Bellini con il comunista russo Zabirov nell'ottobre 2011
//

La Banda continua …con noi. In ricordo di Gianfranco Bellini.

Ricordo ancora oggi il senso di smarrimento la mattina del 13 novembre 2012 quando mi venne comunicato che Gianfranco Bellini era morto improvvisamente nella notte. In me, appena trentenne, e nei giovanissimi compagni che mi assistevano nella Direzione del Partito Comunista vi fu un periodo di scoramento, quasi di paura, perché sparivano contatti di cui solo lui disponeva, si interrompevano progetti che ancora non eravamo in grado di proseguire da soli, perdevamo anche un punto di riferimento cui semplicemente chiedere consiglio. Il senso di vuoto che quella morte ci lasciava era strano, perché con Gianfranco ci sentivamo sì spesso ma, tutto sommato, ci eravamo conosciuti solo pochi mesi prima: non vi era stato il tempo per sviluppare un legame particolarmente intenso. Eppure ci siamo resi conto, in quel momento, che si trattava di una di quelle persone che, entrando nella tua vita, anche se per un lasso di tempo brevissimo, ne era diventata una parte importante.

Gianfranco – non temo di esagerare – è stato un mentore. Non l’unico, certo, ma sicuramente uno dei principali nel processo di rinnovamento politico e ideologico che il nostro Partito stava attraversando una decina di anni fa: se oggi abbiamo raggiunto il prestigio che ci è riconosciuto sul piano internazionale e diplomatico, se oggi le nostre competenze analitiche sono migliorate, è perché Gianfranco Bellini ha creduto in noi, ci ha messo sulla strada giusta e ci ha dato le giuste dritte. Sempre, però, con quel suo fare canzonatorio, che agli inizi mi infastidiva come non mai. Ricordo il mio scetticismo quando, ad esempio, terminata la prima riunione con lui a Casa Gabi a Locarno, parlandone all’interno del Partito, lo liquidai come un «ganasa», troppo idealista, troppo poco concreto.

Ma poi, rimuginandoci su, c’era un qualcosa che dentro di me diceva che era una persona interessante e volli così insistere a conoscerlo meglio, perché quello che ci aveva spiegato sulle dinamiche geopolitiche e finanziarie – tutti aspetti che poi vennero pubblicati postumi nel libro «La bolla del dollaro» (Odradek, 2012) – erano non solo affascinanti, ma di fatto ci indicavano una prospettiva politica di rinnovamento della prassi internazionalista e che – pensandoci bene – era meno vaga di quanto potesse apparire inizialmente. Anzi, a dirla tutta, permetteva di inserirci in sintonia con la evoluzione che il Partito Comunista Cinese avrebbe avuto nel futuro mondo multipolare, e che Gianfranco aveva intuito con anticipo. Bellini era convinto non solo che occorresse riportare l’analisi sulla moneta al centro del dibattito economico fra marxisti, ma anche che la Svizzera come paese neutrale nel centro dell’Europa poteva essere perno di una cooperazione win-win fra la area eurasiatica, con la Cina in testa, e l’America latina dove si stavano verificando allora interessanti esperienze socialiste da Cuba al Nicaragua, passando dal Venezuela all’Ecuador e la Bolivia.


Un giorno di settembre 2011 venni a sapere causalmente che si stava fondando su Milano una nuova associazione di cooperazione italo-cinese. La cosa mi incuriosì e scrissi un’e-mail per conoscerne le attività: scoprii così che il promotore era un tale, Gianfranco Bellini appunto, membro del Comitato Centrale del Partito dei Comunisti Italiani (PdCI), un partito di cui in quel momento pure io ero tesserato, collaborandovi nelle strutture dell’emigrazione in Svizzera e in Europa. Il giorno del mio compleanno, il 28 ottobre 2011 il PdCI si sarebbe riunito a Congresso a Rimini: ci siamo dati appuntamento lì.

Ma a Rimini, in realtà, di Cina parlammo poco: Gianfranco mi prese in simpatia e mi presentò al deputato Mars Zabirov dei comunisti russi e poi al deputato Ammar Bagdache, leader dei comunisti siriani, e fra un brindisi e l’altro, definì il nostro Partito, con così tanti giovani e che nonostante tutto manteneva risultati sopra l’1% in un paese conservatore come la Svizzera, come un “miracolo”. Per questo iniziò a seguirci con sempre maggiore interesse.

Gianfranco era quella figura di quadro politico anziano con un’esperienza che a noi mancava terribilmente: ci spronava, ci dava idee, ma non si intrometteva nelle nostre scelte finali, ci trasmetteva con la sua passione anche un po’ di quell’acume politico che lo contraddistingueva, e ci insegnava un metodo, ma si lasciava anche frenare quando, a nostro avviso, correva troppo per la realtà svizzera. Soprattuto, però, Gianfranco dava fiducia a noi giovani di allora, anche se di un altro paese: proprio ciò di cui avevamo bisogno.

