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In Turchia il Partito della Sinistra Democratica rompe un tabù: “votiamo Erdogan!”

In vista delle elezioni presidenziali e parlamentari di domani ci si attenderebbe che la sinistra turca sia schierata in modo compatto contro il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan. Infatti tutti i media occidentali lo definiscono al pari di un tiranno e nessuna persona dai sentimenti democratici (figurarsi se di sinistra) potrebbe sognarsi di apprezzarlo. Come sempre la realtà è però più complessa di quella che ci raccontano alla RSI o sulle pagine de LaRegione, cioè dalle agenzie stampa di Bruxelles e Washington…

Chiunque contesti gli USA diventa un “dittatore”

Iniziamo col dire che Erdogan è diventato un “dittatore” solo da pochi anni: prima, quando faceva gli interessi degli USA e rompeva le relazioni con la Siria, era etichettato dai nostri media come un presidente di tutto rispetto e, visto che faceva arrestare i militari critici verso la NATO, veniva idealizzato addirittura come un riformatore, una sorta di compassato “democristiano” benché musulmano. Erdogan ha iniziato però ben presto a non voler più ubbidire a Washington: ha allontano dal suo Partito AKP gli agenti americani e sionisti e sono iniziate le purghe ai danni dello stato profondo legato alla confraternita islamista di Fethullah Gülen, strettamente legata alla Casa Bianca. A quel punto Erdogan, secondo uno schema tanto caro agli USA, doveva essere rimosso: nel luglio 2016 ci fu un tentativo di golpe, fallito il quale la narrazione mediatica iniziò a demonizzarlo e la Turchia divenne anche sui media più rinomati – di punto in bianco – una …dittatura. Una strana dittatura, a dirla tutta, visto che il pluralismo partitico è florido e visto che i media di opposizione sono quasi più prolifici di quelli di regime.

L’approccio della sinistra radicale verso Erdogan

Il Partito Comunista di Turchia (TKP) ritiene che fra la borghesia islamista di Erdogan e la borghesia atlantista di Kemal Kiliçdaroglu, leader del partito socialdemocratico CHP, vi sia poca differenza, ma che tatticamente si possa votare quest’ultimo così da destituire l’attuale presidente al potere da 20 anni. Dopodiché si inizierebbe, ovviamente, la lotta sociale per tenere a bada il socialdemocratico e riorientare il Paese verso una società …diversa. Una tattica questa, considerata però illusoria e dunque rifiutata dall’altro grande partito di massa della sinistra rivoluzionaria, il post-maoista Vatan Partisi guidato dall’influente Dogu Perinçek, uno dei pochi politici turchi tuttora attivi a vantare amicizie personali con il leader nordcoreano Kim Il Sung o con il filosofo russo Alexander Dugin. Perinçek considera infatti Kiliçdaroglu addirittura peggiore di Erdogan: se quest’ultimo è un “fifone” che non ha il coraggio di rompere con la NATO, il suo rivale è del tutto legato agli interessi atlantici. Con Erdogan, perlomeno, la Turchia porrebbe un problema interno alla NATO e continuerebbe la sua politica di avvicinamento a Russia e Cina, firmando la pace con la Siria e aprendo le porte a un’economia meno vincolata al mercato atlantico e alle multinazionali occidentali. Il Vatan Partisi però non sostiene un Erdogan troppo ambiguo, e preferisce candidarsi da solo, ribadendo così la propria totale indipendenza.

Il DSP rompe un tabù

Mentre la tattica del TKP ha convinto praticamente tutta la sinistra radicale e viene sostenuta di fatto da un’amplissima fetta dei comunisti turchi diversamente organizzati: dai brezneviani del Partito Socialista Operaio (TSIP) ai movimentisti del Partito di Sinistra (SOL), passando per i kemalisti del Partito Repubblicano Socialista (SCP) e per i leninisti del Partito della Liberazione Popolare (HKP); la linea di Perinçek non gode di particolare simpatia nel resto della sinistra. In realtà, però, qualcuno che ha avuto il coraggio di oltrepassare il Rubicone c’è.

Önder Aksakal, presidente del Partito della Sinistra Democratica sarà candidato con l’AKP di Erdogan a Istanbul

Stiamo parlando del Partito della Sinistra Democratica (DSP) guidato da Önder Aksakal, che ha deciso di schierarsi – armi e bagagli – proprio con Erdogan. Il DSP è un partito che ha sempre unito la cultura socialdemocratica originariamente aperta all’Europa con il patriottismo kemalista, senza quindi mai modernizzarsi secondo i dettami liberal in voga nell’Internazionale Socialista negli ultimi decenni. Prima dell’avvento di Erdogan il DSP era persino stato al governo con il suo leader storico, il carismatico Bülent Ecevit. Il DSP, che da vent’anni era letteralmente crollato elettoralmente ma che continuava comunque ad essere presente in parlamento, a inizio aprile ha annunciato di aver deciso di sostenere Erdogan e, addirittura, di partecipare alle elezioni candidando i propri rappresentati direttamente nelle liste di AKP, il partito conservatore al governo.

Il tempo è grave, insomma, e il Partito della Sinistra Democratica ritiene che sia necessario costruire la massima unità nazionale al di là degli steccati ideologici: nel suo appello ai lavoratori dello scorso 1° Maggio, Önder Aksakal ha scritto infatti che occorre rispondere alla “strategia dell’imperialismo globale, che è di dividere e governare i Paesi in via di sviluppo, e questo continua oggi con tutta la sua brutalità”. La priorità per il DSP, che contesta ai cugini del CHP (anch’essi socialdemocratici ma europeisti) di essere alleati alla NATO e ai separatisti curdi, sta quindi nel raggiungere una piena sovranità nazionale e integrità territoriale della Repubblica di Mustafa Kemal Atatürk.