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Trovate armi svizzere in Ucraina, mentre l’italiana Beretta acquista la produzione di munizioni della RUAG. L’industria bellica elvetica sempre più integrata nella NATO

La questione del commercio di armi è di particolare attualità in queste settimane di intensificazione del conflitto in Ucraina. “Grande è la confusione sotto il cielo”, avrebbe detto Mao: la situazione è però tutt’altro che eccellente, anzi. Mentre il primo governo rosso-verde visto in Germania dopo anni di dominio democristiano stanzia fondi straordinari (ben 100 miliardi di euro) per il riarmo della Bundeswehr, la socialdemocrazia ed i partiti ecologisti di tutta Europa esultano per l’invio di tonnellate di armi al governo ucraino, che le distribuisce – oltre che ai gruppi paramilitari apertamente neonazisti – anche ai civili facendone dei bersagli ed alimentando il caos in cui si trova il Paese.

Il tema è al centro dell’attenzione anche in Svizzera, dove la trasmissione Rundschau ha rivelato che l’esercito ucraino sta impiegando armi anticarro prodotte in Svizzera dall’azienda bernese Saab e regolarmente vendute in Gran Bretagna (leggi qui). Una notizia che ha ulteriormente messo in luce l’insufficienza delle norme contro l’esportazione di armi svizzere in scenari di guerra e che rischia di mettere ulteriormente a repentaglio la neutralità elvetica. A questa rivelazione va ad aggiungersi un’altra grave decisione politica consumatasi nell’indifferenza generale, ossia la privatizzazione parziale dell’azienda di armamenti RUAG, portata a termine con la vendita ad investitori stranieri di RUAG Ammotec, il principale gruppo europeo produttore di munizioni leggere.

La trasmissione “Rundschau” ha rilevato l’impiego di armi anticarro di produzione elvetica da parte dell’esercito ucraino.

La lunga storia della privatizzazione della RUAG

La privatizzazione della principale impresa d’armamenti svizzera ha una lunga storia. Nel marzo 2019, il Consiglio federale annunciava di voler procedere allo scorporo dell’azienda di proprietà della Confederazione in due gruppi (leggi qui): RUAG MRO Svizzera, che impiega circa 2500 persone e che continuerà a rimanere di proprietà pubblica lavorando per l’esercito elvetico, e RUAG International, che impiega 6500 persone ed è destinata alla privatizzazione (in particolare il settore aerospaziale, quello legato alla cyber-sicurezza e quello appunto delle munizioni leggere). Lo scorporo è divenuto effettivo ad inizio 2020, dopodiché le autorità federali hanno provveduto a nominare il nuovo consiglio d’amministrazione di RUAG International incaricato della vendita ai privati dei suoi settori produttivi: tra i “liquidatori” troviamo anche un volto ticinese, quello della neopresidente del CdA Monica Duca Widmer, già deputata in Gran Consiglio per il PPD.

UDC e sinistra contestano la svendita di Ammotec, la “perla” della RUAG

La decisione di privatizzare il settore munizioni della RUAG non ha però mancato di sollevare qualche dubbio. Come ha ricordato Jonas Jäggi sul numero di settembre 2021 di Unsere Welt, la rivista del Movimento svizzero per la pace, l’Ammotec è infatti la “perla” della RUAG: essa rappresenta circa un terzo del fatturato di RUAG International e anche nel primo anno della pandemia è riuscita ad incrementare la propria cifra d’affari dell’8% (pari a mezzo miliardo di franchi), realizzando un utile di ben 24 milioni di franchi. La fabbrica di munizioni di Thun è infatti una delle più moderne d’Europa, e oltre ai proiettili per armi leggere produce anche proiettili di precisione, granate a mano e componenti per proiettili di medio e grosso calibro che vengono assemblati all’estero (Ammotec possiede infatti anche degli stabilimenti produttivi in Ungheria e Brasile).

In un recente articolo apparso sempre su Unsere Welt, Christian Müller ha evidenziato come negli ultimi anni la divisione munizioni della RUAG abbia sviluppato la produzione di munizioni da cecchino all’avanguardia: i proiettili .375 SWISS P può essere infatti usato per mettere a segno colpi letali a distanze fino a 1,6 km, e fino a una distanza di 600 m, questa munizione penetra anche i gilet antiproiettile di categoria IV. Un tipo di prodotto che di questi tempi fa dunque parecchio gola a molti commercianti d’armi.

