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Dai socialdemocratici ai comunisti: in Serbia la sinistra si schiera con la Russia. Il NKPJ chiede di riconoscere le repubbliche del Donbass.

Mentre altrove in Europa si confiscano le proprietà dei cittadini russi e della stessa Federazione Russa come reazione unilaterale alle operazioni militari russe in Ucraina, una voce fuori dal coro si alza da Belgrado: «La Serbia non si unirà mai all’isteria anti-russa, non vieterà i media russi, non espellerà gli studenti russi dalle scuole e non toglierà gli scrittori e gli scienziati russi dai libri di testo». Ad assicurarlo è stato il ministro degli interni del governo serbo Aleksandar Vulin durante un incontrare l’ambasciatore di Mosca Alexander Botsan-Kharchenko. La posizione del governo di Belgrado è particolare anche perché i toni più schierati a favore delle regioni della Russia arrivano da sinistra: mentre nel resto d’Europa sia la socialdemocrazia moderata sia gli estremisti trotzkisti sono uniti nel condannare la Russia e a chiedere a gran voce delle sanzioni più severe, la sinistra serba, nelle sue varie correnti, sostiene l’operazione di “denazificazione” del Cremlino. Insomma, prepariamoci: i media main stream svizzeri e occidentali definiranno ben presto la Serbia una pericolosa …“dittatura”.

Il ministro degli interni serbo Vulin con l’ambasciatore russo Botsan-Kharchenko.

La Serbia apre le porte ai russi discriminati dall’UE

Vulin – l’unico ministro dichiaratamente marxista del governo serbo e presidente del Movimento dei Socialisti – è fautore di una politica patriottica di sinistra che mira a rompere i legami fra Belgrado e il sistema atlantico, in modo particolare l’Unione Europea e la NATO. Vulin ha infatti sottolineato che la Serbia è un paese indipendente e sovrano, che quindi può scegliere da sola i suoi alleati, riferendosi evidentemente alla Russia. «Una civiltà che cancella gli scrittori, gli scienziati e i combattenti per la libertà russi, una civiltà che rifiuta tutto ciò che il popolo russo ha dato al mondo, sarebbe una civiltà molto povera» ha tuonato Vulin, sbeffeggiando la decisione dell’Università di Milano di censurare un corso accademico del famoso studioso di cultura slava Paolo Nori sulla letteratura di Fyodor Dostoevskij senza una controparte letteraria ucraina. Per non parlare della decisione del Teatro alla Scala che ha licenziato il direttore Valery Gerguiev per non aver fatto un’abiura pubblica contro il proprio Paese. Anche un altro esponente di spicco della politica belgradese, Ivica Dacic, presidente del Partito Socialista Serbo (SPS), ha rifiutato le sanzioni alla Russia che “non significheranno nulla e non risolveranno la crisi”. Infatti il leader socialdemocratico ha ammesso che “la Russia non può accettere un mondo unipolare” sottintendendo che la guerra è fra i paesi emergenti che mirano al multipolarismo e la NATO che vuole continuare a imporre l’egemonia statunitense sul mondo.

Il presidente del PS serbo Ivica Dacic in compagnia di Sergej Lavrov.

Il NKPJ: “La Serbia riconosca l’indipendenza di Donetsk e Lugansk!”

Dal canto suo, il Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (NKPJ), una piccola ma combattiva formazione marxista-leninista serba “considera corretta la scelta di Mosca di riconoscere l’indipendenza delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk, proclamate da un referenum popolare, e chiede che le autorità serbe seguano l’esempio e riconoscano l’indipendenza dei due territori. L’intervento militare russo è un’azione militare legittima su invito delle autorità delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk, il cui popolo soffre da otto anni degli attacchi della giunta fascista di Kiev”. Tuttavia il NKPJ è convinto che “la guerra non può essere nell’interesse di nessuno, specialmente non una guerra tra popoli così vicini e fraterni come i russi e gli ucraini” e dunque rimarca che “una soluzione a lungo termine per la vera pace, la prosperità e lo sviluppo dell’Ucraina è possibile solo nella cooperazione fraterna e nell’armonia con la Russia”.