Si è molto parlato di BRICS in questi ultimi mesi, ma lo svolgimento del G20 a Nuova Delhi porta ulteriore chiarezza sugli scenari politici e geopolitici internazionali. Quello che si constata è la presenza sullo scenario globale di tre proposte.
La prima è una mera difesa dell’unipolarismo atlantico, ovvero le nazioni occidentali, le quali lungo il secolo americano (1945 – 2012) hanno dettato le regole politiche ed economiche che hanno governato il globo, vorrebbero continuare a praticare la depredazione a costo (quasi) zero delle materie prime del resto del pianeta.
La seconda proposta, in costruzione da un ventennio, è quella di un mondo multipolare e di pace, promossa da cinesi e russi, con alleati regionali che via via si sono allargati, dapprima Iran in Medioriente e Venezuela di Chavez in America Latina, oggi un numero larghissimo di nazioni, dal Brasile al Sudafrica, dall’Algeria al Bangladesh, dal tridente saheliano Mali – Burkina Faso – Niger all’Arabia Saudita, la quale si è gettata alle spalle mezzo secolo di ferrea alleanza con gli Stati Uniti. Il blocco multipolare è oggi il più rilevante del mondo per numero di nazioni e di abitanti e probabilmente anche economico, in tutti i continenti i progetti di cooperazione, la costruzione di infrastrutture, gli investimenti a fondo perduto promossi da Cina e Russia hanno superato di molto quelli statunitensi e delle istituzioni da loro promosse, quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. I promotori del multipolarismo chiedono il ritorno alla carta delle Nazioni Unite, tutte le nazioni della terra devono decidere insieme del destino dell’umanità.
Poi c’è l’India che gioca la sua partita in solitaria, non a caso collabora ora momentaneamente con Cina e Russia, ma mantiene solidi rapporti con il fronte unipolare, facendo ad esempio parte del QUAD, il Dialogo Quadrilaterale di Sicurezza con Stati Uniti, Giappone e Australia, che a breve terrà esercitazioni militari congiunte nel Pacifico.
L’India di Modi, prima al mondo per popolazione e quinta per economia, vuole essere protagonista di una proposta di nuovo ordine mondiale che veda l’India stessa centrale e determinante, quindi diversa tanto dal vecchio unipolarismo a trazione statunitense, quanto dal nuovo multipolarismo a trazione sino-russa. L’India si pone in una posizione mediana, dialogando con entrambi gli schieramenti, ambendo sul lungo periodo neppure troppo segretamente al sogno di guidare l’Occidente, ma soprattutto risultando attualmente un polo d’attrazione per quelle nazioni che non volendo scegliere al momento tra il vecchio e il nuovo, preferiscono una posizione intermedia, sganciandosi dall’unipolarismo senza aderire da subito al fronte multipolare.
La presenza nei BRICS di Cina, Russia e India contemporaneamente è un duplice segnale, da un lato di reciproca tolleranza, dall’altro di provare a trasmettere, tanto da parte di cinesi e russi, quanto di indiani, alle oltre cinquanta nazioni in fila per l’entrata nel gruppo la bontà del proprio progetto.
D’altronde nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, la più solida e antica organizzazione, fondata nel 1996 da cinesi e russi per la promozione del multipolarismo, dal 2017 sono stati invitati e ne fanno parte, anche se certo probabilmente non ancora per molto, gli indiani.
Questo perché la strategia cinese è sempre quella di mettere intorno a un tavolo di alleati, anche un avversario, per provare a convincerlo, o costringerlo a fare i passi necessari perché dopo qualche tempo si smarchi.
È avvenuto anche nella recente riunione dei BRICS, invece che far entrare solidi alleati di cinesi e russi, come Algeria, Pakistan e Bangladesh, che probabilmente entreranno l’anno prossimo nella riunione annuale dei BRICS che si terrà in Russia a Kazan sotto la presidenza di Vladimir Putin, si sono ammessi gli Emirati Arabi Uniti, gli ultimi alleati dell’unipolarismo insieme ad Israele in Medioriente.
Proprio la solidità dell’alleanza con Washington degli emiratini sparge ancora sangue in Yemen, la terribile guerra voluta nel 2014 dagli Stati Uniti che hanno utilizzato sauditi, emiratini e integralisti da loro addestrati per muovere guerra alla popolazione e agli sciiti huti sostenuti da iraniani ed eritrei, non dà segno di potersi concludere. I sauditi dopo gli accordi siglati a dicembre con la Cina si sono posti nel quadro multipolare, hanno ricevuto a Riyad il ministro degli esteri iraniano e ristabilito relazioni diplomatiche ufficiali con Teheran. In merito allo Yemen iraniani e sauditi sono addivenuti a un compromesso che porti alla totale fine delle ostilità, tuttavia le Forze del Consiglio di Transizione sotto controllo emiratino, in alleanza coi gruppi sparsi di jihadisti e integralisti, muovono ora congiuntamente guerra contro gli huti e i governativi, i quali sono ora divenuti alleati – dopo un decennio di reciproca ostilità – con il proposito di riportare la pace. È la prima volta che sauditi ed emiratini si trovano militarmente contrapposti in modo così brutale ed evidente. Difficile immaginare gli sviluppi tanto in Yemen, quanto in generale nelle relazioni tra sauditi ed emiratini, parte congiuntamente di decine di organizzazioni regionali e internazionali e oggi anche dei BRICS.
Tutto questo ci illustra con chiarezza come i BRICS siano un grande spazio di dialogo tra posizioni non coincidenti, in cui in ogni caso le principali linee d’azione sono dettate da cinesi e russi: cooperazione, multipolarismo, passaggio a una nuova moneta negli scambi internazionali, progetti di sviluppo e crescita per tutte le nazioni partecipanti.
Ciò nonostante il G20 in India sarà la grande occasione, in presenza dei soli ministri degli esteri cinese e russo e in assenza dei rispettivi presidenti, per il primo ministro Modi di esplicitare il suo progetto di nuovo non allineamento, una terza via tra unipolarismo e multipolarismo, di cui si dovrà fin d’ora tenere conto e che si espliciterà più chiaramente nei prossimi mesi ed anni.