Le munizioni di precisione prodotte da RUAG Ammotec sono un prodotto all’avanguardia dell’industria bellica.

Per scongiurare la vendita a privati (perdipiù stranieri) di questa azienda di punta, il senatore bernese dell’UDC Werner Salzmann aveva depositato una mozione volta ad impedire la vendita di Ammotec e a garantire un approvvigionamento sovrano di munizioni alle forze dell’ordine elvetiche. Al fine di mantenere un controllo pubblico sull’esportazione delle munizioni fabbricate dall’azienda (e, aggiungiamo noi, per poter un giorno garantire la conversione a scopi civili della sua produzione), anche socialisti e verdi hanno sostenuto il testo, bocciato purtroppo in via definitiva lo scorso settembre (leggi qui). Si è in tal modo aggirato l’ultimo ostacolo alla privatizzazione definitiva della Ammotec.

Beretta acquista Ammotec: l’industria bellica svizzera nella NATO

È di poche settimane fa la notizia della vendita dell’azienda al colosso italiano Beretta, che si è assicurato l’acquisizione del 100% di Ammotec, raddoppiando così il numero dei suoi addetti e raggiungendo un fatturato di un miliardo e mezzo di euro. Una pessima notizia, se consideriamo i precedenti della Beretta, accusata da più parti di aggirare le normative europee per la vendita di armi evitando di dichiarare i destinatari reali delle sue forniture: nel 2011, oltre 200 dei suoi fucili di precisione venivano in effetti consegnati alle forze speciali del Bahrein, che poche settimane dopo li utilizzavano contro i manifestanti che protestavano contro il governo (leggi qui). Non che la storia della RUAG sia più edificante: nel 2018, l’azienda elvetica era finito al centro delle critiche per il ritrovamento di alcune sue granate nell’arsenale dell’ISIS attraverso una fornitura inizialmente indirizzata agli Emirati Arabi (leggi qui). La cessione di Ammotec ad un’azienda privata straniera impedirà però in futuro qualcunque controllo parlamentare su eventi di questo genere: non è infatti da escludere che la parcellizzazione della produzione tra Svizzera, Italia e altri paesi permetta una maggiore elusione delle normative sull’esportazione di armi.

La produzione di munizioni di RUAG Ammotec è stata acquistata dal gruppo italiano Beretta.

Se consideriamo che le munizioni prodotte da Ammotec sono principalmente indirizzate ai paesi NATO e ai suoi alleati, così come quelle della Beretta, diviene chiaro come questa apparentemente innocua operazione di compravendita rischi di ipotecare ulteriormente la neutralità della Svizzera, la cui industria d’armamento diviene così ancor più integrata al complesso militar-industriale al servizio dell’imperialismo atlantico. Non ci stupirebbe vedere dunque presto, oltre alle testate anticarro prodotte da Saab, anche dei proiettili di precisione svizzeri fra le forniture d’armi indirizzate ai battaglioni neonazisti ucraini: la credibilità del nostro Paese come mediatore nei conflitti internazionali, già duramente colpita dalla supina adozione delle sanzioni europee contro la Russia, sarebbe a quel punto definitivamente morta e sepolta.

Indignati i comunisti: “un’altra sberla alla neutralità svizzera”

Di fronte a questi sviluppi, non si è fatta attendere la reazione del Partito Comunista svizzero: in una nota diffusa ad inizio aprile, il partito guidato da Massimiliano Ay ha dichiarato che “certo i posti di lavoro sono stati (per ora) salvati, ma in realtà è stato inferto un (altro) durissimo colpo alla neutralità del nostro Paese e, nell’attuale contesto storico con un crisi militare in atto fra la NATO e la Russia, questo è un dato preoccupante per il Partito Comunista che contesta la sudditanza del Consiglio federale al campo atlantico!”. Per il PC, la vendita di Ammotec significa “perdere il controllo pubblico sull’esportazione delle munizioni fabbricate nel nostro Paese” e decretare il libero commercio delle armi svizzere nei paesi in guerra: secondo i comunisti, “se è così che la Svizzera pensa di riacquisire la propria credibilità come mediatore internazionale si sbaglia di grosso”.