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Ratzinger, un funerale tra sproloqui, dimenticanze, contumelie e fantapolitica

Vi è il rischio, in un evidente corto circuito tra informazione e cosiddetta controinformazione, di perdere a volte di vista i fatti. La scomparsa di Benedetto XVI sui media ufficiali si è trasformata in un piagnisteo per un uomo tanto buono e gentile, sui canali che dovrebbero aiutare a riflettere è prevalso l’approccio molto costruito e poco concreto di uno scontro tra ratzingeriani e bergogliani, presuntamente conservatori i primi e invece progressisti i secondi, detto ancor più rozzamente, antiglobalisti e tradizionalisti da una parte, globalisti e liberal dall’altra.

Che qualche estremista, fuori e dentro la chiesa cattolica, veda da un lato Francesco come una supericona hippy e Benedetto XVI quale baluardo della fede contro la corrutela dei tempi non manca, ma sono tutte esagerazioni che intanto dimenticano la ponderata moderazione di una struttura di potere bimillenaria che ha imparato come solo nella continuità formale e comunicativa, anche tra esperienze e approcci radicalmente differenti, risieda la forza di vincere il tempo. Questo elementare insegnamento secolare è ad esempio condiviso dai cinesi, si pensi alla sempre rivendicata continuità di Deng Xiaoping rispetto a Mao Ze Dong, autentica per la prima parte dell’opera dello statista cinese, tuttavia in netta e sostanziale discontinuità rispetto all’ultima stagione del maoismo, quella fallimentare della Rivoluzione Culturale. Un senso del tempo e una continuità storica dileggiate dai sovietici dalla metà degli anni ’50, facendo sì che tale approccio abbia contribuito anch’esso alla conclusione di quella esperienza, certo tra mille altri problemi, a partire dall’incapacità di sviluppare nell’ultimo periodo le forze produttive.

Tornando in Vaticano, il giudizio storico su Joseph Ratzinger è riassunto nella sua opera lunga un quarto di secolo, dal 1981 al 2005, al dicastero per la Dottrina della Fede, in quel tempo è stato il braccio armato che ha distrutto ogni anelito di dialogo e di partecipazione dentro la chiesa cattolica, impartendo sospensioni e allontanamenti di prelati, teologi, sacerdoti e suore, secondo le volontà espressegli di volta in volta da Wojtyla. Solo cardinale ammesso alle cene del papa polacco, da lui ha appresso e taciuto molte verità indicibili, i pasticci, i furti, il riciclaggio dei soldi mafiosi compiuti attraverso lo IOR, i milioni e milioni spediti in Polonia contro i comunisti, i pedofili coperti con convinzione da Giovanni Paolo II, soprattutto se impegnati nella battaglia contro il comunismo, per finire con tante storie di sesso e molto altro che hanno riguardato la curia e finito per portare nella tomba anche una ragazza sfortunata e innocente come Emanuela Orlandi.

Papa Wojtyla e Ratzinger hanno lavorato a stretto contatto per numerosi anni.

Diventato papa suo malgrado, Ratzinger si è trovato a dover gestire una duplice macchina, la curia romana e la chiesa mondiale che lo hanno sopraffatto per la sua totale non conoscenza di entrambe, una imperizia che ha travolto la sua onestà nel voler cercare di porre rimedio tanto alla vergognosa gestione della banca vaticana, quanto alla questione della pedofilia. Il pastore tedesco stravolto e disorientato ha provato a nascondersi allora nelle vesti rinascimentali e nelle pompose encicliche, certo dottrinariamente ineccepibili, ma totalmente disconnesse dal XXI secolo, finendo schiacciato dalla generale sfiducia dei fedeli e dalla feroce e ringhiosa rabbia degli apparati di potere curiali. Le dimissioni hanno certificato la sua maldestra incapacità, ben sapendo che il giudizio storico su di lui sarebbe stato espresso per quanto aveva firmato in un quarto di secolo al dicastero per la Dottrina della Fede e non certo per i malcerti passi compiuti da pontefice.

Jorge Mario Bergoglio è stato eletto come successore di Ratzinger da un collegio cardinalizio che, se stessimo al giochetto progressisti/conservatori, era certamente ultraconservatore, tuttavia la scelta è caduta su di lui perché era ed è conosciuto per la sua sconfinata umanità, per il sorriso che rende fratello a lui ogni essere umano, non a caso si è imposto, per primo dopo otto secoli, di portare il nome del poverello di Assisi.

Francesco da un lato ripete che i pastori, ovvero sacerdoti e loro superiori, devono avere l’odore delle pecore, dall’altro, da gesuita di profonda cultura e da peronista quale è sempre stato, non ha certo porto l’altra guancia al diffuso malaffare, iniziando un cammino decennale, tanto è passato dalla sua elezione nel 2013, che l’ha portato a rimuovere vescovi e cardinali, certo trovandosi spesso il bastone tra le ruote infilato da chi lo avrebbe dovuto aiutare e poi si è scoperto essere in combutta con i malfattori.

La riforma della chiesa, condotta per quanto possibile, l’universale fraternità umana e il conseguente dialogo tra cristiani di tutte le confessioni e tra religioni, non gli hanno fatto perdere di vista altri problemi, come quelli etici, esprimendosi ad esempio sul tema dell’aborto in totale sintonia con il suo predecessore. Il mancato invito di Biden al funerale ratzingeriano asseconda certo una volontà del defunto, ma come evidente è una scelta compiuta in piena autonomia da Francesco, titolare degli inviti e ben lieto di lasciare a casa un presidente cattolico che Ratzinger avrebbe voluto sospeso a divinis perché abortista e Bergoglio detesta cordialmente, sapendo come a Washington non apprezzino i suoi richiami alla pace e siano indispettiti del fatto che lui rifiuti di mettersi l’elmetto ucraino. Di più, Bergoglio sa bene che dietro i gruppi estremisti, più o meno cattolici e più o meno nazisti e suprematisti, che lo diffamano negli Stati Uniti c’è l’indulgente disinteresse della Casa Bianca.

Insomma, è da secoli che, seppur invocati con forza, amore e concordia devono condividere il Vaticano con interessi non proprio celesti e con molte altre cattiverie. Ridurre tutto questo a conservatori/progressisti è una ridicola barzelletta.

Piuttosto, è risaputo che Francesco sarebbe voluto rimanere pontefice non più di quattro o cinque anni, il 13 marzo 2023 saranno invece dieci, trattenuto da un lato dalla tenacia delle sue convinzioni, dall’altra dalla pressione di coloro che hanno sempre respinto l’idea di due papi dimissionari e viventi.

Ora si aprono nuovi scenari, che possono permettere a Francesco di dimettersi, certo in tempi che solo lui potrà scegliere. Difficile dire quale potrebbe essere l’orientamento del conclave, sicuramente l’aspirazione dei più è quella di un pontefice che sia ugualmente sorridente, ma meno intraprendente nel provare a porre mano ai tanti guasti del sistema, resta dunque confermato quanto già scritto qualche anno fa, ovvero il prevalente orientamento dei cardinali per un papa che non sia lontano dalla bonaria comprensione di san Martino, ma abbia meno velleità riformatrici.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.