzata praticata sul terreno, non solo via aria, da parte dell’esercito azero.

Gli autonomisti del Nagorno Karabakh in sole ventiquattro ore si sono ritrovati costretti il 20 settembre ’23 a firmare un cessate il fuoco che equivale a una totale capitolazione della repubblica autonomista, con il rientro in Armenia dei soldati di quella nazione presenti sul territorio del Nagorno Karabakh, lo scioglimento dell’esiguo esercito autonomista e l’avvio delle procedure per l’assegnazione di documenti azeri ai centocinquantamila abitanti della regione, di cui centoventimila armeni, che forse in parte decideranno di lasciare il Nagorno Karabakh per l’Armenia, e trentamila azeri, coloro che pur dopo l’esito un trentennio fa del conflitto a favore degli armeni, avevano comunque deciso di restare nelle loro case e nella loro terra. È immaginabile poi che al flusso di armeni verso Yerevan corrisponda in parte un ritorno di azeri che avevano lasciato dopo la guerra degli anni ’90 il Nagorno Karabakh.

Le notizie dicono che a Stepanakert, capitale del Nagorno-Karabakh e nelle altre città della regione la situazione sia calma, l’auspicio è che la transizione avvenga nella massima tutela dei civili.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.