Nell’attuale dibattito sulle relazioni della Svizzera con l’Unione Europea, il tema del servizio pubblico occupa un ruolo centrale. Malgrado lo stop ai negoziati del maggio 2021, nel nuovo mandato adottato dal Consiglio federale nel giugno di quest’anno si precisa infatti che, “per quanto riguarda le disposizioni dell’UE in materia di aiuti di Stato, la Svizzera è disposta a recepire i regimi di aiuto di Stato dell’UE”.
Quali sarebbero le conseguenze di una simile ripresa delle normative europee? In primo luogo, il nostro Paese dovrebbe adottare il divieto degli aiuti di Stato che investe le aziende pubbliche la cui attività viene giudicata nociva per la libera concorrenza sul mercato europeo. Ciò significa, ad esempio, che verrebbero rese illegali le garanzie ed i finanziamenti statali attualmente concessi alle banche cantonali, alle aziende elettriche, alla sanità, al trasporto pubblico, ecc. Queste aziende, che svolgono una funzione di interesse generale, dovrebbero riuscire dunque a funzionare esclusivamente con le proprie risorse, a prevedibile svantaggio della qualità dei servizi erogati e delle condizioni di lavoro che vi sono garantite.
La ripresa delle normative UE implica anche l’adeguamento della nostra legislazione in altri ambiti di azione degli enti pubblici. Ciò significa che la Svizzera dovrebbe adeguarsi anche agli indirizzi della Commissione europea, che nel 2018 ha provato ad esempio a intimare a uno Stato membro di rinunciare a politiche dell’alloggio espansive in favore dei ceti medio-bassi, poiché queste avrebbero penalizzato gli operatori immobiliari non sostenuti dalle misure implementate dallo Stato. La ripresa automatica del diritto europeo potrebbe inoltre condurre anche ad una nuova ondata di liberalizzazioni, ad esempio nel settore energetico e in quello dei trasporti pubblici, con il grave pericolo di una disorganizzazione dei servizi, di un aumento delle loro tariffe e di una riduzione della loro qualità.
Le implicazioni dell’accordo quadro per il servizio pubblico sono state denunciate da più parti: il sindacato VPOD aveva ad esempio indicato come “l’adozione di questo accordo favorisce solo i potenti gruppi finanziari, mentre è dannosa per i salariati e i cittadini”. Anche l’Associazione per la difesa del servizio pubblico era insorta contro tale intesa, in opposizione all’approccio neoliberale che ha promosso liberalizzazioni e privatizzazioni in tutti i paesi dell’UE. Sul piano politico, il Partito Comunista è da tempo risolutamente schierato contro un simile accordo: sostenere con il proprio voto la lista “No UE – No NATO” significa dunque difendere il servizio pubblico dagli attacchi dei falchi neoliberisti che pretendono di dettar legge da Bruxelles!