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Esportare la democrazia è anti-democratico: 355 partiti uniti contro l’egemonia di USA e UE

355 partiti politici, organizzazioni sociali e centri studi di 140 paesi e regioni del mondo hanno risposto lo scorso dicembre alla proposta del Dipartimento delle relazioni internazionali del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese di rilasciare una dichiarazione congiunta sulla democrazia. Una necessità di fare chiarezza soprattutto in questa fase storica in cui sta emergendo una nuova guerra fredda che vede UE e USA costantemente opporsi alla Cina e a tutti i paesi che con essa vogliono relazionarsi. Uno dopo l’altro questi paesi vengono infatti etichettati da “democrazie” a “dittature” e finiscono vittime o di sanzioni o di bombardamenti.

Dittature a geometria variabile

Il Nicaragua, quando nel 2006 venne eletto Daniel Ortega, era una democrazia riconosciuta da USA e UE e lo è rimasta fino a pochi anni fa, ma quando il leader sandinista si ostinò a non piegarsi ai diktat occidentali, ecco che divenne un “dittatore”. In Venezuela il governo socialista di Nicolas Maduro, per quanto costantemente criticato già prima da Washington e Tel Aviv, divenne “dittatoriale” solo quando i candidati filo-statunitensi continuarono ad essere sconfitti alle urne. In Turchia poi, quando Recep Tayyip Erdogan salì al potere era paragonato a un leader moderato in stile democristiano, restò “democratico” anche quando arrestava i comunisti e i militari anti-NATO e mantenne questa etichetta ancora quando nel 2013 represse i manifestanti di Gezi Park, ma dal 2016 circa, quando cioè Ankara si aprì a russi e ai cinesi e liberò gli ufficiali kemalisti dalle carceri, ecco che Erdogan divenne un “dittatore” che andava rovesciato con un golpe. Ovviamente i paesi dell’Europa dell’Est restano democraticissimi, anche (e soprattutto) la Polonia che reprime il Partito Comunista oppure l’Ucraina che applica leggi razziali contro la minoranza russofona. Della Cina poi non parliamone nemmeno: se negli anni ‘90 la pressione su Pechino era minima perché si credeva che il capitalismo prendesse gradualmente il sopravvento, oggi che Xi Jinping ha chiarito che l’orientamento resta socialista e che il paese non si balcanizzerà, ecco che i liberi giornalisti svizzeri ed europei sono costretti a far salire alle stelle la sinofobia accusando Pechino di ogni male del mondo: dalla pandemia a presunti genocidi etnici.

La Cina sta sviluppando una nuova forma di democrazia socialista e ne parla con i partiti politici del mondo

Non esiste solo una democrazia possibile

Troppo spesso infatti sui media, nelle università, nei dibattiti pubblici siamo indotti a credere che vi sia un solo tipo di democrazia possibile, quello cioè a cui siamo abituati in Occidente: la democrazia borghese insita nel sistema liberale che domina il campo atlantico. Tutto quanto si discosta da questi principi o, soprattutto dagli interessi geo-economici di USA e UE, è subito demonizzato come “autoritario” con la solita tiritera fatta di embarghi, sanzioni e persino guerre. Il Partito Comunista Cinese, stanco di questa continua propaganda (fatta passare ovviamente per libera informazione), ha per questo proposto a più organizzazioni politiche, sociali ma anche accademiche, di tutto il mondo di esprimersi, sottolineando che sì, “la democrazia rappresenta un’importante conquista dell’umanità nel progresso della civiltà politica” ma che “non esiste un sistema democratico e un modello di sviluppo applicabile a tutti i paesi” indistintamente e che occorre opporsi “a qualsiasi interferenza negli affari interni di altri paesi con il pretesto della democrazia”. Esattamente l’opposto dell’esportazione della democrazia teorizzata dal governo degli USA invadendo l’Irak, l’Afghanistan, ecc. facendo milioni di morti inutilmente.

Le civiltà umane sono diverse e non ce n’è una superiore alle altre

Secondo la dichiarazione – che in Svizzera è stata firmata anche dal Partito Comunista svizzero guidato da Massimiliano Ay – la caratteristica affascinante delle civiltà umane sta nella diversità. A causa del fatto che diversi paesi e regioni non condividono necessariamente la stessa storia, cultura, sistema sociale e stadio di sviluppo, i modi e i mezzi con cui realizzano la democrazia possono quindi variare. Non esiste insomma alcun sistema di democrazia o modello di sviluppo che sia applicabile a tutti i paesi, e la pratica di giudicare la ricca varietà di sistemi politici nel mondo con un unico metro è di per sé antidemocratico. La dichiarazione continua asserendo che il giudizio sul fatto che un paese sia democratico o meno, dipende dal fatto che il popolo possa diventare il vero padrone del paese, che il popolo possa godere del diritto di voto, che il suo diritto di ampia partecipazione sia garantito, che molte delle promesse fatte durante le campagne elettorali siano mantenute dopo le elezioni, che i regolamenti e le leggi politiche stabilite siano rigorosamente applicate, e che l’esercizio del potere sia veramente soggetto al controllo e alla moderazione del popolo. Il giudizio quindi se un paese sia democratico o meno dovrebbe essere fatto dal suo popolo e non da Washington o da Bruxelles.