Il 25 gennaio 2019 è avvenuto uno dei maggiori disastri ambientali nella storia del Brasile: la rottura della diga dei sedimenti della miniera di proprietà della multinazionale Vale S.A. nei pressi della città di Brumadinho, nello stato di Minas Gerais. La tragedia ha causato la morte diretta di 272 persone e danni immensi all’ambiente, tanto che le conseguenze della rottura della diga si fanno sentire ancora oggi, come per esempio tramite la contaminazione dell’acqua e del suolo di tutto il bacino del fiume Parapobea, colpendo così più di un milione di persone di 26 città differenti.
Fin da subito, collettivi e movimenti legati alle vittime del disastro di Brumadinho e del bacino del fiume Paropobea si sono mobilitati per esigere il risarcimento integrale delle comunità colpite e una persecuzione giuridica dei responsabili. La multinazionale Vale S.A., vicina all’ex presidente Jair Bolsonaro, in quanto proprietaria della miniera di Córrego do Feijão, è responsabile diretta per il disastro. In collaborazione con una sua azienda tedesca sussidiaria, la TUV SUD, responsabile dei controlli di sicurezza, la multinazionale brasiliana ha presentato documentazione falsa in relazione alla stabilità della diga, affermando che non vi era alcun rischio per l’uomo, i lavoratori e l’ambiente.
Attualmente l’azienda non riconosce le sue responsabilità e non collabora con le investigazioni interne per accertare le responsabilità dei vari dirigenti aziendali. Finora ha solo adottato politiche di riparazione individuale, senza accettare alcun criterio o parametro collettivo in favore delle vittime. Addirittura, nel 2020, l’azienda ha chiuso un “accordo di riparazione” milionario con lo stato di Minas Gerais senza coinvolgere le comunità direttamente colpite. Ancora oggi le richieste delle comunità non sono state accolte. Peggio ancora, c’è stato un aumento significativo della violenza, della persecuzione e delle intimidazioni verso i leader sociali comunitari che lavorano in favore dei diritti umani e dell’ambiente nella regione. Alcuni di questi, dopo aver ricevuto varie minacce e intimidazioni dirette, hanno dovuto lasciare il territorio, ed il Brasile, per essere accolti da programmi di protezione in Europa.
Il Partito Comunista svizzero, sensibile al tema e difensore dell’iniziativa federale per multinazionali responsabili qualche anno fa, ha incontrato a Ginevra proprio una di queste leader sociali che han trovato rifugio in Europa, la compagna Marina Oliveria, portando a lei e alla sua comunità il suo sostegno in favore di veri risarcimenti collettivi e di una presa di responsabilità diretta da parte della Vale S.A. Essendo la stessa un’azienda multinazionale con un ufficio di rappresentanza in Svizzera, e poiché questa commercia risorse naturali attraverso i mercati elvetici, il Segretario politico del Partito Comunista e granconsigliere ticinese, Massimiliano Ay, ha inviato una lettera di protesta alla sede svizzera dell’azienda chiedendo che la Vale SA si prenda le sue responsabilità, che finiscano gli atti di intimidazione verso gli attivisti che chiedono giustamente giustizia e risarcimenti equi. Si spera inoltre che facendo luce su questo grave abuso, ci sia una maggiore presa di coscienza da parte della comunità internazionale verso i colpevoli.
Renata Costa, presidente della Vale International SA, ha risposto al deputato comunista negando essenzialmente che l’azienda non abbia collaborato con la giustizia, risarcito le vittime e che sia coinvolta in atti di intimidazione. È però notizia del 24 gennaio 2023 che la Giustizia Federale brasiliana abbiamo accolto la denuncia fatta dal Ministero Pubblico Federale contro la Vale SA, l’azienda TUV SUD e 16 ex e attuali direttori e funzionari di queste compagnie. Il Ministero Pubblico Federale accusa le persone fisiche coinvolte di omicidio qualificato, di crimine contro la fauna e di inquinamento di massa con una denuncia che vale per ognuna delle 270 vittime del disastro. Questa notizia mette di nuovo in dubbio la versione ufficiale della Vale SA secondo cui il caso è risolto: i prossimi mesi saranno dunque cruciali per la risoluzione di questo caso, in cui la nuova amministrazione del presidente Lula potrebbe aver giocato un ruolo sbloccando il dossier in favore delle vittime.