Il Partito Comunista di Turchia (TKP) entra nella campagna elettorale per il rinnovo del parlamento di Ankara in modo innovativo e si schiera apertamente contro il Partito Democratico dei Popoli (HDP), la principale forza della sinistra europeista e filo-curda in parlamento. HDP, accusato di essere colluso con il PKK, l’organizzazione separatista armata responsabile di numerosi attentati terroristici negli ultimi 40 anni, è riuscito a inglobare altri movimenti dell’estrema sinistra ma non i comunisti, che ne hanno anzi smascherato la funzione globalista ed europeista. Durante il primo round della tribuna elettorale organizzata dalla Televisione di Stato (TRT) che garantisce a tutti i partiti in corsa di autogestirsi dei video-messaggi, il TKP ha fatto una scelta comunicativa originale: invece di farsi rappresentare dal segretario generale del Partito, Kemal Okuyan, ha giocato la carta alternativa: una giovane donna di etnia curda: Zeynep Demirel Hatunoğlu, operaia tessile appunto curda, laureata proprio in curdologia all’università e originaria della città Diyarbakır, a maggioranza curda.
“La fame non ha etnia, la povertà non ha identità”
Zeynep Demirel Hatunoğlu ha spiegato: “sono una curdologa. Sognavo di diventare insegnante ma, come milioni di altri lavoratori dell’istruzione non sono stato assunta e ora lavoro nel settore tessile. Prima di aderire al Partito Comunista di Turchia, avevo idee separatiste. Mi spiego meglio: ero una nazionalista curda, credevo che tutti i problemi che incontravo fossero dovuti al mio retaggio curdo. Chi può negare che noi, come curdi, dobbiamo affrontare problemi profondamente radicati? È sempre stato difficile essere un curdo in Medio Oriente: una regione afflitta da ingiustizie e disuguaglianze. Ma che dire di coloro che non sono curdi? Sono esenti dalle ingiustizie, dalle disuguaglianze e dalla repressione? Sì, ero una nazionalista curda, ma ho capito che la fame non ha etnia, l’indigenza non ha religione, la povertà non ha identità”. In Turchia non c’è insomma un problema etnico, c’è un problema di classe, cioè sociale e unisce tutte le etnie che vivono sul territorio della Repubblica fondata da Atatürk.
“Vedevo padroni curdi che trattavano i loro lavoratori come schiavi”
La candidata comunista chiarisce la sua scelta di abbandonare il separatismo etnico e aderire al TKP: “volevo vivere una vita dignitosa e questo mi ha portato a pormi una domanda fondamentale: come faremo a raggiungere questa vita? Quando ho alzato la testa, ho visto persone ricche, che erano solo una manciata, mentre i poveri, i disoccupati erano molti. Non potevo identificare questo problema con una semplice discriminazione etnica, perché vedevo padroni curdi che trattavano i loro lavoratori come schiavi e vedevo lavoratori non curdi che soffrivano come me. Così ho lasciato il nazionalismo e sono diventata comunista. Sono una donna curda, amo la mia cultura, ma soprattutto amo l’umanità, la fratellanza, l’uguaglianza e la pace”. Ma non solo, ecco la frase che rompe con la narrazione liberal dei separatisti: “Inoltre, amo il mio Paese! Il mio partito difende lo stesso programma e gli stessi principi da Edirne a Diyarbakır”. Si tratta di un’accusa nemmeno troppo velata a HDP che oltre a mettere in discussione l’integrità territoriale della Turchia, adotta ideologie diverse per opportunismo: mentre nelle zone curde difende una linea politica conservatrice e di collaborazione di classe con i clan feudali locali, nelle regioni occidentali e nella diaspora all’estero arriva al contrario a difendere tesi femministe, libertarie e addirittura filo-LGBTQ atte a convincere la sinistra liberal europea e il ceto medio accademico ed europeizzato dei centri urbani turchi a sostenerne le rivendicazioni.
Sì al patriottismo. No al “confederalismo democratico”.
E ancora Hatunoğlu: “il TKP rifiuta categoricamente le politiche identitarie, e anzi promuove l’unità. I nostri avversari sono i nemici della Repubblica, i fondamentalisti islamici e coloro che collaborano con la NATO e l’imperialismo statunitense. Questi avversari cercano di dividerci sulla base delle nostre identità, perché noi siamo molti e loro sono pochi. Non cadremo nella loro trappola”. Insomma il messaggio dei comunisti in Turchia è chiaro: l’insistenza da parte dei mass-media filo-atlantici sull’identità delle minoranze etniche e sull’identità di genere è funzionale solo a dividere la popolazione e così ad allontanarla dalle priorità. La candidata del TKP rifiuta anche i concetti teorizzati dal leader nazionalista curdo Abdullah Öcalan, attualmente in carcere per terrorismo: dal “confederalismo democratico” alla “autonomia curda”. Si tratta – per l’esperta di curdologia – di categorie “usate dalle potenze imperialiste e dai loro lacchè liberali per dividere i popoli di questo mondo” e continua: “stiamo assistendo alle sanguinose conseguenze di queste politiche in Siria e in Medio Oriente, così come le abbiamo viste nell’ex Jugoslavia”. Hatunoğlu ha quindi lodato “la nostra Repubblica, fondata nel 1923 come risultato di una dignitosa lotta anti-imperialista” e ha identificato nel Partito Comunista di Turchia lo strumento “verso un Paese indipendente e sovrano” poiché “il TKP ha dimostrato quanto possiamo ottenere come lavoratori se agiamo coesi con razionalità, pianificazione centralizzata e il patriottismo”.