Si è spento nelle scorse settimane a 96 anni l’ammiraglio italiano Falco Accame. In Italia i giornali ne hanno parlato molto velocemente, in Svizzera invece nessuno l’ha ricordato: eppure la sua statura di militare democratico (sì, per una volta accostare questi due termini non è un ossimoro!) avrebbe potuto e dovuto superare i confini geografici.
Enrico Vigna, esponente del Centro Iniziative per la Verità e la Giustizia (di cui Accame è stato presidente onorario), piange “la scomparsa di un grande uomo, socialista e sinceramente democratico, eticamente integerrimo e instancabile combattente di mille battaglie per la verità e la giustizia. Un uomo semplice ma culturalmente profondo, che fino all’ultimo ha continuato ad essere ‘partigiano’, schierato cioè nelle battaglie, anche se impossibilitato a muoversi”. Accame, infatti, “fu sempre a disposizione per qualsiasi iniziativa di denuncia, lotta e solidarietà contro la NATO e al fianco di popoli aggrediti o oppressi, senza mai un tentennamento o calcolo di utilità o opportunità” ricorda sempre Vigna. E in effetti rappresentò in Italia il “Tribunale Ramsey Clark per i crimini di guerra della NATO nella ex Jugoslavia”.
Dopo essere sfuggito ai nazisti, iniziò la carriera militare senza paura di denunciare nonnismo e abusi dei superiori. Proprio per questo, nel 1975, la sua carriera si interruppe bruscamente: da comandante della nave Indomito aveva solidarizzato coi suoi sottoposti contro le alte gerarchie! Falco Accame si lanciò così in politica schierandosi dalla parte della pace e della giustizia: quando i soldati della Folgore torturarono i civili in Somalia, egli ruppe ogni tabù e li definì impregnati di “schifezze razziste”.
Un ammiraglio contro il riarmo
Falco Accame – così lo ricordano i familiari in una nota – “dopo l’Accademia Navale di Livorno combatte sul fronte di Cassino, partecipa allo sminamento di numerose zone di guerra. Come ufficiale inventa per la Marina Militare un meccanismo per lo sminamento. Da Comandante dell’Indomito si dimette per protesta contro i vertici per la mancata tutela dei sottufficiali e scrive una lettera aperta di protesta sul Corriere della Sera. Da quel momento nasce un non programmato impegno politico con il Partito Socialista e diventa Presidente della Commissione Difesa della Camera dei Deputati”.
Eletto alla Camera nel 1976 fu un parlamentare impegnato soprattutto per estendere il controllo democratico sui servizi segreti e nel tentativo di democratizzare la leva obbligatoria. Quando il premier Bettino Craxi consolidò il suo controllo egemonico sul PSI e ne determinò la svolta neo-liberista propose proprio ad Accame di diventare ministro della difesa, ma a una ben precisa condizione: appoggiare l’industria militare degli armamenti! L’ammiraglio non cede, è un patriota e quindi rifiuta gli ordini: Craxi lo emargina dal Partito e ne impedisce la rielezione in parlamento.
Accame patirà una campagna mediatica per infangare il suo nome: ritorsioni e minacce erano all’ordine del giorno e addirittura venne inserito fra i sospettati nelle indagini della cosiddetta Commissione Mitrokhin presieduta da Paolo Guzzanti che lo accusò in modo mendace di essere al servizio dell’Unione Sovietica. Dopo l’esperienza negativa con una socialdemocrazia che cedeva ai diktat atlantici e noncurante delle calunnie, Falco Accame non demorde nella sua lotta e si avvicina a chi la pace la difende sul serio: il partito di Democrazia Proletaria (DP) e poi a quello della Rifondazione Comunista, aiutando i compagni con informazioni tecniche o dettagli di intelligence che metteranno in imbarazzo soprattutto il ministro della Difesa Sergio Mattarella (l’odierno Presidente della Repubblica).
Dal nonnismo in caserma all’uranio impoverito in Kosovo
L’impegno di Accame è incessante. Fonda l’Associazione Nazionale Assistenza Vittime Arruolate nelle Forze Armate e Famiglie dei Caduti, dove insieme a Concetta Conti difende i diritti delle reclute: i casi di nonnismo in primis. Molti ragazzi poco più che adolescenti, ancora negli anni ’80, non reggendo al servizio di leva semplicemente …morivano: si suicidavano o venivano “suicidati” da altri. La naja non solo in Italia era concepita come come filtro sociale e disciplinante al servizio dell’obbedienza cieca al potere borghese e Accame, ormai dismessa la divisa, si ostinava a volerla democratizzare e a battersi contro le morti sospette in caserma.
