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Tradizione, innovazione, gestione familiare: la prospettiva dell’agricoltura in Cina

Nello sviluppo agricolo occorre distinguere l’approccio contadino da quello imprenditoriale: se infatti il contadino vede il mercato come uno dei possibili sbocchi per la sua produzione, al contrario l’imprenditore vede in esso il principio fondante sul quale si basa la sua opera.

Nello sviluppo delle attività agricole si evince che quelle che sono gestite come imprese hanno una redditività ad ettaro molto più bassa e questo è dovuto alla dipendenza che esse hanno dal mercato per qualsiasi approvvigionamento, ergo dipendono dai flussi delle merci, al contrario l’approccio “contadino” implica l’utilizzo delle risorse proprie della terra, di chi la gestisce e delle eventuali sinergie che si possono creare con le aziende limitrofe. Si usa pertanto capitale non economico ma ecologico, si investe in lavoro e non attraverso l’indebitamento con fonti terze, infine come si usa dire nella realtà contadina italiana, la sinergia è figlia della mentalità rurale che ha coniato il detto: “del maiale non si butta via niente” e così avviene che qualsiasi scarto si trasforma in una potenziale risorsa.

Un’agricoltura basata su una moderna gestione familiare

Risulta indubbio che l’approccio contadino sia per sua natura ecologicamente compatibile con l’ambiente circostante, inoltre si evince che i lotti di piccole o medie dimensione condotti a livello famigliare riescano a garantire una redditività complessiva più alta a parità di superficie lavorata di riferimento, ne consegue che il contributo sociale apportato delle piccole aziende è decisamente maggiore di quello fornito dalle grandi aziende.

Tutto questo accade normalmente in Cina. I dati, forniti dal professor Jan Douwe Van der Ploeg, titolare della  cattedra di Sociologia Rurale all’Università di Wageningen, ci spiegano che nel 2015 il 30,4% delle terre coltivate era stato dato in affitto, di questi affitti il 58,4% era stato accordato ad altri contadini, il 21,9% a cooperative e solo il 9,6% ad aziende di grosse dimensioni.

Tali dati, insieme allo sviluppo storico dell’agricoltura in Cina, ci permettono di asserire che ad oggi esistono interazioni tra tre modelli che coesistono: quello contadino, quello imprenditoriale e quello delle cooperative, realizzatesi principalmente nel primo periodo della Repubblica Popolare (1949 – 1978) ed oggetto in quegli anni della creazione delle comuni, delle squadre di produzione e dell’agricoltura di Stato.

Numerosi giovani si interessano all’agricoltura in Cina, riprendendo spesso le aziende familiari.

Le politiche pubbliche cinesi favoriscono le piccole imprese agricole

Il Governo cinese ha chiaramente svariati obbiettivi che sono quelli di generare sovranità alimentare per il paese, emancipare quanti più cittadini possibile attraverso l’agricoltura, sconfiggere la povertà ed abbattere le emissioni di CO2 attraverso processi intrinsecamente probi, in modo del tutto estraneo alla sete di profitti di ristretti gruppi affaristici che vedono nel “green” solo un nuovo mercato, come purtroppo accade in Occidente.

Per altro, dopo una stagione in cui gli sgravi e le agevolazioni son state consentite solo alle aziende familiari, ora lo Stato ha aperto gli investimenti in agricoltura anche per quegli imprenditori che arrivino da altri settori come l’edilizia o la finanza, mossi da un vantaggio a breve termine, consistente nelle agevolazioni fiscali che possono essere ottenute da una holding che possiede anche aziende agricole, infatti le perdite economiche conseguenti alla gestione di una società agricola poco produttiva ed in perdita può risultare salvifica nel bilancio complessivo perché le perdite agricole sono di gran lunga compensabili con le agevolazioni fiscali concesse dallo Stato, inoltre nel medio e lungo periodo le holding vedono invece nella terra una risorsa strategica che potrebbe essere interessante per il futuro, sempre premesso che ne è possibile solo l’affitto, essendo la proprietà pubblica e statale.

Lo stato cinese ha ben compreso che non si deve lasciare l’agricoltura in mano al solo settore industriale, preservando altre dimensioni a partire da quella familiare si generano infatti opportunità di futura occupazione, si evita il de-mansionamento degli agricoltori ad operai della terra, non si perdono conoscenze e risorse sociali fondamentali per il futuro del paese. Tale strategia combatte la povertà, evitando un approccio finanziario estraneo e preservando il perseguimento dell’aumento degli stipendi e del benessere dei lavoratori.

Verso un “ritorno alla terra”?

La tendenza è che l’agricoltura non sarà più solo l’attività da svolgere dopo essere tornati da lavori extra agricoli riportando capitali da investire nel villaggio di origine dopo decenni di assenza, ma un settore strategico per il paese dove il ritorno della forza lavoro (prevalentemente maschile) è assai anticipato e si riduce a qualche anno di assenza atto ad ottenere i capitali iniziali per procedere all’ampliamento, alla specializzazione ed all’intensificazione della produttività delle terre lavorate che potranno per tanto generare un reddito uguale se non superiore a quello del lavoro nelle fabbriche e contemporaneamente generare benessere per la famiglia, per il villaggio e per il paese.

Non aziende più grandi per dimensione, ma più innovative con approcci modulari che amplino un pezzo alla volta la sfera d’azione dell’azienda, compatibilmente alle possibilità di lavoro che offrono le braccia e le teste della famiglia, quindi in sostanza prima si lavora sul miglioramento e si vede come  evolve la situazione poi si procede eventualmente ad un moderato aumento dell’attività, progressivamente, utilizzando esclusivamente i soldi a disposizione della famiglia senza chiedere prestiti.

La nuova possibilità che si aprono per i contadini cinesi non sono un atto di coraggio ma solo il risultato delle capacità individuali e collettive di cogliere un opportunità dettata dalle circostanze contingenti: i nongmin possono oggi scegliere se gettarsi in un mercato industriale e del lavoro poco appetibile che offre scarse prospettive economiche e di crescita accompagnate da un allontanamento dalle proprie origini e dalla famiglia o se reinvestire su se stessi e sulle proprie origini con la prospettiva di una moderata crescita nel tempo e l’indipendenza.

Luca Montaldo

Luca Montaldo, già direttore di cantiere e libero professionista specializzato nella realizzazione di abitazioni a risparmio energetico e con materiali ecocompatibili, dirige oggi una piccola azienda agricola nei colli tortonesi.