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In Giordania comunisti e nazionalisti si alleano contro il Re: “è succube di Israele!”

Il 22 novembre scorso la Giordania ha nuovamente voltato le spalle ai propri “fratelli” palestinesi e ha siglato un accordo con Israele. Entusiasti gli Stati Uniti e gli Emirati Arabi (le cui aziende saranno beneficiarie di ingenti appalti), che lo hanno sponsorizzato apertamente. Non ci sta invece il Partito Comunista Giordano (JCP) che ha chiamato a raccolta gli altri partiti politici patriottici e anti-sionisti esclusi dalle istituzioni della monarchia costituzionale che da vent’anni è retta da Re Abdullah II. I convenuti hanno creato la “Coalizione dei partiti nazionalisti e di sinistra” per condannare “con la massima fermezza la firma da parte della Giordania della fuorviante dichiarazione di intenti con l’entità sionista”.

Faraj Itmeiza è il segretario generale del Partito Comunista Giordano

Uno schiaffo all’unità araba

L’accordo, che la stampa lealista ha descritto come il più grande accordo di cooperazione regionale, mira a stabilire impianti di energia solare nel sud della Giordania ed esportare l’energia prodotta a tutto vantaggio di Israele, in cambio della fornitura da parte di quest’ultimo alla Giordania di 200 milioni di metri cubi di acqua proveniente da impianti di desalinizzazione situati sulle coste che non sono però di Israele, ma della Palestina occupata militarmente! Ovviamente – da buoni imperialisti – la cerimonia della firma godeva di un ospite d’eccezione: l’inviato statunitense per il clima John Kerry. Sempre con la scusa della crisi climatica, non a caso iper-mediatizzata, è intervenuta pubblicamente anche la ministra dell’Energia israeliana, Karine Elharrar, la quale ha sottolineato che si tratta di un accordo immaginato proprio per contrastare i cambiamenti climatici: “Israele e Giordania sono due Stati con esigenze e capacità diverse che si aiutano a vicenda per affrontare le sfide in modo ecologico, pulito ed efficiente”. Insomma con il maquillage verde si giustifica oggi un accordo geopolitico che affranca l’occupazione sionista e domani giustificherà la guerra. Re Abdullah dal canto suo ha reso il suo Paese dipendente proprio dall’entità ebraica: in pratica il monarca ha messo nelle mani di Tel Aviv il controllo di acqua, gas ed elettricità del suo Paese suscitando l’ira anche del Partito Popolare Democratico di Giordania (una formazione di origine maoista e storicamente molto vicina alla causa palestinese) che ha dichiarato trattarsi di “una violazione della sovranità nazionale sulle risorse naturali e umane della Giordania”. 

Il monarca giordano si prostra di fronte al presidente degli USA Joe Biden

Il Re tradisce gli interessi del suo stesso Paese

Le proteste ad Amman, la capitale del regno

La coalizione ribelle – composta oltre che dai comunisti e dai maoisti pure dai socialisti del Partito giordano di unità popolare democratica, dai due partiti baathisti: quelli del Partito Socialista Arabo (vicini al pensiero dell’ex-leader irakeno Saddam Hussein) e quelli del Partito Progressista Arabo (legati al pensiero del presidente siriano Bashar Al-Assad), e infine dal Movimento Nazionalista – ha diramato una nota in cui si può leggere che “la firma di questo accordo contraddice i nostri interessi nazionali”, e si chiede anche: “perché non costruire impianti di desalinizzazione ad Aqaba invece di fare affidamento sulla fornitura dallo stato occupante?”. L’appello, oltre a invitare il popolo in piazza, chiede anche di “sottoporre l’accordo al Parlamento e di riconsiderare il ruolo delle istituzioni nazionali nel determinare le sorti del Paese”, poiché quella che è avvenuta altro non è che “una flagrante violazione della sovranità nazionale e di altri accordi” che “spinge il Paese verso il destino della totale dipendenza dall’attuale progetto sionista”.

In gennaio, il popolo giordano ha risposto all’appello dei comunisti e dei nazionalisti ed è sceso in piazza per protestare contro l’accordo. Centinaia di persone si sono radunate regolarmente ad Amman, controllate a vista dalle forze di repressione monarchiche, denunciando l’intesa con Tel Aviv che renderà ulteriormente precaria la sicurezza idrica del Regno hashemita. Si contestano però anche i precedenti contratti con Israele in materia di gas: “Non vogliamo gas o acqua. Vogliamo dignità e libertà” è stato lo slogan della piazza che ha mostrato l’ostilità della cittadinanza verso l’imperialismo sionista oltre che americano.