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In Nepal non sfonda l’alleanza fra socialisti e maoisti: vincono i comunisti. Scongiurata la svolta filo-USA!

Si sono svolte a fine novembre le elezioni legislative del Nepal. Perché interessarci di questo paese? Il Nepal, oltre ad essere purtroppo uno dei paesi più poveri del mondo, ha una fortissima tradizione di sinistra. Solo nel 2008 dopo anni di sanguinosa guerriglia maoista contro la monarchia, il re cede il potere e il paese entra in una contraddittoria fase repubblicana che vede uno scontro politico tutto incentrato a sinistra: accanto ai socialdemocratici del Partito del Congresso, godono infatti di consensi importanti due formazioni in particolare: il Partito Comunista Centro Maoista (CPN-MC) del carismatico leader rivoluzionario Kamal Dahal detto Prachanda, che aveva condotta la lotta armata; e il Partito Comunista del Nepal – Unità Marxista Leninista (CPN-UML) presieduto da Sharma Oli.

La fusione dei partiti comunisti fallisce

La fusione dei due partiti comunisti, avvenuta nel 2017 sotto il nome di Partito Comunista Nepalese (NCP), si scontra con la realtà di metodi e strategie troppo diverse e fallisce miseramente dopo pochi anni, con l’aggiunta di altre scissioni minori nel campo comunista che portano ad esempio alla nascita del Partito Comunista del Nepal – Unità Socialista (CPN-SU) in rotta con Sharma Oli.

Mentre infatti il CPN-UML proviene dalla tradizione filo-sovietica che aveva a suo tempo convissuto con le istituzioni monarchiche del Paese, riconoscendo l’autorità del re e partecipando addirittura ad alcune coalizione di governo alleato al Partito del Congresso, ben diversa è l’impostazione rivoluzionaria del CPN-MC, evoluzione del partito armato anti-monarchico che ancora una decina di anni fa risultava iscritto nella lista delle organizzazioni “terroristiche” stilata dagli USA.

La sede del CPN-UML

Se di primo acchito quest’ultimo partito potrebbe apparire come quello più estremista, in realtà Prachanda aveva profondamente rinnovato la sua linea fin dal 2008: inizialmente con un’impostazione più “nazional-popolare” e poi accettando il “socialismo di mercato” di tipo cinese. E proprio il Partito Comunista Cinese è stato in effetti uno dei mediatori che hanno portato inizialmente i due partiti nepalesi a unirsi, come detto, invano. E sono peraltro sempre i cinesi a permettere all’economia nepalese di sopravvivere e uscire dalla grave dipendenza delle ONG umanitarie filo-occidentali.

L’alleanza elettorale sui generis

Uno dei motti di Lenin era “dividersi per unirsi” e forse Prachanda l’ha fatto suo. Infatti i maoisti con i compagni del piccolo CPN-SU hanno costruito una coalizione, non però con gli ex-compagni comunisti ma con i socialdemocratici e altre sigle minori di estrema sinistra. Risultato negativo: da solo il CPN-UML riesce ad avanzare, mentre arranca la coalizione fra riformisti e maoisti, a dimostrazione che in politica unità non significa automaticamente più forza elettorale, soprattutto quando manca un progetto coerente di società.

Il CPN-SU entra in Parlamento con 10 seggi e guadagna solo nelle circoscrizioni a sistema maggioritario, mentre nel sistema proporzionale non riesce a raggiungere il 3% dei consensi: un risultato che dimostra il fallimento della scissione in seno al CPN-UML, che a suo tempo contava ben 25 deputati fuoriusciti (ma evidentemente non rieletti).

La grande sorpresa di queste elezioni è insomma l’incredibile resistenza del CPN-UML stesso: nonostante i sondaggi sfavorevoli, una scissione nei suoi ranghi pochi mesi fa e un’alleanza di 5 partiti contro di esso, è proprio il Partito Comunista del Nepal-Unificato Marxista-Leninista ad aver vinto le elezioni con il 26,95% dei consensi nella parte di rappresentanza proporzionale e con il 30,83% dei voti nella parte di sistema maggioritario. In numeri il CPN-UML ha ottenuto 78 seggi proporzionali e 44 collegi uninominali. A sostenere il CPN-UML sarà inoltre l’indebolito Partito Socialista Popolare (sinistra) che ha ottenuto 12 seggi (-22) di cui 7 circoscrizioni (3,99% e 3,62% dei voti)

Il socialdemocratico Congresso Nepalese è diventato il maggior partito alla Camera dei Rappresentanti conquistando 89 seggi (+26). Tuttavia, è arrivato secondo a livello elettorale con il 25,71% dei voti con il sistema di rappresentanza proporzionale e il 23,19% con il sistema maggioritario. Lo segue a ruota il CPN-MC, terzo classificato con 32 seggi (-21): nonostante l’alleanza con il Partito Socialista del Nepal, i maoisti hanno ottenuto insomma solo l’11,13% e il 9,37% dei voti, con le 18 circoscrizioni vinte che in realtà si basano esclusivamente sulla desistenza dei candidati del Congresso.

