Riunito in Cina un forum internazionale per studiare l’evoluzione del comunismo. Uno svizzero fra i relatori.

Si è concluso nella città cinese di Kunming l’11° Forum Internazionale sui Movimenti Comunisti promosso dall’Istituto di Marxismo dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali (CASS). Svoltosi quest’anno presso l’Università dello Yunnan, il Forum è ormai diventato uno dei momenti più importanti di attualizzazione del pensiero socialista scientifico per gli studiosi e i ricercatori di impostazione marxista. Quest’anno, fra la ventina di relatori selezionati, c’era anche uno svizzero: il deputato ticinese Massimiliano Ay è infatti intervenuto accanto a Xin Xiangyang, presidente della CASS; a Guo Qiang, decano di facoltà presso la Scuola quadri del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese e a Li Shenming, direttore del Centro cinese di ricerca sul socialismo mondiale. Un riconoscimento ulteriore per il PC svizzero che, seppur di dimensioni ridotte, gode di crescente prestigio per le analisi dei suoi esponenti ma anche per la capacità di rinnovamento della linea politica orientata a “normalizzare” la presenza dei comunisti nel dibattito poltico del Paese. Con Ay sono intervenuti però anche anche altri ricercatori come l’italiano Vladimiro Giacché, vice-presidente dell’Associazione politico-culturale “Marx21”, Souphavady Larkhamsai, vice-decano presso l’Accademia Nazionale di Scienze Politiche e Amministrazione Pubblica del Laos e Nguyen Thi Thu Huon, esponente di spicco dell’Accademia Nazionale di Scienze Politiche del Vietnam.

In pochi decenni vi sarà un’espansione del socialismo

Uno dei più significativi discorsi ascoltati è stato quello di Li Shenming. L’accademico cinese, che non si è fatto problemi a citare nientemente che Stalin, partendo dalla priorità del Partito Comunista Cinese di far uscire il proprio paese dalla povertà e di ridurre le disuguaglianze anche a livello plenetario, si è detto convinto che dopo la fase del capitalismo monopolista si sia ora entrati in una nuova epoca storica caratterizzata dalla decadenza del capitalismo stesso. Tale processo durerà ancora almeno tre decenni, secondo lo studioso, ma esso è ormai da considerarsi come irreversibile: forme nuove di socialismo saranno quindi realizzate a partire dai paesi emergenti. Il professore ha poi rotto la tradizionale moderazione cinese e si è sbilanciato in modo molto netto: a nulla varranno – ha dichiarato – i tentativi di frenare l’egemonia del capitalismo atlantico sul mondo né attraverso la “guerra biologica” (un riferimento implicito, forse, alla pandemia da COVID-19?) né attraverso le “proxy war”, ovvero quei conflitti per procura con cui la NATO vuole tentare di limitare l’ascesa delle economie del sud globale (il riferimento alla situazione ucraina appare anche qui abbastanza ovvio).

Il professor Li Shenming, direttore del Centro cinese di ricerca sul socialismo mondiale.

Imparare dagli errori della storia

Se Li Shenming è ottimista, più cauto l’ex-diplomatico ungherese Gyula Thürmer, oggi presidente del Partito dei Lavoratori di Ungheria (Munkaspart) che ha anzitutto lamentato una ancora troppo scarsa coordinazione fra i partiti marxisti a livello mondiale e una difficoltà, fuori dalla Cina, a ringiovaniare le fila dei partiti rivoluzionari. Dopodiché Thürmer ha analizzato autocriticamente il processo di costruzione del socialismo in Ungheria durante l’epoca sovietica caratterizzato da una scarsa efficienza produttiva che hanno reso in seguito il paese dipendente degli investimenti occidentali che alla fine sono riusciti a creare una nuova base sociale interna allo stesso governo favorevole alla svolta capitalista. Da qui la necessità di cogliere le differenze fra una modernizzazione capitalista come quella dell’attuale governo patriottico ungherese di Viktor Oraban, il quale prevede non solo alcune riforme socialmente sensibili, ma anche un intervento statale relativamente marcato in economia con tanto di nazionalizzazioni e una via socialista alla cinese che è invece basata su un forte protagonismo popolare e non cede alle pressioni occidentali.

Il benessere materiale non basta: ci vuole anche coerenza ideologica

Xin Xiangyang dal canto suo ha tranquilizzato i comunisti stranieri: la modernizzazione cinese resta legata al socialismo scientifico e benché preveda forme di mercato non ha nulla a che fare con una restaurazione del capitalismo. La constatazione è che solo con l’abbondanza materiale si potrà modernizzare la nazione e sviluppare la democrazia popolare: è finita insomma per i comunisti cinesi l’epoca del socialismo come uguaglianza sociale ma nella povertà. Il professore ha poi sottolineato però un dato non secondario: secondo lui la ricerca marxista dovrebbe approfondire la questione del “credere”: non basta solo diffondere il benessere materiale ma bisogna anche costruire una nuova mentalità, dare cioè peso alla formazione ideologica e alla soggettività umana.

Il segretario del PC svizzero Massimiliano Ay.

Il multipolarismo non è solo geopolitica, è un cambiamento sociale e culturale

Anche Massimiliano Ay ha dato enfasi a quest’ultimo aspetto: nella sua relazione il segretario del PC svizzero ha detto che di fronte alle pressioni e alla nuova ondata di sinofobia e anti-comunismo la soluzione non è nascondersi ma schierarsi apertamente e ha aggiunto: “dobbiamo rifuggire dalle influenze liberal, riaffermare il marxismo-leninismo, ma provare a renderlo interessante per la realtà nuova in cui ci muoviamo che appunto si caratterizza per una lotta che si esplica anzitutto sul piano internazionale e che vede la principale contraddizione fra imperialismo atlantico e multipolarismo”. Quest’ultimo secondo Ay è una fase cruciale di trasformazione che apre le porte a profondi mutamenti sociali e culturali, che non si limitano solo agli equilibri geopolitici. Infine il comunista svizzero ha contestato la tendenza dell’estrema sinistra europea di essere affetta da una mentalità inconcludente basata sul “minoritarismo” e ha perorato la causa dell’unità popolare contro quella parte di borghesia svizzera definita “svendipatria”.

Il patriottismo è una parola d’ordine comunista

E proprio la questione nazionale con il nesso che intercorre fra essa e il principio di solidarietà o, come è stato detto più volte, con il cosiddetto “internazionalismo proletario”, è stata oggetto di discussione. Nella sua lectio magistralis intitolata “Sul rapporto tra socialismo, rinascita nazionale e modernizzazione”, il professore della scuola centrale del Comitato Centrale del PCC, Hu Zhenliang ha dichiarato senza mezzi termini che “nonostante la globalizzazione siamo ancora nell’èra degli Stati nazionali”: la difesa della loro sovranità assume quindi oggi una valenza progressiva e anti-imperialista. Concorde anche Andrea Catone, direttore della rivista italiana “MarxVentuno” intervenuto fra i primi enfatizzando la necessità di unire dialetticamente il patriottismo all’internazionalismo. Il suo collega Francesco Maringiò, membro del Comitato Centrale del Partito Comunista Italiano e nel 2019 ospite in Ticino dell’Associazione Amici del Ceneri (come il nostro portale aveva riferito) ha provato infine a dare una lettura del processo di modernizzazione cinese con le chiavi di lettura del teorico marxista italiano Antonio Gramsci e insistendo proprio sul concetto di lotta nazionale contro il sistema semi-feudale e semi-coloniale.