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La LINKE al bivio. La svolta filo-NATO spinge la sinistra tedesca verso la scissione?

Dal 24 al 26 giugno scorso si è svolto nella città tedesca di Erfurt la prima sessione dell’8° Congresso della LINKE, il più grande partito alla sinistra della socialdemocrazia. Sorto nel 2005 dalla fusione fra i post-comunisti della ex-DDR con la sinistra sindacale e socialista dei Länder occidentali capitanata da Oskar Lafontaine, il partito ha sempre mantenuto una struttura plurale e, almeno fino alle ultime elezioni politiche dove ha subito un tracollo, ha pure sempre goduto di una discreta rappresentanza parlamentare. Se anche molti comunisti avevano rinunciato a organizzarsi nel Partito Comunista Tedesco (DKP) dell’Ovest o nel Partito Comunista di Germania (KPD) dell’Est, è perché la LINKE rappresentava un partito di massa fortemente schierato a sinistra e, soprattutto, con una chiarissima vocazione pacifista. La guerra in Ucraina fra l’Atlantismo (USA/UE) da un lato e l’Eurasia dall’altro ha cambiato le carte in tavola…

I comunisti nella Linke sempre più scontenti

I principi della politica di pace che il Partito ha sempre difeso sono stati annacquati con l’ultimo Congresso: l’obiettivo è quello di trasformarsi in un partner “affidabile” per i partiti borghesi e quindi sperare che questi ultimi concedano poi alla LINKE uno spazio nel governo nazionale. Ovviamente ciò non potrà avvenire finché il Partito osteggerà la NATO e il militarismo atlantista. La scelta congressuale di condannare la Russia in modo unilaterale per la guerra in Ucraina significa – secondo la Kommunistische Plattform (cioè la corrente interna che organizza i comunisti membri della LINKE) – “la negazione implicita del contesto geopolitico e storico della guerra in Ucraina”. In questo modo “si lascia intendere che l’unica colpevole sia la Russia, il che equivale a una decisa banalizzazione del ruolo della NATO”. Una chiara scelta di campo, quindi, che legittima l’atlantismo e la conseguente russofobia agli occhi della popolazione, che ha portato molti compagni a ritenere che “il Partito non si può più salvare”. A fine giugno gli attivisti della corrente comunista si sono riuniti a Berlino per discutere la nuova situazione: molte sono state le voci che hanno argomentato a favore delle dimissioni in blocco dal Partito. Di fatto una scissione comunista e pacifista.

In passato, Linke e DKP hanno collaborato (qui a Treviri nel 2018): oggi ciò è sempre più difficile.

“Noi comunisti non ci faremo manipolare”

“Se i principi della politica di pace del partito vengono eliminati, per noi è il capolinea”. Questo dicevano i delegati della Conferenza nazionale della Kommunistische Plattform riunitisi lo scorso 2 aprile. “In quanto comunisti – si leggeva nella risoluzione di alloranon parteciperemo mai alla manipolazione di massa per staccare questa guerra dal suo contesto storico e geopolitico e attribuire così alla Russia l’unica colpa della situazione attuale. Perché chi attribuisce la colpa esclusiva alla Russia legittima la NATO e – inconsciamente o consapevolmente – ci fa dimenticare tutto ciò che questa alleanza aggressiva, soprattutto gli Stati Uniti, ha commesso con crimini oltraggiosi dopo la Seconda guerra mondiale”. Insomma, il dado sembra tratto: la corrente comunista potrebbe decidere di spaccare l’esperienza unitaria della LINKE. Eppure c’è ancora chi frena: la mancata elezione dell’esponente dell’ala destra Wulf Gallert, fra i più filo-NATO del Partito, è il segnale che l’ala militarista “non ha ancora la forza per imporsi completamente” e finché questa situazione si manterrà allora forse – secondo molti militanti della Kommunistische Plattform – c’è ancora una speranza di continuare a lottare all’interno della LINKE. Una posizione rispettabile ma che rischia di essere illusoria e di determinare anzi una stagnazione della invece più che urgente mobilitazione per la pace con le nazioni eurasiatiche e contro la NATO.

L’alternativa è la DKP

Per quanto la linea unitaria sembra insomma ancora tenere, l’alternativa in sé già esiste: il Partito Comunista Tedesco (DKP) guidato da Patrick Köbele è certamente molto più piccolo numericamente ed elettoralmente, ma dimostra di essere un partito in salute che sa intervenire con un relativo successo laddove ci si focalizza: sia nel movimento per la pace sia in quello sindacale sono spesso già oggi i quadri preparati, organizzati e disciplinati del DKP a fare la differenza. La collocazione geopolitica del Partito inoltre è molto chiara: a favore del multipolarismo, per la cooperazione fra Germania ed Eurasia e contro l’UE e la NATO. Si tratta di una linea coraggiosa oggi ma che sarà l’unica possibile alla lunga, quando l’economia europea declinerà anche a causa delle sanzioni. Siamo insomma entrati in una nuova fase storica che imporrà scelte chiare e decise a sinistra; le mezze misure sono insomma destinate a esaurirsi: anche solo da un punto di vista della democrazia interna non saranno più garantiti margini di agibilità, perché chi non si schiera per il modello atlantico sarà emarginato da tutti i partiti (come la LINKE in Germania o il PS in Svizzera) che sono già integrati o che ambiscono a integrarsi nel sistema forgiato sul modello liberale ed atlantista che ha deciso di dividere il mondo in due blocchi contrapposti.