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Manganelli Verdi

Nelle scorse settimane, la polizia tedesca ha sgomberato con la forza la cittadina di Lutzerath, occupata da circa 300 militanti ecologisti. Il villaggio, situato nel Land della Renania-Palatinato, verrà presto raso al suolo per fare spazio ad una miniera di carbone. I Verdi tedeschi, siedono sia nel governo di Berlino che in quello renano, ma ciò non sembra aver fermato né i progetti di scavo né i manganelli della polizia.

Sarebbe sciocco accusare i Verdi di essere gli unici responsabili di ciò che sta accadendo. I progetti di estrazione mineraria sono stati approvati tempo fa, quando ancora questo partito aveva uno scarso peso politico. Inoltre, gli ecologisti non possono certo cambiare la legge che permette di sloggiare chi occupa abusivamente una proprietà privata.

Eppure, i fatti di Lutzerath non sono un caso isolato in cui i Verdi rinunciano alla loro storica intransigenza e si abbandonano ai dettami della realpolitik. Nati come movimento antinucleare, gli ecologisti hanno sempre legato le loro lotte in favore della transizione ecologica con delle rivendicazioni pacifiste. Niente armi atomiche, niente centrali nucleari, meno finanziamenti alle forze armate, meno carbone. Dove sono finiti questi principi ora che una nuova guerra mette alla prova la coerenza dei pacifisti di ieri? Ormai, pacifismo ed ecologismo paiono sprofondati nel profondo di una miniera a carbone o sepolti dalla montagna di armi che i rosso-verdi di Berlino inviano al fronte. Tutto ciò, ovviamente, allo lo scopo di accontentare il paese meno ecologista e più guerrafondaio del mondo : gli Stati Uniti.

Scendendo più a sud, la vegetazione cambia. Valicate le alpi, sui fondovalle ticinesi crescono addirittura le palme. Eppure, l’onestà intellettuale è una pianta che non germoglia neppure nella nostra amata Sonnenstube. Dopo che i loro colleghi d’oltralpe hanno mandato qualche attivista a fare presenza nel luogo dello sgombero, i Verdi ticinesi, su Instagram, esprimono solidarietà nei confronti dei manifestanti di Lutzerath, senza spendere una parola sulla condotta di Annalena Baerbock. Ancora una volta, gli ecologisti nostrani tornano alla carica per cavalcare l’ennesimo fenomeno mediatico e guadagnare voti senza sognarsi di fare la benché minima autocritica.

È vero, si tratta solo di un post su Instagram che, per essere pubblicato, ha sicuramente richiesto molto meno impegno rispetto a quello che sto dedicando io alla stesura di questo articolo. Ma è proprio qui che sta il problema. Occorre energia per cambiare il mondo e i Verdi, da questo punto di vista, sono bravi a risparmiarla. Da sempre gli ecologisti, a tutte le latitudini e longitudini, aspettano che i media si occupino di temi ambientali per poter guadagnare voti senza fare nulla. Fu così nel 2011, dopo il disastro nucleare di Fukushima, e fu così nel 2019, quando i media di tutto il mondo narravano le gesta dell’attivista svedese Greta Thunberg e spianavano la strada per il Consiglio nazionale a chi, in Ticino, ha il grande merito di chiamarsi Greta.

La cronaca tedesca degli ultimi giorni, ma anche le proposte “ecologiste” avanzate a Berna negli scorsi anni (e quasi sempre bocciate alle urne) mostrano in modo lampate che non si può sempre e soltanto andare dove ci porta il vento. Quando soffiano venti di guerra occorre tenere la barra dritta e, se necessario, avere il coraggio di andare controcorrente. Seguire le mode, accettare di far pagare la transizione ecologica alle classi popolari pur di strappare un compromesso “ecologico” alla destra è inutile. Allinearsi spudoratamente alla narrazione euroatlantica pur di piacere ai media che propagandano il buoncostume è abominevole.

Per salvare il pianeta occorre rimettere in discussione il nostro sistema economico e la nostra politica estera, cosa che i Verdi non fanno, né in Germania né in Svizzera. Al fine di raggiungere questi obiettivi, non è sbagliato cavalcare i fenomeni mediatici. Basta farlo in modo corretto, mostrando che dietro ai manganelli di Lutzerath stanno i carri armati Leopard e che dietro di essi c’è una classe politica inetta, la quale preferisce rinunciare alla propria transizione ecologica e alla propria indipendenza politica pur di non scontentare chi ci sta spingendo verso la terza guerra mondiale.

Levi Morosi

Laureato in storia a Friburgo, classe 1996, si è occupato di storia politica e diplomatica nell'Europa del Novecento, con un particolare interesse per la propaganda e il dibattito politico in Svizzera.