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In Germania vola la SPD e crolla la Linke. Per la DKP, bisogna “prendere la strada della resistenza”

Le elezioni per il Bundestag svoltesi domenica in Germania hanno registrato l’affermazione della SPD di Olaf Scholz (con il 25.7% dei voti), che ha realizzato uno storico sorpasso battendo la CDU guidata da Armin Laschet (che ha raccolto solo il 24.1% dei suffragi). Già in queste ore è ormai iniziato il rito delle consultazioni e delle negoziazioni fra i principali partiti per la formazione del nuovo governo, che con ogni probabilità vedrà anche la partecipazione dei liberali della FDP (11.5%) e dei Verdi guidati da Annalena Baerbock, che nonostante i pronostici più che favorevoli ad inizio campagna non hanno “sfondato”, fermandosi al 14.8% dei voti. L’operazione di ricollocamento filo-atlantista del partito ecologista (di cui avevamo parlato anche sul nostro portale: leggi qui) non è dunque bastata a consegnare alla Baerbock le chiavi della cancelleria federale.

Crolla la Linke, a rischio esclusione dal Bundestag

Ma le elezioni di domenica sono anche state segnate dal vero proprio tracollo della Linke, il partito nato dalle ceneri della SED tedesco-orientale che negli ultimi tempi aveva imboccato anch’esso la via dell’europeismo liberal in chiave antirussa ed anticinese (si vedano in proposito i risultati del 7° congresso dell’aprile di quest’anno, di cui avevamo parlato qui). La Linke ha infatti raccolto solo il 4,9% dei suffragi (contro il 9.2% del 2017), senza raggiungere dunque la soglia di sbarramento del 5% che impedisce ai partiti minori di accedere al Bundestag. Il partito potrà restare in parlamento solo grazie alla vittoria di tre candidati (fra cui Gregor Gysi) nei collegi uninominali di Lipsia e Berlino, che ha permesso alla Linke di formare un gruppo parlamentare e di accedere alla ripartizione proporzionale che le ha consentito di ottenere un totale di 39 seggi (30 in meno rispetto al 2017).

Un’analisi più ravvicinata del risultato della Linke mette in evidenza almeno alcune delle ragioni della sconfitta di domenica. Innanzitutto, i risultati elettorali confermano ancora una volta la profonda spaccatura che divide il Paese lungo la vecchia linea di frontiera fra BRD e DDR: nell’ex Germania Est, duramente colpita da privatizzazioni, deindustrializzazione e povertà, le formazioni “anti-sistema” come la Linke o il partito di destra populista Alternative für Deutschland (AfD) raccolgono molti più consensi che nella Germania occidentale. Ma questa elezione ha registrato un’importante novità: lavoratori e disoccupati hanno infatti votato principalmente la SPD e l’AfD, abbandonando la Linke da cui è partito un importante travaso di voti proprio verso l’estrema destra. Insomma, il “partito della sinistra” non è riuscito a convincere la propria base sociale, che si è diretta verso altri lidi ritenuti maggiormente capaci di rappresentarne gli interessi.

Sahra Wagenknecht: “La Linke si è allontanata dai lavoratori”

A fronte di questa disfatta, le reazioni da parte dei dirigenti del partito sono state quantomeno contrastanti. Affermando che gli errori non sono stati commessi in campagna elettorale ma negli anni precedenti, la co-presidente Susanne Hennig-Wellsow ha ribadito in TV la disponibilità della Linke a far parte del prossimo governo. Poco dopo, alla sede nazionale del partito il capogruppo Dietmar Bartsch ha invece affermato che “il nostro posto nel Bundestag tedesco sarà l’opposizione”.

Una confusione che di certo non aiuta ad uscire dallo scenario di crisi in cui versa la Linke, da cui Sahra Wagenknecht – deputata ed esponente dell’ala postcomunista del partito – ha invece cercato di trarre qualche riflessione (auto)critica. Intervistata dalla televisione ARD, la fondatrice del movimento Aufstehen ha letto in questo modo il pessimo risultato elettorale del suo partito: “penso che questo abbia qualcosa a che fare con il fatto che negli ultimi anni la Linke si è allontanata sempre di più da ciò per cui è stata effettivamente fondata, cioè rappresentare gli interessi dei lavoratori normali e dei pensionati”. In merito al travaso di voti verso l’AfD, Wagenknecht rifugge le spiegazioni semplicistiche: “Gli elettori che sono passati da noi all’AfD non sono razzisti. Sono persone che si sentono abbandonate dalla politica e apparentemente anche dal mio partito e presumono di poter esprimere la loro protesta solo votando per l’AfD”.

Sahra Wagenknecht non lesina le critiche al suo partito e richiede una fase di riflessione interna.

Per queste ragioni, la deputata chiede ora di aprire una fase di riflessione autocritica all’interno del partito, in cui andrebbe anche discussa la veemenza con cui la Linke si è ripetutamente offerta come partner di coalizione, sebbene la SPD e i Verdi la abbiano puntualmente ignorata. Secondo Wagenknecht, la Linke non deve stare per forza all’opposizione, ma non può voler entrare in governo ad ogni costo: “Se c’è la possibilità di fare la differenza in questo paese per salari migliori, pensioni più alte, tasse più eque e migliori opportunità educative, allora dovremmo entrare in un governo, senza dubbio. Ma nella campagna elettorale è diventato sempre più evidente che né Olaf Scholz né Annalena Baerbock vogliono davvero tali cambiamenti e quindi hanno poco interesse in una coalizione con la Linke”.

Per la DKP, occorre “prendere la strada della resistenza”

La sconfitta della Linke è frutto di riflessione anche tra le fila della Deutsche Kommunistiche Partei (DKP), che per bocca del suo presidente Patrick Köbele ha dichiarato che “la performance della Linke è amara e non c’è motivo di rallegrarsene; ma questo risultato è il frutto di una campagna elettorale in cui la Linke ha fatto capire che è pronta a buttare tutto a mare per entrare in governo, senza distinguersi dalla socialdemocrazia tradizionale”.

Per il suo presidente Köbele, la campagna elettorale è stata comunque importante per la DKP.

Rispetto ai risultati del proprio partito, Köbele non si fa illusioni: “la performance della DKP non è soddisfacente, con solo un leggero miglioramento rispetto alle elezioni del Bundestag del 2017. Il DKP è troppo debole per presentarsi come tale alla gente che cerca alternative”. Ciononostante, la campagna elettorale condotta in questi mesi fra mille difficoltà (la DKP ha addirittura rischiato di essere estromessa dalla consultazione, come avevamo raccontato qui) è stata comunque utile: essa “ha portato il partito e i suoi contenuti al mondo esterno e lo ha rafforzato. La DKP è stato l’unico partito in questa campagna elettorale che ha fatto una campagna coerente per la pace”.

Il futuro d’altronde è tutt’altro che roseo: secondo Köbele, “tutte le possibili costellazioni di alleanze configurano un governo federale di crescente aggressività sia all’interno che all’esterno. Tutti questi partiti si sono espressi in diverse sfumature a favore della politica di guerra della NATO e della militarizzazione dell’UE, a favore dell’aggressione contro la Russia e la Cina. Tutti questi partiti sono per un forte attacco ai diritti democratici e sociali del popolo di questo paese”. Di fronte a questo scenario, per la DKP la prospettiva del movimento operaio e pacifista può essere solo una: “Prendiamo la strada della resistenza”.