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La blacklist del Corriere della Sera: incompetenza o persecuzione consapevole?

Non si placa in Italia lo scandalo sulla lista di proscrizione dei “filorussi” pubblicata in prima pagina domenica 5 giugno dal Corriere della Sera, con tanto di fotografie e nominativi dei 9 presunti “putiniani” che a detta del giornale sarebbero indagati per aver allestito una rete “complessa e variegata” di disinformazione per conto del Cremlino (leggi qui). Nella lista sono finiti anche il reporter di guerra Giorgio Bianchi, reduce da un recente viaggio nel Donbass in guerra, e il veterano dell’informazione anti-atlantista Manlio Dinucci. Le “rivelazioni” del Corriere sono grottesche in ogni loro aspetto. Innanzitutto lo è l’etichetta idiota di “putiniano”, attribuita a persone che non hanno mai sostenuto Putin e vengono messe alla pubblica gogna solo per aver fatto informazione controcorrente. In secondo luogo per l’assoluta mancanza di prove a supporto dell’accusa: di fatto, Fiorenza Sarzanini e Monica Guazzoni, le due penne dell’articolo, non riportano alcuna dimostrazione dell’esistenza di una rete di disinformatori al servizio di Mosca. Altrettanto patetica l’accusa di diffondere fake news, siccome Sarzanini e Guazzoni non sono in grado di indicare un solo caso in cui gli accusati abbiano diffuso falsità. Sorvoliamo poi sul fatto che lo stesso Corriere della Sera sia nella stampa italiana uno dei peggiori ricettacoli di fake news atlantiste.

Insomma, l’unica cosa di cui si può accusare questi “putiniani” è di aver compiuto psicocrimine.

La farsa prosegue davanti alle telecamere di ByoBlu (vedi qui), dove la Sarzanini cerca di difendersi di fronte a Bianchi e Dinucci, fallendo miseramente. La giornalista, che è anche vicedirettrice del Corriere, scarica la responsabilità su un rapporto proveniente dal Copasir (Comitato Parlamentare per la sicurezza), che il quotidiano si sarebbe limitato a citare senza esprimere un giudizio proprio. Peccato che poche ore dopo giunge la smentita direttamente da Adolfo Urso, presidente del suddetto organo. Smentita peraltro inevitabile, siccome il Copasir è una struttura parlamentare il cui scopo è vigilare sull’attività dei servizi segreti, non condurre indagini. Lo scandalo è ormai così esteso che nella giornata di venerdì 10 giugno i servizi segreti tengono una conferenza stampa in cui viene presentato il documento utilizzato dal Corsera per le sue illazioni (che potete leggere qui). E infatti il bollettino in questione non è stato prodotto dal Copasir ma dal DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), non contiene alcuna prova né accusa riguardo a una rete di disinformatori al servizio del Cremlino, e dei nove individui chiamati in causa dal Corsera ne cita solo alcuni. Per il resto il bollettino è una stupenda panoramica del mondo visto con gli occhi dei Servizi: “la verità è quello che narriamo noi”. Ma il dato importante è che nel documento non ci sia traccia delle accuse avanzate dal Corsera: significa che il quotidiano si è inventato un mucchio di balle.

Persino il presidente del Copasir Adolfo Urso ha dovuto smentire la provenienza del rapporto citato dal Corriere.

Fatta una descrizione sommaria dell’indecoroso scandalo che ha come protagonista il giornale più letto d’Italia, la situazione ci spinge ad alcune considerazioni.

In primo luogo, l’indignazione per l’attività dei servizi segreti. “This was the first reaction: shock!” (citazione fuori contesto di Matteo Renzi). L’aggressione mediatica del Corriere ha trovato poca comprensione tra i colleghi degli altri giornali italiani. Particolarmente aspro è stato Marco Travaglio, direttore dal Fatto Quotidiano. Inoltre è già giunta la condanna da parte di alcune figure politiche di spicco, tra cui Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Pier Luigi Bersani. In effetti, anche se i dodici fossero effettivamente putiniani, dove starebbe il reato? In Italia non esiste il crimine di “putinismo”, anzi, per quanto possa sembrare strano la libertà di espressione sarebbe persino tutelata. E come possono i servizi segreti stilare liste di persone che non solo non hanno commesso alcun reato, ma non sono nemmeno sospettate di averlo fatto?

