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Schiavi della Cina o della sinofobia?

«Azione», il settimanale di cultura e politica (atlantista) edito e distribuito dalla Migros, ospita regolarmente articoli del giornalista Federico Rampini, esperto (mainstream) di affari cinesi. Nell’edizione del 16 agosto scorso troviamo una paginata intitolata “L’Occidente schiavo della Cina” che ha per obiettivo quello di forgiare l’opinione pubblica a detestare la Cina, che presto prenderà il posto della Russia fra i “cattivi”.

Ovviamente si parte da Taiwan. Altrettanto ovviamente Rampini deve chiarire che «Pechino dà una interpretazione sempre più espansionistica dei confini», noncurante del fatto che – a differenza della Francia in Mali, di Israele in Palestina e degli Stati Uniti in mezzo mondo – la Cina finora non ha occupato proprio nessuno! Ma andiamo oltre: la recente visita di Nancy Pelosi viene qualificata sì come “provocatoria” (bontà sua!) ma usando le virgolette, così da sminuirne la gravità. Secondo Rampini la reazione cinese al viaggio della politica americana sarebbe peraltro una «prova generale per l’annesione dell’isola con la forza delle armi». Ma di che annessione parla se Taiwan è già oggi riconosciuta dall’ONU come parte integrante del territorio della Repubblica Popolare?!

Il giornalista poi si trasforma in fine stratega e ci spiega che «operazioni militari su questa scala erano state evidentemente preparate anni prima». Ma va? Che genio! Davvero qualcuno non del tutto ingenuo può pensare che la Commissione Centrale per gli Affari Militari del Partito Comunista Cinese organizzi manovre di truppe anche solo per esercitazione con goliardico spirito spontaneistico e senza preparazione? Suvvia: tutti i paesi dispongono di piani militari più o meno segreti atti sia allo sfondamento di frontiere sia al mantenimento dell’ordine interno. Poi fortunamente restano perlopiù chiusi nei cassetti, ma sono cose che esistono e non bisogna aver frequentato la scuola ufficiali per saperlo!

Senza farci mancare il solito cliché sui “gulag” staliniani, il nostro ci spiega che la Cina si starebbe preparando a compiere sui cittadini di Taiwan un «lavaggio del cervello finalizzato a estirpare idee e valori democratici, libertari per sostituirli con la dottrina del partito». Ovviamente l’indottrinamento esiste solo in Cina e mai in Europa dove si censurano media ritenuti “filo-russi”. Fa sorridere poi il tentativo di far credere ai lettori che la provincia separatista di Taiwan espulsa dall’ONU nel 1971, e che dal 1949 al 1987 fu sottoposta alla più lunga legge marziale della storia sotto la dittatura fascista di Chang Kai-Shek e dei suoi successori, possa candidamente diventare da regime ultra-nazionalista a una sorta di fucina di “idee libertarie” (ha proprio scritto “libertarie”, cioè qualcosa di prossimo all’anarchia!). In secondo luogo varrebbe la pena ricordare che non esiste una sola democrazia: accanto alle numerose forme di democrazia liberale esistenti al mondo, infatti, vi sono anche alcune forme di democrazia socialista, piacciano o meno a Rampini: una di queste vige in Cina dove sono attivi 8 partiti politici.

L’articolo procede nel farci credere che la Cina è «convinta di poterci piegare con le minacce e i ricatti». In realtà Pechino non sta ricattando nessuno: si limita a condurre una politica sovrana che risponde ai propri interessi nazionali. A ricattare gli altri sono gli USA che dichiarano guerra a tutti i paesi che non si piegano ai loro diktat e che ancora di recente hanno minacciato il ministro degli interni serbo per far aderire Belgrado alle sanzioni contro la Russia. Particolarmente grave sarebbe, sempre secondo il giornalista, «l’uso punitivo che la Repubblica popolare può fare della sua immensa potenza commerciale». Ma quale uso punitivo? La Cina usa semplicemente le regole del mercato che ha imparato dai paesi occidentali! Quando noi imponiamo embarghi e sanzioni siamo bravi mentre se lo stesso lo facessero i cinesi sono cattivi?

Bellissima anche la conclusione rampiniana: «Trenta anni di globalizzazione e di delocalizzazioni verso la Cina hanno smantellato tali e tanti settori industriali negli Stati Uniti e in Europa che ci vorrebbero altri trenta anni per ricostruirli». Quindi la globalizzazione va bene quando USA e UE sfruttano il resto del mondo, mentre quando sono gli altri ad approfittarne magari in termini diversi da quelli predatori delle multinazionali occidentali ecco che Rampini diventa …no-global! Patetico! Questa è l’insopportabile doppia morale dell’imperialismo atlantico e dei suoi ideologi che continuano a colpevolizzare Pechino perché «potrebbe negarci esportazioni di cui abbiamo un bisogno vitale». Se lo vogliamo evitare basta che la Svizzera resti neutrale e che tutti accettino il multipolarismo attenendosi ai principi di cooperazione e di non ingerenza, rispettando cioè la sovranità e l’integrità territoriale degli Stati e rinunciando a fomentare “rivoluzioni colorate” a destra e a manca. A quel punto si realizzerà una comunità umana dal futuro condiviso, che è il contrario dell’imperialismo e del neo-colonialismo!

Massimiliano Ay

Massimiliano Ay è segretario politico del Partito Comunista (Svizzera). Dal 2008 al 2017 e ancora dal 2021 è consigliere comunale di Bellinzona e dal 2015 è deputato al parlamento della Repubblica e Cantone Ticino.