Il Partito Comunista di quegli anni non solo era totalmente da ricostruire, ma più che a un’organizzazione politica corrispondeva in pratica, più che altro, a un movimento giovanile. Gianfranco è stato, forse senza volerlo, un bravo pedagogista che ha creduto nel progetto di normalizzazione dei comunisti che avevamo ideato al momento della mia elezione a segretario politico poco tempo prima e di cui il vice-segretario, compagno Alessandro Lucchini, è stato artefice in egual misura.

Solo in seguito seppi chi era “davvero” Gianfranco: uno dei due Bellini! Quelli della Banda Bellini, “il mucchio selvaggio, compagni di strada, figli del maggio” come avrebbero cantato i Gang anni dopo. La Banda del Casoretto era il temibile servizio d’ordine del Sessantotto milanese, ma Gianfranco – che si laureerà poi in Economia alla Bocconi con una tesi sull’economia pianificata di stampo sovietico sviluppata con la matematica lineare di Leonid Kantorovic – dopo quell’esperienza di militanza era finito a lavorare in Fininvest ed ebbe pure ruoli manageriali in IBM, alla Barclays Bank e alla Montedison, rimanendo però marxista, anzi marxista-leninista per la precisione; e non aveva mai abbandonato l’idea che fra Palmiro Togliatti e Pietro Secchia fosse meglio quest’ultimo (e per questo mi punzecchiava, perché io ho sempre parteggiato per il “Migliore”). Nonostante ciò si era iscritto al PdCI guidato dal segretario Oliviero Diliberto, anche perché quel Partito – grazie anche alla credibilità del suo primo presidente, il compagno Armando Cossutta – aveva saputo costruire le migliori relazioni internazionali del momento, in linea con la fase storica e orientate al futuro, appunto al multipolarismo (un termine che noi usavamo già allora)! Dal capitale fittizio alla bolla del dollaro: l’analisi economica di Gianfranco Bellini è stata insomma lungimirante tanto quanto il contributo che diede allo sviluppo della strategia politica dei comunisti svizzeri e alle loro relazioni estere, a tratti impressionanti per numero e qualità.


Quando Gianfranco ci lasciò, il suo amico Achille Saletti lo ricordò in un editoriale su “Il fatto quotidiano”. Mi limito a citarlo e a sottoscrivere parola per parola: Gianfranco “di intelligenza ne aveva in abbondanza, forse, talvolta, fuorviata da eccessi di ottimismo in politica e di estrema lucidità in economia mantenendo, però, inalterato il gusto estetico della provocazione. Posso testimoniare che le sue analisi economiche valevano mille volte le analisi degli accademici soloni che una informazione, povera e cialtrona, si ostina a propinarci quale verbo a cui inchinarci. Per capacità di lettura del futuro e sensibilità verso paesi che non rientrano nella logica autoreferenziale a cui siamo abituati noi occidentali. Sputo del mondo che immaginano di essere simili ad un elisir di vita e di speranza per noi e per gli altri”.

Gianfranco Bellini rappresentava quegli uomini di cultura che sapevano sempre coniugare la teoria alla pratica e sempre trovavano il modo di elaborare una sintesi per le necessità dell’attività politica immediata dei comunisti, senza mai lasciarsi andare alle derive intellettualistiche degli accademici. Ma oltre allo studioso, noi abbiamo conosciuto un compagno, che ancora le parole di Saletti ben descrivono: “è morto un amico e, in quanto tale, so che non me ne vorrà se lo cito per nome e cognome. Se violo la sua ritrosia di uomo che non voleva apparire. Si chiamava Gianfranco Bellini e, insieme al fratello Andrea, diede vita e corpo ad una banda: la banda Bellini. Una banda comunista nella disciplina e libertaria nei sentimenti di giustizia sociale che imperversò nella Milano antifascista degli anni ‘70. Un bel libro dello scrittore Marco Philopat li descrive entrambi ma non li esaurisce. Era molto più, Gianfranco. Uno di quelli amici che dovrebbero toccare in sorte ad ognuno di noi. In questo mi sento fortunato. Per le discussioni, le divergenze, le risate e le follie che hanno attraversato parte delle nostre vite. Un saluto libertario non te lo leva nessuno. Anche se so, che mi avresti risposto di andare a quel paese”. No, non a quel paese: probabilmente ci avrebbe mandati direttamente a cagare!

Massimiliano Ay

Massimiliano Ay è segretario politico del Partito Comunista (Svizzera). Dal 2008 al 2017 e ancora dal 2021 è consigliere comunale di Bellinzona e dal 2015 è deputato al parlamento della Repubblica e Cantone Ticino.