Tuttavia, sebbene l’indignazione sia pienamente legittima, non si può fare a meno di osservare l’ingenuità da finti tonti di coloro che ora condannano il Corriere. È infatti un segreto di pulcinella che i servizi segreti abbiano sempre indagato sui cittadini dissenzienti, anche in assenza di sospetto di reato. In Svizzera lo sappiamo molto bene grazie allo scandalo delle schedature del 1989, quando emerse che i servizi avevano prodotto quasi un milione di dossier di sorveglianza di cittadini svizzeri: su una popolazione di 6 milioni, a finire schedata era una persona su sette. Tantomeno dovrebbe stupire in Italia, dove vi è una storia illustre di servizi segreti deviati. Il bollettino desecretato, che si propone di fare una panoramica della disinformazione filorussa sulla guerra in corso, in realtà non fa nulla di tutto ciò: chi vi cercava confutazioni di bufale o smascheramenti di agenti dell’FSB resterà deluso. Ciò che fa il bollettino è indagare l’informazione di opposizione al governo Draghi. Tuona Marco Travaglio dalle pagine del Fatto: “…siccome nel report n. 4 non ci sono fake news veicolate da Mosca, ma solo notizie vere e opinioni dissonanti, chi ha ordinato ai Servizi di schedare “le critiche all’operato del Presidente del Consiglio Draghi” come se fossero dei crimini?”

Falsamente ingenuo è anche lo stupore di alcuni riguardo ai legami che si sono palesati tra il Corriere e gli organi di sicurezza. Che tutte le principali testate giornalistiche europee siano pesantemente compromesse con l’intelligence (peraltro non sempre quella del proprio paese) è noto da molto tempo. Basti citare le rivelazioni di Udo Ulfkotte (Gekaufte Journalisten, 2014), collaboratore del Frankfurter Allgemeine e reo confesso di legami con la CIA, per capire come funziona il reclutamento dei giornalisti tra le fila dei servizi segreti atlantici. Noi a differenza del Corriere non spariamo accuse infondate, e lasciamo a Luciano Fontana & Co. il beneficio del dubbio, ma l’infiltrazione dell’informazione di massa è un dato di fatto anche in Italia. E qualche domanda alla redazione di via Solferino andrebbe posta: ad esempio come ha fatto ad ottenere quel documento, visto che è stato declassificato solo una settimana dopo la pubblicazione dell’articolo.

Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera.

Poco credibile è anche chi dice che lo scandalo sia semplicemente risultato di uno svarione della redazione. Certamente non sarebbe impossibile né inverosimile, visto che il giornalismo italiano degli ultimi anni ha calpestato qualsiasi traccia di dignità professionale che ancora gli rimaneva. Ipotizziamo dunque che, con modalità poco chiare, in via Solferino sia giunto un documento riservato, e le grandi menti della redazione non siano state in grado di interpretarlo a dovere. E che questa interpretazione fantasiosa sia finita spudoratamente sulla prima pagina del numero della domenica. Possibile, certamente. Ma chi come il sottoscritto è stato costretto a seguire il circo mediatico italiano dell’ultimo anno, intuisce che le cose sono andate diversamente.

Il Corriere della Sera è stato capofila della campagna terroristica contro gli oppositori della fallimentare politica sanitaria del governo Draghi. Con l’incessante ricerca del nemico interno, la pubblica gogna dei mass media ha colpito centinaia di persone (e stigmatizzato una buona fetta di paese) allo stesso modo in cui sta colpendo oggi i “putiniani”. Si è trattato ad esempio di medici sanzionati per aver disapplicato il criminale protocollo Speranza (tachipirina e vigile attesa), di giornalisti che denunciavano l’assurdità di certe misure restrittive, persino di vittime di effetti avversi da vaccino, e di molti altri. Allora l’etichetta diffamatoria universale era “novax”, invece di “putiniano” o “filorusso”. Il clima da guerra civile e di intolleranza generalizzata è di gran lunga precedente al conflitto tra Russia e Ucraina. Ad essere colpito non è il dissenso su temi specifici, ma il dissenso in quanto tale. Quindi la lista di proscrizione del Corriere non è uno svarione dei suoi autori, ma un gesto premeditato e dal chiarissimo obbiettivo di intimidire l’opposizione e aizzare la folla contro il “diverso”. Perché questa è l’Italia di Draghi: un paese che procede a tappe forzate verso la dittatura. Ed è per questo che al contrario di certi politici in vista, il sottoscritto non è rimasto minimamente sorpreso dall’uscita del Corriere.

Mark Twain una volta disse: “Giornalista è colui che distingue il vero dal falso… e pubblica il falso.” Noi non siamo così cinici, e crediamo che il giornalismo sia altro: ne abbiamo degli esempi illustri in questa stessa lista nera. Semplicemente ciò che fa il Corriere della Sera non è giornalismo, ma prostituzione per il potere.

Nil Malyguine

Nil Malyguine, classe 1997, è laureato in storia all'Università di Padova. Si occupa in particolare di storia della Russia e dell'Unione Sovietica. Dal 2020 milita nella Gioventù Comunista Svizzera.