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La neutralità svizzera? Un vecchio rottame, secondo l’ambasciatrice ucraina

“La Svizzera non può rimanere neutrale”, sostiene l’ambasciatrice ucraina a Berna Iryna Venediktova in un’intervista al Sonntagszeitung. Dopo una simile dichiarazione, una nazione sovrana con un senso della propria dignità avrebbe concesso all’ambasciatore qualche giorno per abbandonare il paese. Tuttavia, nel corso dell’ultimo anno, l’Europa si è abituata a sopportare l’arroganza dei rappresentanti ucraini e sembra che la Svizzera non faccia eccezione. Stando così le cose, tocca sorbirci i precetti di un diplomatico straniero che vuole insegnarci cosa dobbiamo o non dobbiamo fare come paese e come popolo.

La Venediktova ribadisce il concetto affermando che “il principio svizzero di neutralità si basa su accordi presi nei secoli scorsi”. Avete capito? La neutralità Svizzera sarebbe un anacronismo il cui posto è nella pattumiera della Storia. Il motivo per cui la Confederazione dovrebbe abbandonare tale principio sono i soliti discorsi generici sull’”aggressore e l’aggredito” che sentiamo da un anno a questa parte.

Ma soffermiamoci su questo punto. Nel corso dei primi otto anni di guerra nel Donbass si è cercato di regolare il conflitto attraverso gli accordi di Minsk. Negli ultimi mesi tuttavia è emerso che tre dei quattro firmatari, Ucraina, Francia e Germania, non avevano mai avuto intenzione di sostenere tale piano di pace. Lo scorso dicembre la ex cancelliera tedesca Angela Merkel dichiarò, in un’intervista concessa allo Zeit, che “Gli accordi di Minsk sono serviti a dare tempo all’Ucraina. […] Tempo che ha usato per rafforzarsi, come vediamo oggi.” Insomma, la Germania sotto la dirigenza di Merkel aveva aderito agli accordi di Minsk non per sostenere il processo di pace, ma per dare il tempo a Kiev di prepararsi alla guerra. Qualcuno si domandò se le dichiarazioni dell’ex cancelliera non fossero un clamoroso equivoco, ma subito giunse l’ex presidente francese Francois Hollande a chiarire la situazione. “Sì, Angela Merkel aveva ragione su questo punto. [Gli accordi] servirono a fermare la Russia per un po’. Dal 2014 l’Ucraina ha rafforzato la sua posizione militare. È merito degli accordi di Minsk aver dato all’esercito ucraino questa possibilità.” Insomma, anche la Francia ha sostenuto il processo di pace per… preparare la guerra.

Le dichiarazioni di Merkel e Hollande oltretutto hanno solo confermato ciò che Petro Poroshenko, il predecessore di Zelensky, aveva già rivelato in diverse occasioni: gli accordi di Minsk sono stati sin dall’inizio una finzione per dare all’Ucraina il tempo di riarmare e riorganizzare il proprio esercito con il sostegno della NATO. Come ciliegina sulla torta, persino Boris Johnson lo scorso gennaio ha definito gli accordi una “imitazione diplomatica”.

Insomma, sembra proprio che l’unica ad aver seriamente sostenuto i piani di pace sia stata… la Russia. Chiarito come sono davvero andati gli accordi di Minsk, è meglio che l’ambasciatrice e i suoi numerosi simpatizzanti nella Confederazione smettano di blaterare di “aggressori e aggrediti” e riflettano profondamente sulle responsabilità dell’Ucraina e dei suoi sostenitori europei nello scoppio di questo conflitto.

Certamente come comunisti accogliamo con favore la decisione del Consiglio Federale del 23 febbraio di negare la riesportazione di armi svizzere. Tuttavia non possiamo nutrire particolare ottimismo, visto che in Svizzera le voci di chi vorrebbe rottamare la nostra neutralità, come propone l’ambasciatrice, si fanno sempre più forti. Ne è una prova il recente dibattito parlamentare proprio sulla riesportazione di armi, che ha visto una parte consistente della sinistra svizzera allinearsi ai liberali filo-NATO in favore dell’invio di armamenti svizzeri all’Ucraina.

Visto che questi personaggi non hanno ancora il coraggio di essere espliciti come la Venediktova, hanno perciò formulato una concezione “aggiornata” e “trendy” di ciò che la parola “neutralità” dovrebbe significare. Essa significherebbe non già la definizione che si può leggere in qualsiasi dizionario, ma un concetto abbastanza ampio e malleabile in cui rientra anche la difesa attiva di fantomatici “valori europei” di cui pure l’Ucraina (dove sono stati messi fuori legge tutti i partiti di sinistra) sarebbe portatrice.

A questo punto però sorge spontanea una domanda: se “neutralità” significa difendere “dei valori”, quali valori stanno difendendo quei paesi che hanno simulato il proprio impegno negli accordi di Minsk? In nome di quali valori è legittimo fingere di trattare la pace, per prepararsi segretamente alla guerra? Qualsiasi siano questi valori, non sembrano valori svizzeri.

L’unica sigla a sinistra che continua a difendere coerentemente la neutralità svizzera rimane il Partito Comunista, che non a caso ha fatto di questo principio una pietra angolare del proprio programma elettorale. Un voto comunista è quindi oggi un voto per la neutralità, un voto per la pace e per la sovranità svizzera nei confronti di organizzazioni guerrafondaie come NATO e Unione Europea.

Nil Malyguine

Nil Malyguine, classe 1997, è laureato in storia all'Università di Padova. Si occupa in particolare di storia della Russia e dell'Unione Sovietica. Dal 2020 milita nella Gioventù Comunista Svizzera.