Anche la destra si rafforza

L’affluenza alle urne è stata nettamente inferiore alle aspettative, con una partecipazione di appena il 61% degli elettori. Ciò anche a dimostrazione di come l’incapacità del CPN-UML e del CPN-MC di unirsi abbia gettato nello sconforto molti elettori di sinistra. Il Partito Rastriya Swatantra (centro-destra) dal canto suo è invece riuscito a entrare nella Camera dei Rappresentanti e ha conquistato 20 seggi in 7 circoscrizioni (10,70% e 7,77% dei voti). Sono stati la sorpresa delle elezioni: nessuno si attendeva questo alto risultato da un partito conservatore. Anche i nazionalisti del Partito Rastriya Prajatantra sono riusciti a imprimere una forte avanzata ai loro risultati, passando da 1 seggio a 14, comprese 7 circoscrizioni e ottenendo il 5,58% e il 5,24% dei consensi. Per gli altri partiti di opposizione si segnala a sinistra il Partito Janamat (progressista, che rappresenta la minoranza Madhesi) che ha ottenuto 6 seggi, tra cui un collegio elettorale (3,74% e 2,79% dei voti). Nessun altro partito ha ottenuto una rappresentanza nel quadro della rappresentanza proporzionale, tuttavia grazie ai collegi uninominali alcuni di essi riescono ad avere rappresentanti istituzionali, come ad esempio il Partito Operaio e Contadino del Nepal di tradizione maoista che ha vinto una sola circoscrizione (0,68% dei voti), così come i comunisti eterodossi del Rastriya Janamorcha (0,55% dei voti), ecc.

Scongiurata all’ultimo la svolta filo-americana del Nepal

Ai comunisti cinesi, però, il fatto che i compagni nepalesi di CPN-UML e CPN-MC non si siano alleati non è proprio piaciuto: così divisi, infatti, è impossibile formare un blocco di 120 seggi in parlamento, con il rischio conseguente di vedere il Nepal finire nelle mani di un governo a guida socialdemocratica che avrebbe spinto gli equilibri politici del Paese verso il vicino indiano e cioè, di fatto, subalterno al volere degli Stati Uniti.

In quest’ottica, Pechino, ha inviato diversi emissari del governo (come il ministro degli esteri Wang Yi) e del Partito (come il responsabile esteri del Comitato Centrale Liu Jinchao) a Kathmandu per convincere i comunisti locali a trovare un compromesso. Ed ecco che il giorno di Natale è avvenuto il “miracolo”: nella sorpresa generale il 69enne maoista Prachanda è stato nominato primo ministro dal presidente della Repubblica beneficiando del sostegno di 169 deputati (compresi quelli del CPN-UML) su 275 e i il Partito del Congresso si è visto sfumare la sua stessa coalizione da sotto il naso.

I leader del CPN-UML e del CPN-MC si stringono la mano: l’alleanza è fatta!

I socialdemocratici che, speculando sulla divisione dei comunisti, si illudevano di tornare al potere erano già in trattativa con il presidente statunitense Joe Biden per accettare un pacchetto di 500 milioni di dollari da Washington. Gli USA conoscono l’importanza strategica del Nepal e avevano necessità di trasformarlo in uno Stato vassallo in funzione anti-cinese e anti-comunista. Prachanda non si è però fatto usare e già nei giorni scorsi aveva dimostrato un certo dissapore verso gli “alleati” elettorali riformisti che volevano di fatto svendere la patria agli imperialisti. L’ambasciatore cinese in Nepal, Wang Xin, dal canto suo ha subito offerto i suoi buoni uffici diplomatici per mediare fra le due sigle portandosi a casa, alla fine, quella che possiamo definire un nuova vittoria strategica, dal punto di vista sia geo-politico sia ideologico, del Partito Comunista Cinese.