Ma l’impegno più grande fu quello relativo ai casi di tumore derivanti dall’uso di uranio impoverito nelle operazione militari all’estero (vedi qui). Da ex-ufficiale smentì i vertici del ministero della difesa quando nel 2000 asserivano senza vergogna che non esisteva “rischio di contaminazione per i militari dislocati in Kosovo, né per la popolazione locale e tantomeno per le coltivazioni” oppure ancora quando il capo ufficio nucleare del Centro Interforze Studi e Applicazioni Militari, Vittorio Sabbatini affermò in modo irresponsabile che “tenere uno di questi proiettili sul comodino per una settimana avrebbe sul fisico un effetto equivalente a una lastra”.
Come ricorda il giornalista Checchino Antonini: “mentre i comandi e i governi truccavano le statistiche o accreditavano tesi fantasiose alternative (incolpando i vaccini o le piastrine antizanzara) Accame ha rivelato che esisteva una letteratura consolidata sui pericoli dell’uranio impoverito anche prima del ’93, che già nel 1995 i nostri alleati (senza dircelo) decollavano da Gioia del Colle e Aviano con proiettili all’uranio, che le barbe finte non potevano non sapere quello che avveniva nelle missioni o nei poligoni sardi, che l’intensimetro RA141B non serviva a scovare l’uranio impoverito”.
La Fondazione Nino Pasti: per la pace ed il socialismo
Falco Accame era un militare che rispettava la Costituzione italiana sorta dalla Resistenza antifascista che all’articolo 9 recita che l’Italia “ripudia la guerra”: l’articolo più calpestato di sempre, quello che tanti nazionalisti scordano più facilmente. Ma non fu solo: Accame era grande amico di un altro ufficiale, il generale Nino Pasti. Ricorda il professor Angelo d’Orsi in un articolo apparso su MicroMega il 15 dicembre 2021: “quando si resero conto che la NATO non era uno strumento di pace e stabilità, ma all’opposto di guerra e instabilità, portarono avanti un implacabile lavoro di denuncia e controinformazione”.
Accame e Pasti, ufficiali che avevano conosciuto dall’interno, e per davvero, la NATO e i suoi scopi eversivi, misero con coraggio al servizio delle forze marxiste e della pace la loro competenza. Infatti anche d’Orsi ricorda come “proprio come Nino Pasti, anche Falco Accame non si diede per vinto, e gettò tutto il peso della sua esperienza diretta, e della sua vasta conoscenza della materia (e delle discipline affini alla scienza militare, dalla geopolitica all’economia, dagli studi strategici alla demografia, dal diritto internazionale alla storia e alle geografia…), per lottare contro ogni forma e tipo di imperialismo e di bellicismo, e per svelare di che lacrime e di che sangue grondi il potere militare, specie quello occulto, quello protetto dai segreti di Stato”.
La redazione del foglio di corrispondenza comunista AGINFORM definisce poi Accame anche come “particolarmente attivo nella denuncia del ruolo sinistro esercitato in Italia dai servizi segreti alla dipendenza degli Stati Uniti e dei cambiamenti in atto nell’istituto militare per renderlo più adatto a un ruolo aggressivo dell’Italia in ambito NATO sulla scena internazionale”. E se il generale Pasti – che fu anche deputato indipendente del Partito Comunista Italiano (PCI) – dopo essere entrato in contrasto coi vertici eurocomunisti che accettavano l’atlantismo – se ne andò fondando il Movimento per la Pace e il Socialismo (MPS), Accame, alla morte dell’amico, ne volle continuare le battaglie e, nel 1993, divenne presidente della Fondazione Internazionale “Nino Pasti” per la Pace e l’Indipendenza dei Popoli, la cui segreteria era affidata a Paolo Pioppi, pure membro della direzione del MPS, il quale promosso la Fondazione con “il compito di sviluppare collegamenti e iniziative internazionali che contribuiscano al raggiungimento della più vasta unità antimperialista”.