Come è noto Putin ha dichiarato la mobilitazione parziale di riservisti dell’esercito, il ministro della difesa Shoygu ha spiegato come 300.000 riservisti saranno chiamati alle armi, che la liberazione del Donbass rimane l’obiettivo dell’operazione militare, che nessun intervento su territorio russo da parte dell’occidente sarà tollerato.
A differenza della narrazione nostrana, in Russia richiamare i riservisti non significa affatto prendere a caso i civili e buttarli al fronte, quella è una specialità del tutto Ucraina dove qualsiasi uomo dai 18 ai 60 è obbligato ad arruolarsi, a prescindere se ha mai avuto un minimo addestramento militare.
Essere riservisti in Russia significa firmare un contratto con l’esercito, aver fatto sia il servizio di leva che quello volontario. Sono persone addestrate, che hanno già fatto missioni con l’esercito, che hanno prestato servizio e sono disponibili ad essere richiamati. Le riserve esistono in tutti gli eserciti europei, non è nulla di strano.
Quando leggiamo di fantomatiche code di 40 km (cit.) di macchine piene di russi al confine con la Finlandia, assistiamo all’ennesima disinformazione occidentale. La Russia militarmente ha un esercito enorme, addestrato e tecnologicamente all’avanguardia in molti campi. Nemmeno nel caso di una piena mobilitazione potranno mai esserci alcun tipo di rastrellamenti a caso di civili. Infatti i potenziali cittadini che possono essere richiamati alle armi sono circa 25 milioni in Russia, persone che comunque hanno fatto il servizio militare e sono arruolabili. Parlare della Russia come di un paese primitivo e senza regole è di una sciatteria razzista vergognosa ma purtroppo tipica del suprematismo bianco occidentale.
Detto questo, l’escalation a cui stiamo assistendo è grave e deve preoccuparci tutti. La Russia ha combattuto fino ad ora in ucraina con un braccio legato alla schiena, portando un limitato numero di uomini su un fronte enorme e limitando enormemente l’utilizzo dell’aviazione e di mezzi corazzati. Di fatto è una guerra di fanteria, terrestre, quindi soggetta ad una lentezza d’altri tempi e con altissimo numero di vittime militari.
Dopo la controffensiva ucraina a Kharkiv l’esercito russo ha cominciato a bombardare le infrastrutture civili, soprattutto centrali elettriche, per la prima volta dall’inizio della guerra. L’aumento e il protrarsi di consegne ingenti di armi dalla NATO verso Kiev non ha fatto altro che spianare la strada a questa escalation che sta diventando sempre più pericolosa.
L’inefficacia delle sanzioni e il loro effetto boomerang sugli stessi paesi che le hanno imposte ha fatto spostare l’impegno occidentale da quello economico a quello militare, costringendo Kiev a negare ogni colloquio e a mandare sempre più carne da macello al fronte. Le perdite ucraine nelle ultime settimane sono gigantesche e ammesse dagli stessi comandi ucraini.
La vera questione è una: l’Europa. In questo conflitto è l’unica parte in causa che subisce in maniera devastante la guerra e che allo stesso tempo avrebbe le chiavi per ottenere la pace. Se da un lato Washington tiene per la gola Kiev, impedendo qualsiasi colloquio diplomatico, altresì incatena l’Europa a fare scelte folli che vanno contro qualsiasi suo interesse, anche per la mera sopravvivenza.
Se l’Europa si staccasse da queste catene e se aprisse un canale diplomatico con Mosca, bypassando gli USA e chiedendo un mediatore esterno (come la Cina o il Vaticano) a fare da garante, l’escalation si fermerebbe e la stessa guerra verrebbe impostata su binari che corrono verso la pace. È chiaro che a questo punto del conflitto con i referendum in Donbass, Kherson e Zaporozhye, si è arrivati a superare dei limiti da cui è improbabile poter tornare e molti di questi territori non torneranno mai sotto la giurisdizione ucraina. Trattare con Mosca ad oggi significherà anche tener conto di questo.
Ma una trattativa diplomatica è l’unica via di fuga e di salvezza e l’Europa è l’unica parte in causa che può davvero fare la differenza se solo non fosse il giardino di casa oltreoceano degli Stati Uniti. Alla pace si arriverà, bisogna vedere come. Non credo nella maniera più assoluta che Putin userà i missili nucleari, ma sono allo stesso tempo certo che se l’escalation avanzerà ancora l’obiettivo della liberazione del Donbass potrebbe cambiare e diventare più esteso e che va ben oltre il solo Donbass.
È necessaria ora più che mai una mobilitazione di pace nei paesi europei, un nuovo movimento pacifista come quello visto nel 2001 e nel 2003 che faccia pressione sui governi europei per fermare le sanzioni, fermare la corsa dell’inflazione e l’aumento scellerato dei prezzi dei beni essenziali di consumo e per aprire i colloqui di pace. In alcuni paesi europei, tra cui la Repubblica Ceca dove l’operazione russa è stata ampiamente criticata e avversata, ci sono già movimenti di piazza che pian piano stanno crescendo in vista di un inverno che sarà nucleare ma senza bombe nucleari. Qui in Italia, paese chiave e strategico della NATO, oltre che servo fedelissimo degli interessi americani, la creazione di questo movimento è di assoluta importanza.